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Ocse: “L’1% della popolazione italiana controlla il 14,3% della ricchezza nazionale”

L’Ocse spiega che la crisi e le politiche di austerity hanno ampliato il divario tra benestanti e poveri: ” Il 20% più ricco controlla il 61,6% della ricchezza, e il 20% appena al di sotto (secondo quintile) il 20,9%”.
A cura di Davide Falcioni
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Il 14,3% della ricchezza nazionale italiana è in mano all'1% della popolazione. Nel frattempo il 40% più povero detiene solo il 4,9% della ricchezza netta. A renderlo noto è un dossier dell'Ocse che dimostra come la crisi e le politiche di austerità abbiano ampliato le differenze tra ricchi e poveri. La perdita di reddito disponibile tra il 2007 e il 2011 è stata ben più elevata(-4%) per il 10% più povero della popolazione rispetto al 10% più benestante (-1%). Secondo l'organizzazione con sede a Parigi la ricchezza nazionale netta nel nostro paese è distribuita in modo molto disomogeneo, con una concentrazione particolarmente marcata verso l'alto. Il 20% più ricco (primo quintile) controlla infatti il 61,6% della ricchezza, e il 20% appena al di sotto (secondo quintile) il 20,9%. Il restante 60% si deve accontentare delle "briciole", ovvero del 17,4% della ricchezza nazionale, con appena lo 0,4% per il 20% più povero. Differenze ci sono anche nella fascia più ricca, visto che il 5% detiene il 32,1% della ricchezza nazionale netta, ovvero oltre la metà di quanto detenuto del primo quintile.

L'Ocse ricorda che nel nostro paese "la povertà è aumentata in modo marcato durante la crisi" ed ha investito prevalentemente giovani e giovanissimi. L'aumento del cosiddetto tasso di povertà ancorata (che fissa la soglia rispetto all'anno precedente) è stato di 3 punti tra il 2007 e il 2011 ed ha riguardato soprattutto gli under 18, con il 17%, 4 punti percentuali in più della media Ocse, seguita dalla fascia 18-25, con il 14,7%, 0,9 punti sopra la media.

L'istituto quindi spiega come la crescita dell'occupazione, dagli anni 90 ad oggi, sia stata generata in gran parte dall'aumento di posti di lavoro atipici. L'incremento del 26,4% del tasso di occupazione tra il 1995 e il 2007 è costituito per la maggior parte, 23,8, da posti "non standard" (lavoro autonomo, contratti a termine, part time) e solo in minima parte, il restante 2,6, da posti fissi full time. "Tra il 2007 e il 2013 – spiega l'Ocse – il calo del 2,7% del tasso di occupazione è generato da un calo dei posti full time, sia a tempo indeterminato (-4,3) che determinato (-0,8), e del lavoro autonomo (-1,5), controbilanciato da un aumento del part time (+4). Per effetto di questa dinamica, la percentuale di posti di lavoro atipici sul totale è passata dal 23,6% del 1995 al 40,2% del 2013. L'incidenza del lavoro atipico è particolarmente alta per gli under 30, al 56,9% dell'occupazione totale, e scende progressivamente con l'età, al 39,7% nella fascia 30-49 anni e al 33,7% per la fascia 50-64". Il quadro si chiude con il tasso di povertà, che è molto elevato tra le famiglie di lavoratori autonomi o con contratti precari. Nello specifico, mostrano i dati dell'Ocse, se si fissa a 100 il guadagno medio dei lavoratori con posto fisso, quello degli atipici si ferma a 57, con grosse disparità tra le varie categorie (72 per un lavoratore autonomo, 55 per un lavoratore con contratto a termine full time, 33 per un lavoratore con un contratto a termine part time).

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