5 errori in italiano che hanno cambiato la nostra lingua (o ci provano)

Come la duttilità della lingua trasforma alcuni errori molto comuni in elementi che, di fatto, la rinnovano (e cambia in errore forme un tempo corrette).
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A cura di Nadia Vitali
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Tutte le lingue si evolvono naturalmente e la nostra non è da meno: l’italiano si è trasformato e continua a farlo ogni giorno. Lo sanno bene i linguisti e, qualora vogliate saperne qualcosa anche voi, sappiate che “Comprendere l'italiano: passato, presente, futuro” è uno dei corsi online messi a disposizione da Federica.eu, il progetto dell’Università Federico II grazie al quale l’internauta può avere accesso gratuitamente a lezioni e dispense di diverse facoltà.  Un corso aperto a tutti che porta l’italiano al di fuori delle aule e che, quindi, è una potenziale risorsa anche per gli stranieri. Un buon modo per comprendere la duttilità della nostra lingua, le sue origini e le sue innovazioni, può essere quello di guardare a quelle forme che hanno mutato aspetto e significato nel corso degli anni: eccone alcune, testimonianza delle trasformazioni ancora in atto.

Si dice è piovuto o ha piovuto?

Uno dei dubbi più frequenti in merito alla nostra lingua si manifesta nella scelta dell’ausiliare quando si utilizzano verbi che designano fenomeni meteorologici. Benché tradizionalmente la norma prevedesse l’uso del verbo essere (quindi è piovuto), sono ormai accettate entrambe le forme: quindi ha grandinato ed è nevicato sono corrette allo stesso modo. Attenzione, però, quando questi verbi perdono il proprio carattere di impersonalità perché qui non ci sono eccezioni e l’ausiliare è essere: ci si riferisce, ad esempio, al caso dei significati traslati o figurati come L’amore è piovuto dal cielo.

Si può “essere agiti”?

Il verbo agire è intransitivo: non vuole il complemento oggetto e non può avere la costruzione passiva. Fin qui tutto regolare ma come spiegare, allora, alcune costruzioni dello stesso verbo che sembrano dimostrare il contrario? Accade con alcune forme attestate (e riportate dai dizionari) nei testi di ambito psicologico, pedagogico e sociologico: il verbo agire, in realtà, può variare nel momento in cui è interpretato come corrispondente dell’inglese to act out riferendosi, ad esempio, al comportamento.

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Ma quest’uso, peculiare del linguaggio tecnico, in alcune circostanze, si è esteso fino al significato di mettere in atto e compiere: un fenomeno non soltanto contemporaneo, dato che viene sporadicamente rilevato anche in testi dei secoli scorsi. Anche se abbiamo detto che agire è intransitivo, in effetti, va ricordato che il verbo latino da cui deriva, agĕre, era transitivo. Quindi, concludendo, gli utilizzi transitivi di agire in caso di linguaggio tecnico sono ammessi, anche se il verbo resta sostanzialmente intransitivo.

Egli, ella, lui e lei: qual è il soggetto?

Possiamo definire corretto l’utilizzo di lui, lei e loro come soggetto del verbo oppure in ogni caso si tratta di un errore ed è necessario ricorrere a Egli, ella ed essi (che alle orecchie contemporanee acquisiscono sempre più un suono retrò)? In primo luogo è necessaria una premessa: l’italiano, con la profonda differenziazione che prevede tra le diverse voci verbali, può fare spesso e volentieri a meno del soggetto. Lui, lei e loro, però, possono essere normalmente e correttamente soggetto in due casi: quando vengono dopo il verbo o quando vogliono intendere per quanto riguarda lui (il soggetto).

E per il resto? Considerate che la questione è molto più antica di quanto si possa pensare, poiché attraversa praticamente tutta la storia della lingua italiana: tant’è che, già a partire dal XIX secolo, le grammatiche hanno dovuto quanto meno menzionare quest’uso confinandolo, però, nell’ambito dello stile colloquiale informale, semplice. Il merito fu anche di Alessandro Manzoni che, ne I promessi Sposi, aprì la strada letteraria a questo uso. Ormai, di lui, lei e loro soggetti ne ritroviamo anche nella scrittura mentre egli, ella, essi ed esse sono diventati sempre più rari nel parlato, sopravvivendo nella scrittura quando questa si allontana dalla forma orale.

Piuttosto che non significa oppure

Non si faccia l’errore di banalizzare il discorso pensando che qualunque errore, purché diffuso, possa poi, con il tempo, essere accettato: in alcuni casi vige la totale inammissibilità. Si prenda l’espansione semantica di cui è protagonista il piuttosto che, caricato di uso disgiuntivo che non gli è proprio: in questo caso le ambiguità che nascono dall'utilizzo di piuttosto che trasformato in oppure rendono semplicemente impossibile l’imporsi di questa forma che ha, oltretutto un suono inguaribilmente antipatico. Fiorita in ambito settentrionale in seno ad un linguaggio «venato di snobismo», l’espressione è entusiasticamente accettata da giornalisti e conduttori televisivi in genere. Sul sito dell’Accademia della Crusca leggiamo, in proposito:

Non c'è giorno che dall'audio della televisione non ci arrivino attestazioni del piuttosto che alla moda, spesso ammannito in serie a raffica: «… piuttosto che … piuttosto che … piuttosto che …», oppure «… piuttosto  che … o … o … », e via con le altre combinazioni possibili. Dalla ribalta televisiva il nuovo modulo ha fatto presto a scendere sulle pagine dei giornali: ormai non c'è lettura di quotidiano o di rivista in cui non si abbia occasione d'incontrarlo. E purtroppo la discutibile voga ha cominciato a infiltrarsi anche in usi e scritture a priori insospettabili (d'altra parte, se ha prontamente contagiato gli studenti universitari, come pensare che i docenti, in particolare i meno anziani,  ne restino indenni?). – Ornella Castellani Pollidori

L’aspetto positivo è che, avendo tutte le caratteristiche della moda, l’uso improprio del piuttosto che potrebbe essere destinato a tramontare. Prima o poi.

Qual’è possiamo accettarlo?

A qualche giornalista piacerà pure ma non esageriamo con la duttilità: la forma corretta resta qual è. Anche perché chi si giustifica tirando in ballo precedenti illustri (si veda il caso Saviano) non deve dimenticare che la lingua non si evolve in una sola direzione, trasformando in uso comune alcune forme inizialmente considerate erronee, ma anche bandendo espressioni un tempo ritenute corrette e oggi improprie.

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