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“Oggi recensioni negative online ai ristoranti per chiedere il pizzo. Io denunciai, lo farei altre mille volte”

Raffaele Vitale è il responsabile del nuovo punto dell’Antiracket di Chiaiano, Napoli Nord; ai microfoni di Fanpage.it racconta il suo percorso e le nuove frontiere delle estorsioni.
A cura di Nico Falco
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Raffaele Vitale è il responsabile del nuovo punto della FAI (Federazione Antiracket Italiana) inaugurato a Chiaiano ieri, 14 marzo. Da quasi quattro anni, dal maggio 2020, gestisce la pizzeria "Infermento", a Marianella, nel quartiere in cui è nato e vissuto. E nel quale, nel 2016, ricevette la "bussata" del racket: all'epoca si occupava di un complesso sportivo, tre emissari del clan Lo Russo gli chiesero 2.600 euro.

Oggi, racconta, le estorsioni vengono commesse anche con sistemi nuovi: le ritorsioni possono arrivare sotto forma di recensioni negative, per screditare le attività e costringerle a pagare. Si sfrutta, in modo disonesto, la possibilità che offrono Google e altri siti specializzati di lasciare online una opinione sul servizio e sulla qualità in generale dell'attività commerciale; quelle recensioni andranno a costruire il rating, il punteggio, che permetterà di scalare le classifiche: chi cerca online una pizzeria probabilmente si orienterà su quella che viene riportata tra le prime e, allo stesso modo, scarterà quella che ha ricevuto parecchi commenti negativi. Ecco: far finire una attività commerciale in questa seconda casistica, tramite recensioni false, significa affossare la sua popolarità e, di conseguenza, far perdere clienti e quindi soldi.

In occasione dell'inaugurazione del punto FAI lei ha parlato di questa nuova frontiera delle estorsioni. Come funziona?

Uno dei commercianti mi ha confidato che, dopo essersi rifiutato di pagare il pizzo, si è ritrovato le sue pagine online bombardate di recensioni negative, lasciate con account fasulli. È un sistema anche più semplice, perché non si rischia in prima persona e si è protetti dall'anonimato del web.

La vicenda è chiaramente al vaglio degli inquirenti, che stanno cercando di capire se si tratta di un caso sporadico, dell'opera di un criminale improvvisato, o se, al contrario, c'è dietro una strategia riferibile alla criminalità organizzata. Anche in questo caso è fondamentale che chi è stato vittima di questo tipo di ritorsione denunci.

Come mai la scelta di aprire a Chiaiano un nuovo punto dell'antiracket?

L'associazione è nata a Chiaiano nella struttura dove ho ricevuto la richiesta estorsiva il 27 luglio 2016. Poi sono entrato nella FAI ed è iniziato il mio percorso all'interno dell'associazione. La sede vuole abbracciare anche i quartieri limitrofi, come Marianella, Piscinola, Scampia e Miano. Aprire in questo periodo è stata una casualità, ci abbiamo lavorato due anni, ma quello di Pasqua è uno dei periodi in cui vengono richieste le estorsioni. Ci aspettiamo, con questo messaggio che abbiamo lanciato ieri, di avere sensibilizzato qualche commerciante e spero che qualcuno si faccia avanti: noi lo accompagneremo e tuteleremo, faremo da cuscinetto, da ponte con le Istituzioni.

Spesso un commerciante vittima di racket decide di non denunciare perché ha paura delle conseguenze. Cosa dice a queste persone, anche in virtù della sua esperienza personale?

Io sono stato il primo, nel quartiere, a denunciare. È una scelta che rifarei altre mille volte, perché tutte le forze dell'ordine sono state veramente vicine, è un problema molto sentito. Il fatto che le Istituzioni siano corrotte, che non diano la giusta protezione, è un luogo comune: io non sono stato lasciato solo nemmeno un attimo. È semplice non denunciare, ma non deve essere così.

Grazie alla sua denuncia vennero arrestati tre criminali. Cosa successe quel giorno?

Quei tre erano vicini al Lo Russo, chiedevano soldi alle attività in un momento in cui il clan si era indebolito. Da me vennero un mercoledì, dicendo che sarebbero tornati nel fine settimana sulla mia struttura di calcio. Quel giorno i carabinieri erano nascosti ovunque. Loro probabilmente hanno fiutato qualcosa e hanno deciso all'ultimo momento di cambiare posto e al nuovo appuntamento sono andato con due carabinieri nascosti in macchina. Ricordo che quello venuto a riscuotere, non appena si è reso conto di essere in trappola, ha perso in un attimo tutta l'arroganza con cui era venuto a minacciarmi.

Dopo di me denunciarono altri quattro o cinque commercianti e questo gruppo venne debellato. Oggi esiste ancora il fenomeno sul quartiere, ma i criminali sanno chi puntare: scelgono persone che difficilmente denunceranno perché in un certo modo sono state contigue, che hanno beneficiato del loro intervento, e che adesso vengono chiamate a restituire quei "favori". Purtroppo, fino a venti anni fa, i camorristi venivano visti come punto di riferimento nel quartiere per certe persone.

Altro fenomeno, molto triste, è l'indifferenza è l'egoismo. Io ho saputo di una attività che, dopo una richiesta estorsiva, si è rivolta al parente nelle forze dell'ordine in via non ufficiale. Il problema così non viene risolto, viene solo scaricato su altri perché il criminale resta libero. È un modo di fare che non tolleriamo.

Si è mai pentito di avere denunciato?

Un fenomeno che abbiamo constatato è quello dell'egoismo. Ho saputo di una attività che, dopo una richiesta estorsiva, si è rivolta al parente nelle forze dell'ordine in via non ufficiale. Il problema così non viene risolto, viene solo scaricato su altri perché il criminale resta libero. È un modo di fare che non tolleriamo.

Altri, invece, non denunciano perché, lavorando in quartieri un po' "sfortunati", hanno anche clienti che vivono di illecito. E quindi evitano, per paura di perdere clienti. Io non mi sono mai pentito di avere denunciato, mai.

La gente deve sapere che ci sono anche dei benefici, ci sono dei fondi appositi, lo Stato ti risarcisce dal punto di vista biologico oltre che economico. Oltre al fatto che è sempre meglio circondarsi di brave persone piuttosto che di criminali. Voglio poi sottolineare il supporto fornito dalla FAI, sia come assistenza legale, sia costituendosi come parte civile al processo, in modo che la vittima non sia costretta a presenziare in tribunale.

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