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Vaticano tra i clienti speciali delle banche svizzere: cosa sappiamo dall’inchiesta Swissleaks

Le donazioni dei fedeli che confluivano nell’Obolo di San Pietro sarebbero state depositate in conti speciali presso Credit Suisse che li avrebbe gestiti in maniera del tutto fuori dall’ordinario.
A cura di Antonio Palma
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Vi era anche il Vaticano tra i "clienti speciali”  di Credit Suisse, la seconda banca svizzera al centro dell‘inchiesta giornalistica Swissleaks perché  avrebbe gestito soldi sporchi e di provenienza dubbia per decenni senza fare troppe domande. L'inchiesta condotta da oltre 160 giornalisti di 39 paesi coordinati da Suddeutsche Zeitung e Occrp, accusa l'istituto di credito elvetico di aver gestito per lunghissimo tempo decine di miliardi di dollari di fondi illeciti, affermazioni basate sulla massiccia fuga di dati di ex dipendenti che hanno portato alla luce una lista di clienti speciali” per i quali le  regole erano molto diverse da quelle normali. I “clienti speciali” erano clienti per i quali i controlli standard no esistano e per i quali e le procedure di gestione dei soldi non seguivano i normali canali di una prudente attività bancaria.

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Tra questi clienti speciali, come racconta La Stampa che è partner italiano di Suisse Secrets, vi erano narcotrafficanti ed evasori fiscali ma anche dittatori e politici corrotti  e persino il Vaticano. Alcuni dei soldi che la Santa Sede raccoglieva dalle donazioni dei fedeli e che confluivano nell’Obolo di San Pietro sarebbero stati depositati in conti speciali presso Credit Suisse che li avrebbe gestiti in maniera del tutto fuori dall'ordinario. Tra gli oltre 18.000 conti bancari emersi da quella che rappresenta la più grande fuga di notizie mai vista in una grande banca svizzera, vi sarebbero infatti fondi legati a nomi alla criminalità e alla corruzione ma anche quelli della Segreteria vaticana. Si tratta di rapporti risalenti addirittura agli anni '30 e proseguiti a lungo fino ad arrivare alla vicenda del palazzo di Londra al centro dello scandalo scoppiato in Vaticano. Del resto il ruolo di Credit Suisse negli affari del Vaticano è emerso a più riprese dalle  stesse indagini della gendarmeria vaticana compresi i fati del 2018 sugli investimenti fatti coi soldi dell'Obolo di San Pietro

La banca dal suo canto parla di fatti risalenti ad anni fa e di estrapolazione dei dati fuori dal contesto. "Il Credit Suisse respinge fermamente le accuse e le insinuazioni sulle presunte pratiche commerciali della banca. Le questioni presentate sono prevalentemente storiche, in alcuni casi risalenti agli anni '40, e la rendicontazione di tali questioni si basa su informazioni parziali, imprecise o selettive estrapolate dal contesto, che danno luogo a interpretazioni tendenziose della condotta aziendale della banca" si legge in un nota rilasciata nelle scorse ore. Per la banca il 90 percento dei conti esaminati sono stati chiusi o stavano per essere chiusi quando l'inchiesta ha avuto accesso ai documenti e oltre il 60 per cento di loro era stato chiuso prima del 2015. Secondo l'Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP), che ha coordinato l'inchiesta, l'indagine ha trovato dozzine di "personaggi dubbi" tra cui un capo spia yemenita implicato nella tortura, i figli di un uomo forte azerbaigiano, un signore della droga serbo e burocrati accusati di depredare la ricchezza petrolifera del Venezuela. Tutti esempi che "sollevano seri interrogativi sull'efficacia e sull'impegno di Credit Suisse nell'assumere le proprie responsabilità".

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