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Opinioni

Davide, anni 17. E ci si chiede chi è il buono e chi è ‘o malamente

Dopo il sangue del Rione Traiano e le sparatorie di San Giovanni a Teduccio, brusco risveglio per i napoletani: dalla camorra pop a uso e consumo delle serie televisive alla cruda realtà di tutti i giorni. Una realtà invisibile all’agenda del governo Renzi e sparita dall’attenzione delle istituzioni locali.
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Quando non è tutto chiaro, quando non c'è un nemico palese e una vittima da poter definire «innocente» col bollino (quello attribuito da certa "società" e certa antimafia napoletana) quando non c'è una idea, una convinzione che aiuti a definire la propria verità in una storia, tipo il conflitto israelo-palestinese o la guerra davanti allo stadio fra tifoserie che si odiano, la zona grigia che avvolge molte situazioni di Napoli prende il sopravvento. Legioni di interpreti di fatti che ancora non conosciamo del tutto, che ancora nessuno ha definito dal punto di vista giudiziario vagano tra i social network; a dar forza ad una o all'altra parte non c'è nemmeno un sindaco che twitta a favore o contro. C'è solo un grande punto interrogativo. Nella morte di Davide Bifolco, 17 anni, fermato dai carabinieri ad un posto di blocco al rione Traiano di Napoli insieme ad altre due persone e finito cadavere con un proiettile in corpo c'è un "perché" grande come può esserlo la morte di un ragazzino: in quei concitati momenti conseguenti l'alt allo scooter, l'inseguimento, l'incidente gli spari cosa è accaduto? Perché una pistola ha fatto fuoco? Le indagini andranno avanti e, forse, fra qualche tempo, restituiranno una verità giudiziaria. Ma a fianco a quest'enorme perché c'è un'altra domanda che si ripropone con la violenza di una colpa: cosa sta maturando e cosa sta marcendo nelle periferie della città di Napoli?

Analogie della vicenda di Davide Bifolco e l'omicidio di Mario Castellano

Quattordici anni fa – dodici mesi prima del G8 di Genova – quando ad Agnano, in una storiaccia analoga a quella del rione Traiano, morì per mano di un poliziotto (poi condannato a 10 anni con sentenza confermata in Cassazione) Mario Castellano, anch'egli 17enne, anch'egli ad un posto di blocco, ci si interrogò non solo sulla vicenda di cronaca, ma pure sul contesto. Il ragazzo spavaldo, senza casco, la famiglia con alcuni parenti legati ad ambienti criminali: bastò questo per instillare un velenoso tarlo nella testa di qualcuno. Il tarlo che Castellano «se l'era andata a cercare». Per ottenere una verità giudiziaria sono stati necessari anni. Ma quel tarlo è rimasto. E si ripropone: nel giudizio affrettato e preventivo sulla vicenda di Davide Bifolco ci sono preoccupanti analogie con quanto accadde nel luglio del 2000 ad Agnano a Castellano.

Il risveglio: dalla camorra pop della pay tv alla realtà

Abituati nell'ultimo anno a considerare la camorra, i suoi atteggiamenti e i suoi linguaggi – in particolare per quel che concerne le leve criminali più giovani – come personaggi di una serie televisiva di successo o come la sua dissacrante parodia, in questi primi giorni di settembre siamo stati prepotentemente richiamati ad una realtà meno epica, ma più violenta, sporca e sorda. Una realtà che si racconta solo a giorni alterni, una realtà invisibile all'agenda di governo (chi lo spiega a Matteo Renzi?) sparita dai discorsi della politica comunale e regionale (Luigi De Magistris, Stefano Caldoro, dove siete?) e richiamata a intermittenza nell'agenda setting dei media mainstream italiani e internazionali, solo quando c'è il "fatto grosso" o quando l'elemento criminale diventa pop, meritevole di una narrazione con foto e curiosità morbose. E questo è il caso di Davide, della sua bacheca Facebook, della foto con la "sigaretta" in bocca, delle parole rabbiose di addio dei suoi amici sui social network: oggi questa vicenda è narrabile con dovizia di particolari, è spendibile per gli editorialisti prêt-à-porter specializzati in camorrologia. Oggi ci si divide tra quelli che parlano di un ragazzo buono e quelli che invece lo considerano malamente.

Divisi in una dicotomia che è perfetta per una vecchia e bella canzone degli Almamegretta ma non aiuta a capire con freddezza gli elementi che ci troviamo davanti, ci scordiamo che tra i protagonisti del dramma e la ricerca della Verità, il contesto di riferimento viene restituito ancora una volta come un elemento oleografico, come una pagina di sceneggiatura dell'ennesimo film a puntate. Dunque tra oggi e domani l'Italia scoprirà in 7 minuti di reportage televisivo o in una articolessa da 120 righe il rione Traiano, così come sta scoprendo – e temiamo possa continuare a farlo con qualche morte innocente, visto l'andazzo – la periferia Est, San Giovanni a Teduccio e Ponticelli, teatro di una faida che sta lasciando a terra proiettili ogni giorno.

Fra oggi e domani il ministero dell'Interno con tutta probabilità cingerà d'assedio alcune zone della periferia napoletana, risposta scontata ad un dramma ben più strutturale. Qualcuno forse tornerà a parlare dell'Esercito a Napoli. E nel ciclo degli eventi che accompagnano ogni atto di sangue all'ombra del Vesuvio tutti diranno tutto, avremo funerali con palloncini e scooter, striscioni, forse anche un coro allo stadio San Paolo. E aspettando che qualcuno ci dica chi ha ucciso e perché, dimenticheremo che il ghetto fecondo di situazioni del genere sta crescendo a dismisura, a Napoli, nella periferia Ovest così come in quella Orientale.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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