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Ismail, il bimbo “rubato” dall’Isis: “Sappiamo dove si trova”

Sul caso del piccolo Ismail Davud Mesinovic, nato a Belluno il 4 settembre del 2011 e portato in Siria dal padre jihadista, indagano i carabinieri del Ros di Padova. La mamma cubana del bambino è convinta di averlo riconosciuto in due foto.
A cura di Susanna Picone
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Lidia Solano Herrera è certa: quello delle due foto postate online sui siti della propaganda jihadista è suo figlio Ismail Davud Mesinovic, nato a Belluno il 4 settembre del 2011, oggi dunque di poco più di 3 anni, e portato in Siria tra i militanti dello Stato Islamico lo scorso dicembre dal papà Ismar per arruolarsi e combattere la guerra santa. Padre che poi è morto il 4 gennaio ad Aleppo. La mamma, rimasta a Ponte nelle Alpi (Belluno) dove i due risiedevano e lavoravano, ne ha denunciato la scomparsa a gennaio dopo la pubblicazione della foto del marito divenuto martire. Sul caso indagano i carabinieri del Ros di Padova, che – ricostruisce oggi La Stampa – sulle foto del bambino nutrono dubbi. “Nella prima immagine segnalata, quella sulla moto, il bambino è probabilmente Ismail – ha spiegato il comandante Paolo Storoni -. È una foto di chiara connotazione propagandistica, su cui stiamo facendo degli accertamenti. Quello che oggi sappiamo con certezza è che il soggetto con la barba a bordo della moto, è Said Colic, un veterano della guerriglia, entrato in contatto con i nostri indagati”. Quanto alla seconda foto, quella che ritrae un bambino con pantaloni militari, felpa nera con cappuccio, bandana con scritte in arabo e un mitra giocattolo, il comandante dice di essere perplesso “perché pare sia stata pubblicata in Internet nel 2013”.

“Abbiamo localizzato a grandi linee il bambino” – Per loro, dunque, non sarebbe Ismail ma “sulle fotografie non stiamo perdendo tempo e nell’economia della situazione questi scatti diventano ininfluenti, perché abbiamo localizzato a grandi linee il bambino e individuato l’area dove si trova”. Per il capo dei Ros, Islam non si trova in un campo d’addestramento ma vive “in un ambiente pervaso di elementi islamici estremi, fortemente radicalizzato ed è sicuramente condizionato dal punto di vista psicologico”. I Ros hanno confermato la “regola” della jihad  secondo cui se un combattente affida un figlio e muore, chi ce l’ha in consegna deve prendersi cura di lui e non restituirlo a nessuno. Oltre a questo hanno sottolineato che con Ismar e Ismail partì anche il 26enne Munifer Karamaleski, che viveva a Chies D’Alpago, insieme alla moglie macedone e i loro tre bambini: “Li abbiamo localizzati e potrebbero essere ancora in contatto con Ismail”, ha spiegato Storoni.

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