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Opinioni

La mossa di Draghi piace agli italiani, ma farà bene ai tedeschi

Agli italiani sembra piacere la notizia degli acquisti di bond da parte della Bce annunciata ieri da Mario Draghi. Ma il programma della Bce porterà soprattutto benefici a Germania e Francia, prima che all’ex “bel paese”…
A cura di Luca Spoldi
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Quando persino il barista sottocasa vi saluta commentando: “ingegnere (non sono ingegnere, ho insegnato economia e organizzazione aziendale alla facoltà di ingegneria dell’università Federico II di Napoli per sette anni) ha sentito? Draghi si comprerà 60 miliardi di euro di Bot al mese, finalmente una buona notizia” significa solo una cosa, che l’ex governatore di Banca d’Italia, già direttore generale del Tesoro ai tempi delle privatizzazioni degli anni Novanta, ha fatto nuovamente centro, almeno da un punto di vista mediatico.

A poco serve spiegare che di Bot la Bce non ne comprerà manco mezzo, perché il programma annunciato ufficialmente ieri riguarda emissioni con durata dai 2 ai 30 anni, che gli acquisti resteranno in capo alle rispettive banche centrali per l’80% del controvalore complessivo, che in particolare Banca d’Italia, che attraverso la propria banca centrale nazionale partecipa al capitale della Bce col 12,31%, toccherà acquistare non più di tale percentuale e dunque circa 112 miliardi di euro (il 12,31% dell’80% dei 1.140 miliardi a cui arriverà il quantitative easing Bce a fine programma), garantendoli con le proprie riserve (a fine 2014 pari a 117 miliardi, di cui quasi 78 miliardi rappresentati dalle riserve auree).

A poco serve anche ricordare che questo fiume di soldi verrà utilizzato per comprare non solo titoli di stato (nel caso italiano Btp) ma anche Abs, covered bond e corporate bond, in parte dunque sovrapponendosi ai già lanciati programmi d’acquisto di Abs e covered bond (in teoria per 200 miliardi di euro massimi ciascuno) che finora hanno funzionato poco perché, semplicemente, il problema, specie per Abs e covered bond, è che c’è ancora poca carta sui mercati e poca ce ne sarà anche nei prossimi mesi dato che a fronte di un abbassamento del premio per il rischio dovuto proprio all’azione sui tassi da parte delle banche centrali, resta difficile “prezzare” correttamente i portafogli di crediti in bonis o in varia misura deteriorati che persino banche solide come Unicredit e Intesa Sanpaolo provano da mesi a vendere senza soverchio successo.

Forse per far capire meglio a chi potrà far davvero bene questa misura, che certamente potrebbe semplificare la vita alle banche europee (ed a quelle italiane, nelle cui casse giacciono non meno di 414 miliardi di titoli di stato) nei prossimi mesi e altrettanto certamente non la complica a imprese e famiglie, dunque cartesianamente parlando è un’operazione che migliora lo scenario rispetto allo status quo, si potrebbe ricordare che la Bundesbank, ossia la banca centrale tedesca, è la prima azionista della Bce col 17,99% del capitale, mentre Banque de France è seconda col 14,18% circa.

Dato che la Bce si muove all’interno di una zona che condivide una moneta (l’euro) e una serie di trattati (l’unione monetaria) e visto che non si è voluto/potuto procedere ad una vera condivisione del rischio, né ad un’armonizzazione dello scenario economico che richiederebbe una politica fiscale comune e una politica economica che andasse a utilizzare il surplus di alcuni (Germania) a vantaggio di altri (Spagna e Italia ad esempio), obiettivi meritori ma difficili da raggiungere a breve (oltre che sfuggevoli a medio-lungo termine) in un continente storicamente diviso da secoli di incomprensioni, inimicizie e differenze culturali ed economiche, a beneficiare di più, sic stantibus, sia degli acquisti di bond e titoli di stato sul mercato sia degli altri effetti del quantitative easing (dalla caduta dell’euro all’eventuale risalita dell’inflazione verso il 2% annuo) saranno sempre coloro che già ora più beneficiano della struttura dell’Unione Europea, Germania e Francia in primis.

Inutile sperare che la marea provocata da Draghi possa far altro che far galleggiare un relitto quale è ormai l’economia tricolore. Servono infatti una pluralità di sforzi per riuscirvi: anzitutto un recupero di competitività che in parte è stato messo in cantiere scaricandone il costo sui lavoratori del settore privato e sui giovani in particolare; poi un recupero di efficienza dell’offerta tramite uno snellimento della legislazione e della burocrazia, tuttora solo auspicato; infine una cruciale rimozione degli “add on” sulla domanda aggregata interna, senza la quale tutte le altre riforme, che impattano sull'offerta, non serviranno perché non si può vivere di sole esportazioni e non ha molto senso continuare a impoverire il mercato interno deprimendo le attese non tanto sull’andamento dei prezzi quanto sull’andamento dei redditi (da lavoro e da impresa, ma anche da capitale).

Certo, tutto serve e bravo Draghi ad aver varato il migliore dei pacchetti possibili, ma per evitare che il pacchetto si riveli un “paccotto” la palla passa necessariamente alla politica, ai governi, a Matteo Renzi piuttosto che Angela Merkel, oggi in visita a Firenze. Insomma, serve un miracolo, francamente, anche se vogliamo far finta di credere che tutto vada bene, anzi vada ancora meglio di prima, caro il mio barista. Il conto, grazie.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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