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Vannacci ha torto, non servono punizioni, ma educazione affettiva: il parere dell’esperta

Torna a far parlare di sé il generale Vannacci, non tanto per la sua nuova posizione nelle Forze Armate, ma per le dichiarazioni su femminicidi, patriarcato e punizioni rilasciate a La Stampa. Ne abbiamo discusso con la psicologa esperta di violenza affettiva Erica Pugliese.
Intervista a Dott.ssa Erica Pugliese
Psicologa e psicoterapeuta
A cura di Francesca Parlato
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Vannacci

Il generale Roberto Vannacci torna a far discutere. Dopo il suo libro "Il mondo al contrario", diventato in pochi mesi un caso editoriale – prendiamo una delle citazioni più esemplificative "Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!" – la notizia del giorno riguarda la sua promozione a Capo di stato maggiore del Comfoter, il comando delle forze operative terrestri. Ma perché limitarsi a godere del suo nuovo prestigiosissimo ruolo e lasciarsi scappare l'occasione di esprimere ancora una volta le sue opinioni su come va il mondo? Vannacci infatti in un'intervista a La Stampa pubblicata oggi ha colto l'occasione per dire la sua su femminicidi, patriarcato e uomini. In uno dei passaggi più significativi dell'articolo dice "(…) Quelli che ammazzano le donne sono uomini che non sanno stare da soli, che sono dipendenti da loro e che, quando temono di venire abbandonati, perdono la testa. Altro che maschi patriarcali: sono mollaccioni smidollati che abbiamo prodotto noi. Come? Abolendo le punizioni".

"I femminicidi? Il problema non è il patriarcato ma gli uomini deboli"

Non contento il generale Vannacci non ha mancato di dire la sua anche sulla parola femminicidio. "Perché chiamare l'omicidio di una donna in modo diverso? L'assassinio di un tabacchino lo chiameremo commercianticidio? Si parla da anni di femminicidi, eppure le donne continuano a venire uccise". E continua "Il paradosso è che pensare che la responsabilità di quella che chiamiamo cultura patriarcale sia di uomini forti e prevaricatori: è il contrario. Sono gli uomini deboli a fare del male alle donne. Noi educhiamo uomini deboli, non uomini forti".

Se il patriarcato impedisce di esprimere le proprie emozioni

Sulle recenti dichiarazioni del generale abbiamo raccolto il parere della psicologa e psicoterapeuta Erica Pugliese, presidente dell'Associazione Millemè che si occupa di violenza di genere e dipendenze affettive. I femminicidi dipendono davvero dal fatto che educhiamo uomini deboli? "A questa domanda non possiamo dare una risposta perché sappiamo che i fattori scatenanti questo tipo di violenza sono diversi e hanno vari ordini: psicologico, sociale e culturale. Lo dice la letteratura scientifica. La causa non è soltanto attribuibile a un fattore educativo e di certo non può essere l'assenza di punizioni il problema". Un atteggiamento troppo protettivo da parte dei genitori, della scuola e anche dello Stato (sempre dall'intervista di Vannacci "Se perdi un lavoro non ti industri per cercarne uno: aspetti il reddito di cittadinanza") potrebbe essere il seme della violenza? "Al contrario. Oggi non viviamo in un Paese che protegge i figli. Anzi il sistema educativo fino ad oggi è stato basato su violenza e gerarchie: i bambini sono sempre stati sottomessi e in particolare i maschi, senza avere la possibilità di esprimere le proprie emozioni. Non hanno avuto la possibilità di sviluppare una capacità come l'empatia. Non è una dote naturale, va allenata, va educata. L'impossibilità di mostrare la propria fragilità, di comunicare la propria sofferenza può generare reazioni di violenza come quello che è successo a Filippo Turetta. Perché non ha chiesto aiuto quando si trovava in difficoltà? Perché ha sentito di poter affidare le proprie emozioni soltanto a un messaggio privato diretto alla sua ex fidanzata Giulia Cecchettin? E perché non ha saputo regolare le proprie emozioni?". È anche questo il problema del patriarcato, l'impossibilità di vivere le emozioni negative senza pensare di vivere un fallimento. "Gli uomini non sono educati a mostrare le emozioni. Tutti possiamo essere fragili, non è una prerogativa del genere femminile. E non bisognerebbe sentirsi stigmatizzati quando si chiede aiuto. Per questo è fondamentale introdurre l'educazione affettiva nelle scuole: i bambini che non la ricevono non sanno come comportarsi, non sanno riconoscere le loro emozioni e non possono sapere come gestirle e regolarsi. La famiglia dovrebbe essere un'alleata in questo senso ma a volte, proprio perché viviamo in un contesto sociale che è ancora intriso di patriarcato, può non essere in grado di trasmettere questi insegnamenti ai propri figli, per questo ci deve pensare la scuola". Così come insegna a leggere e scrivere.

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