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Cosa succede in Iran dopo la morte di Raisi, gli analisti: “Ci sarà il caos, ma politica estera non cambia”

Dopo la morte di Ebrahim Raisi, l’elezione di un nuovo presidente avverrà in un contesto di scarsa legittimità del regime dopo le recenti grandi proteste. Potrebbero esserci disordini all’interno, “ma la politica estera la fa l’ayatollah Ali Khamenei e le posizioni di Teheran non cambieranno”, dicono gli analisti intervistati da Fanpage.it.
A cura di Riccardo Amati
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La successione di Ebrahim Raisi “potrebbe creare momenti caotici in Iran” ma “non cambierà la politica estera del Paese", secondo gli analisti. Il nuovo presidente avrà comunque la responsabilità di sovrintendere ai negoziati indiretti in corso con gli Stati Uniti sulla crisi mediorientale.

“La morte di Raisi non prelude a una variazione drastica di come saranno formulate e attuate le politiche di Teheran riguardo ai suoi interessi internazionali”, dice a Fanpage.it il direttore del Progetto Iran di Crisis group, Ali Vaez: “È il leader supremo, l’ayatollah Ali Khamenei a prendere ogni decisione strategica di politica estera, anche se si informa prima su cosa ne pensino i suoi ministri e il presidente”.

Ali Vaez, direttore del Progetto Iran di Crisis group.
Ali Vaez, direttore del Progetto Iran di Crisis group.

D’altro canto, sarà proprio il nuovo presidente a dover poi gestire le decisioni di Khamenei. E soprattutto sarà lui a gestire i colloqui con “il grande Satana” di Washington in Oman. Appena ripresi e confermati anche dall’agenzia di stampa di Stato iraniana Irna.

Usa e Iran non intrattengono relazioni diplomatiche e sono ai ferri corti sulle questioni che riguardano il programma nucleare iraniano e la guerra di Gaza tra i rispettivi alleati Israele e Hamas. La ripresa dei colloqui è un evento cruciale per ogni possibile soluzione del conflitto in Medio Oriente.

Sull’eredità che Ebrahim Raisi lascia, Vaez non ha dubbi: “Non riguarda successi e fallimenti ma la direzione in cui ha portato il governo iraniano inteso come sistema: premiando la convinzione ideologica e non la competenza. E ritenendo che consolidare la conformità al vertice sia più importante che cercare la legittimità dal basso.

Ora il potere passa al vicepresidente Muhammad Mukhbar, ma entro i prossimi 50 giorni dovranno essere indette nuove elezioni. Mukhbar ha 69 anni e due dottorati universitari, in Diritto internazionale e in Management. È un veterano della guerra Iran-Iraq, durante la quale ha servito nel corpo medico. Nell’ottobre 2022 negoziò a Mosca l’accordo per la fornitura alla Russia dei droni Shaded che stanno martoriando l’Ucraina.

A garantire tempi e organizzazione delle elezioni presidenziali sarà un consiglio di cui faranno parte lo stesso Mukhbar, Muhammad Bagher Ghalibaf, presidente del Majles — l’assemblea consultiva islamica che è l’organo legislativo equiparabile al nostro Parlamento — e il presidente della Corte suprema e capo del sistema giudiziario Gholam-Hossein Mohseni-Eje’i

Alle elezioni parlamentari svoltesi all’inizio dello scorso marzo, il tasso di partecipazione è sceso al minimo storico: 41% a livello nazionale, ma solo circa il 7% a Teheran. “La popolazione ha in generale perso la fiducia nell’idea che il cambiamento possa avvenire attraverso le urne”, ha scritto su Twitter Trita Parsi, dirigente del Quincy Institute for Responsible Statecraft.

Anche perché alle forze politiche alternative e a chi ha sostenuto le grandi proteste che dal settembre 2022 alla prima metà del 2023 hanno agitato il Paese dopo la morte in carcere di Masha Amini non è stato semplicemente permesso di candidarsi alle elezioni.

E comunque, “anche queste forze alternative hanno perso credibilità agli occhi della maggioranza della popolazione, a causa dell’incapacità di ottenere reali cambiamenti”, nota Parsi. Secondo cui nella fase elettorale “probabilmente ci saranno momenti caotici in Iran”.

E questo senza contare la possibilità che emergano prove credibili che l’elicottero presidenziale non sia precipitato per un casuale incidente.

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