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Gianluca Vialli morto a 58 anni

Vialli e gli occhi della tigre, è stato l’anima dell’Italia che ha vinto agli Europei

Da calciatore Gianluca Vialli sapeva abbinare il coraggio old style, le capacità acrobatiche e una grande sapienza tattica. Per mille motivi non aveva mai vinto in Nazionale, ma per fortuna due estati fa ha vinto in maglia azzurra con il suo gemello Mancini.
A cura di Jvan Sica
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Non abbiamo vinto né un Mondiale né gli Europei con Vialli. Questa frase continua a essere assurda, oggi ancora di più, oggi che ricordiamo Gianluca Vialli dopo la sua morte e magari qualcuno in più va a vedere su Youtube cosa sia stato da calciatore. Era un centravanti che inglobava ogni pezzo di passato, presento e futuro.

Dal passato prendeva il coraggio tigresco di un Piola, Vialli non aveva paura di nessuna marcatura (a uomo e dura, anzi durissima, oggi ci si lamenta giustamente dei calci a Kvara, erano carezze d’amore al tempo) e non aveva paura di mettere la testa dove gli altri avevano remore a mettere le cosce, questa frase la prendiamo dalle descrizioni dei più grandi centravanti britannici che lui faceva ricordare. Dal passato aveva anche quella malizia borghese di Meazza, nato però povero a differenza del cremonese. Vialli era bello, forte e adorato. Era il principe delle copertine in un momento del calcio italiano in cui sulle prime pagine poteva andarci gente come Gullit, Maradona, Matthaus. Per dire.

Del calcio che ha vissuto nella sua totalità ha preso la capacità di essere atleticamente sempre sul pezzo, con una potenza muscolare abbinata a un’elasticità che spesso creava bellezza dove sembrava esserci solo pesantezza. Vialli era acrobatico, uno degli ultimi centravanti-acrobati, solo oggi riportati alla luce da un fenomeno in tutto come Haaland. Vialli sapeva colpire il pallone anche in situazioni geometricamente squilibrate, lo faceva con forza e con lucidità, non era un principe del “proviamoci”, era il re del “facciamolo!”.

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Del calcio di oggi poi Vialli ha davvero tantissimo. Sembrava il 9 old style, tutto muscoli e poco cervello e invece abbinava a una forza spaventosa, in alcuni casi in grado davvero di spostare le partite, un’intelligenza tecnica e tattica eccezionali. Sapeva trattare il pallone e passarlo, vedeva gli altri e i loro movimenti, sapeva uscire dall’area di rigore per giocare sull’esterno e a centrocampo, capiva le difese avversarie e trovava sempre un modo per disequilibrarle, mandando in bambola il proprio marcatore e tutto il cucuzzaro che aveva il compito di impedirgli anche solo di respirare.

Perché questo concentrato di passato, presente e futuro non ha mai vinto in maglia azzurra? Perché nel 1988 ci portò in semifinale con una giocata fantastica contro la Spagna, ma poi lì la gioventù della squadra e l’organizzazione senza intoppi dell’URSS di Lobanovski ci atterrò. Quello fu l’ultimo momento in cui il mondo vide all’Unione Sovietica, intesa addirittura nella sua dimensione sociale, come progetto interessante e futuribile. Purtroppo proprio contro di noi questo canto del cigno.

Il 1990 doveva essere il suo Mondiale. Veniva dalla vittoria della Coppa delle Coppe con un gol (fece in realtà doppietta nei supplementari) in cui aveva messo la testa proprio dove nessun’altro avrebbe osato, e andava verso la vittoria dell’unico campionato della Sampdoria l’anno successivo. Insomma Vialli era il meglio che il calcio italiano poteva esprimere ma a quel Mondiale arrivò infortunato e stanco. Se ne dissero di ogni, ma se vogliamo fermarci solamente all’oggi, basti vedere cosa significa giocare dopo infortuni o da infortunati come sta facendo Lukaku in questa stagione. Arrivare male al torneo della vita è una sfortuna colossale. Vialli questo ha vissuto. E noi abbiamo perso un Mondiale.

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Poi ci incartiamo tra vecchio, nuovo, seminuovo, roba di scarto e passiamo a Sacchi, che vuole dare un’impronta totalmente differente. Come lo fa? Cassando i totem dalla lista: via Giannini, via Zenga, via Bergomi, via Mancini, Vialli resiste fin che può, poi si dice, ma la leggenda qui può essere anche presa per vera, che in un secondo tempo a Eindhoven, sotto 2-0 con l’Olanda, Gianluca chieda agli altri di non stare a sentire Sacchi. Noi vinciamo, Vialli segna un gol magnifico ma allo stesso tempo viene depennato senza sforzo e senza pensieri. A USA ’94 andiamo con due onesti centravanti, Casiraghi e Massaro e perdiamo alla fine anche questa volta. Intanto Vialli si era ripreso da un infortunio e aveva segnato 4 gol nelle ultime 3 partite di serie A con la Juve. Ma niente da fare.

In questa disamina ci focalizziamo solo sulla Nazionale, perché è un cruccio appunto nazionale il non aver vinto con Vialli, ma per fortuna Gianluca ha messo i suoi talenti a disposizione delle squadre di club, in cui ha praticamente vinto tutto.

Sembrava tutto finito tra Vialli e l’azzurro ma per fortuna il suo gemello ha un’idea, una grande idea. Prenderlo come anima della sua Nazionale e farlo pulsare nel cuore di quella squadra. Questa è storia di due estati fa e non possiamo dimenticarla. Mancini e Vialli vincono gli Europei, a Wembley, dove avevano perso una finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona, vincono con la Nazionale.

Nessuno poteva sapere che quella vittoria sarebbe stato l’ultimo grande regalo che Mancini e Vialli si facevano a vicenda, dopo tanti regali-assist e regali-gol che si sono scambiati nel corso degli anni. Quel regalo lo stavano facendo anche e soprattutto a noi tifosi, a noi italiani. In un periodo orrendo per la Nazionale e cupo per la Nazione, ci hanno donato una luce fortissima, abbagliante, inaspettata e per questo ancora più miracolosa.

E adesso di quel miracolo sappiamo una cosa in più: Vialli alla fine ha vinto nonostante il tumore al pancreas se lo sia portato via, strappandolo alla famiglia e agli affetti più cari.

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