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Cosa c’è nel ddl sulla Pubblica Amministrazione (e cosa cambia per i dipendenti pubblici)

Cosa c’è nel disegno di legge delega Renzi – Madia sulla Pubblica Amministrazione e perché l’opposizione ed i sindacati potrebbero fare le barricate in Aula.
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UPDATE: La Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge delega di riforma della Pubblica Amministrazione.

È in discussione in questi giorni alla Camera dei deputati il disegno di legge “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, già approvato dal Senato della Repubblica. Si tratta del disegno di legge di iniziativa governativa (Renzi, Madia, Padoan) che va a completare il percorso di riforma della Pubblica Amministrazione avviato con il decreto Madia (che conteneva le misure giudicate più urgenti) e recepisce anche le indicazioni della consultazione pubblica lanciata nel maggio del 2014 dal ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione. Parliamo di un disegno di legge che contiene una serie di deleghe che il Governo è tenuto ad esercitare entro dodici mesi, per mettere mano alla macchina amministrativa dello Stato.

Il testo consta di diciotto articoli (e la versione originaria è stata ampiamente modificata dal Senato e potrebbe esserlo ulteriormente alla Camera) e parte dalla cosiddetta cittadinanza digitale. Il Governo è delegato ad emanare i decreti legislativi necessari a garantire “il diritto di accesso dei cittadini e delle imprese ai dati, documenti e servizi di loro interesse in modalità digitale” e “la semplificazione dell'accesso ai servizi alla persona, riducendo la necessità di accesso fisico agli uffici pubblici”. Le amministrazioni pubbliche saranno tenute a garantire un livello minimo delle prestazioni in materia di servizi online, applicando il principio del “digital first” e ristrutturando in tale ottica anche il quadro delle competenze dirigenziali.

Tra le norme che hanno suscitato particolare perplessità tra l’opposizione e gli addetti ai lavori ci sono quelle per la semplificazione e l’accelerazione delle procedure burocratiche. Se con l’articolo 2 si prevede la riduzione “dei casi di obbligatorietà della convocazione della conferenza di servizi”, l’articolo 3 introduce la norma del silenzio – assenso tra le amministrazioni pubbliche a tutti i livelli. In pratica si introduce un limite di 30 giorni entro il quale devono arrivare pareri, nulla osta eccetera: superato tale termine l’assenso si intende acquisito (UPDATE: un emendamento approvato in Commissione sposta il termine a 90 giorni). Il problema è che tale disciplina del silenzio – assenso si applicherà (con un limite temporale di 60 giorni) anche “nel caso di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico – territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini; in tal caso il termine è di 60 giorni”. Meccanismo simile sarà applicato anche per la SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) nel settore privato, con l’obbligo delle amministrazioni di “motivare l'invito a regolarizzare l'attività e di indicare al privato le misure da adottare” (articolo 5) e con l’introduzione di “una disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa” (articolo 4). Insomma, semplificazioni, accelerazione delle tempistiche e silenzio – assenso per “sbloccare” gli iter burocratici. Con tutto ciò che comporta anche in termini di allentamento dei controlli, ovviamente.

La parte concernente la vera e propria riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato, che in qualche modo “armonizza” il decreto Madia, comincia dall’articolo 7 in poi. Il testo chiarisce che il Governo è delegato ad “adottare, entro dodici mesi entro la data di entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi per la riorganizzazione dell'amministrazione statale, mediante modifiche alla disciplina della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei Ministeri, delle agenzie governative e degli enti pubblici non economici nazionali”. Particolarmente delicato si preannuncia l’intervento del Governo in merito alla “razionalizzazione e al potenziamento dell'efficacia delle funzioni di polizia al fine di una migliore cooperazione sul territorio“ (con accorpamenti che potrebbero / dovrebbero portare anche risparmi consistenti per le casse dello Stato), al riordino del Corpo Forestale dello Stato (attenzione, “con eventuale assorbimento dello stesso negli altri corpi di polizia”, definizione che ha obbligato il ministro Madia a ribadire che non ci saranno esuberi) e alla riorganizzazione della polizia provinciale (anche qui si temono provvedimenti tranchant, considerando appunto la soppressione degli istituti provinciali). La riorganizzazione investirà anche il P.R.A e il comparto della Motorizzazione; sarà poi ridotto il numero delle prefetture, con la creazione degli “uffici territoriali dello Stato”.

Cambierà anche la struttura e soprattutto il finanziamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, che saranno ridotte di numero e sottoposte a “standard nazionali di qualità delle prestazioni, con la riduzione del numero dei componenti dei consigli e delle giunte, e, infine l’introduzione di una disciplina transitoria che ne assicuri la sostenibilità finanziaria”. Anche sul punto, non sono esclusi interventi dell'assemblea di Montecitorio, considerando il "peso specifico" in Parlamento di tali centri di (gestione del) potere.

Una questione spinosa e molto dibattuta in ambiente sindacale è quella che concerne la carriera e la “valutazione” di dirigenti e dipendenti pubblici. Nel disegno di legge delega si insiste infatti sulla definizione di un sistema di reclutamento dei dirigenti basato su merito, aggiornamento e formazione continua. Nel concreto però il Governo chiede una delega molto ampia e specifica solo alcuni aspetti dei decreti legislativi che dovranno essere varati. Ci saranno dunque “tre ruoli unici, dirigenti di Stato, Regione ed enti locali”; questi ultimi avranno comunque l’obbligo di nominare un dirigente apicale che “sostituirà” il segretario comunale e che avrà compiti molto estesi (attuazione dell'indirizzo politico, coordinamento dell'attività amministrativa e controllo della legalità dell'azione amministrativa). I dirigenti saranno scelti tramite corso – concorso o concorso, dovranno possedere almeno una laurea magistrale e saranno sottoposti ad un esame di Stato dopo il primo anno di servizio. Gli incarichi dirigenziali avranno durata quadriennale, saranno conferiti secondo ferrei criteri (per i quali servirà decreto legislativo specifico) e potranno essere revocati secondo “presupposti oggettivi). Ogni dirigente avrà l’obbligo della formazione continua e dovrà a sua volta “formare futuri dirigenti”; ci sarà un tetto alle retribuzioni, probabilmente a seconda della specificità del ruolo.

La parte relativa al Pubblico Impiego, già oggetto di revisione con il decreto Madia, è disciplinata dall’articolo 13, che contiene i principi intorno ai quali avverrà il riordino e la semplificazione della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. La scheda del Servizio Studi della Camera ci aiuta a riassumerne i punti salienti:

  • meccanismi di valutazione nei concorsi pubblici che tengano conto delle pregresse esperienze lavorative nel pubblico impiego (in sostanza, corsie privilegiate per i precari della PA)
  • la ridefinizione di contenuti e procedure della contrattazione integrativa e modifiche alle “forme di lavoro flessibile” (Jobs Act?)
  • la rilevazione delle competenze dei lavoratori pubblici (non è chiaro ancora come, ovviamente)
  • competenze all’Inps per gli accertamenti medici in caso di assenza per malattia dei dipendenti pubblici
  • il contenimento delle assunzioni “in base agli effettivi fabbisogni” (principio che per la sua vaghezza è stato oggetto di lunghe discussioni in Commissione) e il superamento delle piante organiche per facilitare i processi di mobilità)
  • la promozione del ricambio generazionale mediante la riduzione, su base volontaria, dell'orario di lavoro e della retribuzione del personale in procinto di essere collocato a riposo (senza ripercussioni sulla pensione)
  • la revisione del sistema dei premi ai dirigenti pubblici, improntata al merito
  • l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare

Sempre relativamente al pubblico impiego, merita una considerazione a parte l’articolo 11, che contiene la nuova disciplina della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche. Sono previste delle forme di flessibilità dell’orario di lavoro, con il ricorso al co-working e al telelavoro per i dipendenti che ne facciano richiesta e accettino la corrispettiva diminuzione dello stipendio.

Cambierà infine sia il meccanismo di partecipazione societaria delle amministrazioni pubbliche (con una razionalizzazione dell’impiego di risorse e maggiori controlli), sia la disciplina dei servizi pubblici locali d'interesse economico generale. Si tratta di uno snodo molto importante (e oggetto di tante perplessità da parte delle opposizioni che non ritengono che la legge delega sia il modo migliore per intervenire su aspetti di tale rilevanza), con il Governo che chiede la delega per impostare “una disciplina generale in materia di organizzazione e gestione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale, compresa la definizione dei criteri per l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi”, criteri per la definizione dei regimi tariffari, una revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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