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Moody’s promuove gli 80 euro, ma taglia le stime sul Pil italiano

Gli 80 euro al mese? Sono una misura importante, ma in vigore da troppo poco tempo perchè se ne possa avvertire l’influsso sulle statistiche del Pil. A dirlo non è il premier Matteo Renzi ma l’agenzia di rating Moody’s. Che però avverte: il 2014 rischia di essere ancora un anno deludente. Per la ripresa se ne parla (forse) nel 2015…
A cura di Luca Spoldi
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Gli 80 euro? Sono una misura importante per la futura crescita dell’economia italiana. A dirlo questa volta non è il premier Matteo Renzi, che in un’intervista al Financial Times rivendica il diritto/dovere di decidere le riforme strutturali senza dover cedere sovranità alla Bce o alla “troika” (Bce, Fmi, Ue), ma una delle più famose agenzie di rating mondiali, Moody’s. Che però avverte: è ancora presto per vederne gli effetti positivi sulle statistiche del Prodotto interno lordo tricolore, perché essendo entrata in vigore a giugno ha potuto impattare solo su uno dei tre mesi del secondo trimestre. Un trimestre, aggiunge Moody’s (accusata qualche anno fa di “gufare” insieme a Standard&Poor’s e Fitch contro il Bel Paese per averne ripetutamente ridotto il rating sovrano in previsione di una debolezza macroeconomica che puntualmente si è verificata, anche se non ha per ora prodotto alcun danno ai sottoscrittori di titoli di stato, grazie all’azione protettiva della Bce di Mario Draghi), che ha mostrato “una debolezza dell'economia alquanto uniforme”.

Come sottolineano gli esperti, infatti, “servizi, manifattura e agricoltura hanno dato un contributo negativo alla crescita, le esportazioni nette hanno frenato, mentre la domanda domestica è stata neutrale”. Un quadro peggiore delle attese non legato a uno specifico evento o fattore, dunque, ma ad una situazione di persistente debolezza generale che non fa ben sperare, dunque, anche perché nonostante l’Italia stia provando a usare “la politica fiscale per stimolare l’economia”, si tratta di “una strategia che finora non ha tenuto il Paese fuori dalla recessione”. Troppo poco e per troppo poco tempo, si potrebbe aggiungere, del resto è difficile pensare che Matteo Renzi o chiunque altro possa significativamente tagliare le tasse se prima non verrà risolto un volta per tutte il problema evasione, che si combatte da un lato aggredendo i grandi evasori (anziché disperdere tempo e risorse per cercare di cavar sangue da migliaia di piccoli evasori), dall’altro semplificando e alleggerendo il fisco così da invogliare nuovi investimenti che possano produrre ricchezza (e quindi nuove entrate fiscali) e far ripartire un circolo virtuoso che in Italia si è interrotto da troppi anni.

Purtroppo il momento non sembra quello migliore per sperare di “spiccare il volo”: sempre Moody’s nel suo ultimo out look ha segnalato come lo scenario della crescita mondiale resti “sottotono” anche se con poche nuove fonti di rischi al ribasso. Il 2014 dovrebbe dunque rivelarsi un’altra annata con crescita sotto le medie storiche per i paesi avanzati mentre l’anno prossimo potrebbe essere la volta buona (per le prime 20 economie mondiali Moody’s stima complessivamente una crescita del Pil del 2,8% quest’anno e del 3,2% l’anno venturo). Al di là del sostegno che Renzi spera possa venire da un euro “meno forte” di quanto è stato finora (forza che sta effettivamente allentandosi da qualche settimana), per l’Italia il rischio di rimanere “l’ultima ruota del carro” sembra sempre più concreto, con una revisione al ribasso delle stime per l’anno corrente da +0,1% a -0,1% sempre più distante da quel +0,9% ufficialmente previsto dal governo che già non basterebbe a migliorare il rapporto debito/Pil, sempre più autentica “pietra al collo” dell’economia tricolore.

E infatti Moody’s se stima il rapporto deficit/Pil al 2,7% sia quest’anno sia il prossimo (e questo è positivo perché vorrebbe dire rispettare gli impegni presi in sede europea e dunque recuperare almeno in parte quella credibilità persa nel corso degli ultimi 10-15 anni), vede il rapporto debito/Pil salire al 136,4% alla fine di quest’anno e rimanere ancora al 135,8% nel 2015. Cosa potrebbe far cambiare idea a Moody’s (in meglio)? Forse il varo di un decreto “taglia debiti” di cui si sta iniziando a parlare, forse alcune semplificazioni fiscali e amministrative che rendano meno difficile e oneroso investire in Italia, forse l’estensione (ma non si vede al momento con quali coperture) della misura degli 80 euro ad altre categorie oltre i lavoratori dipendenti (e dunque in particolare ai dipendenti autonomi, ossia all’esercito delle partite Iva). Personalmente credo che servirebbe tornare ad essere uno stato di diritto con una forte mission: il che richiederebbe, ad esempio, iniziare a consentire la detraibilità piena e in concorrenza di una serie di costi, previa presentazione di idonea documentazione (fatture e scontrini fiscali). Il tutto superando il concetto di “studi di settore” che da anni sta portando molti lavoratori autonomi e piccole imprese a non inserire  neppure più a bilancio queste voci di costo in presenza di una contrazione del giro d’affari per evitare di apparire “incongrui” e far scattare un controllo fiscale dagli esiti incerti, vista l’architetture ancora altamente aleatoria e quasi mai favorevole al contribuente del fisco tricolore.

Insomma, oltre ad una seria spending review, oltre ad una vera lotta all’evasione, serve semplificare e razionalizzare il fisco, occorre renderlo più coerente con l’obiettivo di far ripartire il paese a partire dai settori che si giudicano trainanti (turismo, beni culturali, innovazione), abbattere la burocrazia. E poi naturalmente aumentare gli spazi della concorrenza, eliminare eccessivi gravami fiscali su fattori strategici come l’energia, ripensare il concetto del “made in Italy” e non limitarsi a considerarlo un insieme di marchi “storici” che magari sono ormai una cartolina ingiallita dell’Italia che fu ma che sempre meno è.  Sono stato in questi giorni nella mia città natale, Alessandria, ex cittadina di provincia benestante al centro del “triangolo industriale” di Torino-Milano-Genova che ormai non esiste più o quasi. Ed ho trovato che sta soffrendo la crisi in modo piuttosto crudele, con servizi pubblici sempre meno all’altezza delle tasse che i cittadini pagano, con sempre più fabbriche e negozi chiusi, con sempre più cartelli di “affittasi” e “vendesi” che restano esposti per mesi se non per anni senza che alcuna trattativa si concluda.

Ma ho visto anche che la città è diventata (volente o nolente) multietnica, che si sta riconvertendo (sia pur lentamente e faticosamente), come gran parte del Piemonte e dell'Italia intera, al turismo e all’intrattenimento (ci sono meno uffici, meno banche, meno fabbriche, più gelaterie, focaccerie e pizzerie, oltre che più ristoranti “etnici”). Il mondo cambia, le crisi sottolineano il cambiamento accentuando il senso di insicurezza: anche per questo Matteo Renzi deve rompere gli indugi, fare le necessarie riforme, indicare quale “mission” vuole che il paese inizi a seguire, predisponendo le misure perché chi se la sente si assuma il rischio di farlo (e in prospettiva i relativi guadagni). Altrimenti le riforme le imporranno gli “altri”, siano essi la Bce, la “troika”, le agenzie di rating o i mercati, la cui pazienza a volte è molto ampia ma non è infinita e che hanno tempi di reazione, nel bene e nel male, che a volte possono sorprendere e quasi sempre non si conciliano con quelli della politica. Un motivo di più per non perdere tempo e iniziare a mostrare il cammino da seguire con atti concreti dopo aver speso tutte le parole possibili o quasi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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