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“Temo possa esserci un focolaio di scabbia”: parla l’infettivologo che ha ispezionato il Cpr di Milano

“Ci hanno segnalato diverse persone con lesioni cutanee compatibili con dei casi di scabbia. Non aver potuto visitare queste persone, da infettivologo, lascia il dubbio che ci possa essere addirittura un focolaio di scabbia all’interno”, parla il medico Nicola Cocco che ha ispezionato il Cpr di Via Corelli a Milano.
Intervista a Dott. Nicola Cocco
Meico invettivologo
A cura di Sara Tirrito
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Prima le proteste poi il pestaggio. Gli episodi accaduti tra sabato 10 e domenica 11 febbraio nel Centro di permanenza per il rimpatrio di via Corelli a Milano hanno portato i consiglieri regionali Luca Paladini e Pierfrancesco Majorino a fare una visita a sorpresa alla struttura, anche se la Prefettura gli ha negato l'accesso in alcune aree. Paladini è entrato con al seguito Teresa Florio di Mai più lager – No ai cpr, Cesare Mariani del Naga e il medico infettivologo Nicola Cocco. A lungo consulente per il Garante nazionale per i diritti delle persone detenute e private della libertà personale, Cocco ha visitato quasi tutti i cpr d’Italia e ha partecipato al sopralluogo del 2022 voluto dal senatore Gregorio De Falco nel Cpr di Milano.

Dopo la visita delle scorse ore in via Corelli, il medico ha detto a Fanpage.it di aver trovato condizioni molto simili al periodo precedente al commissariamento, con "protocolli sanitari inesistenti o ignorati, nessuna trasparenza nella gestione dei farmaci e la lista del dosaggio massimo degli psicofarmaci più comuni affissa al muro dell’infermeria esattamente come nell’ultima visita del 2023".

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Com'è andata la visita al cpr di Milano?

Non ci è stato possibile vedere moltissimo. La prefettura ha dato disposizione di non entrare nei moduli abitativi nonostante fossimo con un rappresentante eletto, questo chiaramente ha pregiudicato il sopralluogo. Da quello che abbiamo visto nella struttura, sicuramente emerge l'assoluta mancanza di cambiamento rispetto al periodo precedente al commissariamento della gestione.

Non è cambiato niente nemmeno nell’infermeria e sul diritto alla salute in generale?

Le faccio degli esempi. Ci sono ferri chirurgici non sterilizzati e non chiusi. Sono messi in un armadietto. Non si capisce perché, visto che non vengono usati: così sono solo pericolosi. C’è poi un defibrillatore automatico che non ha nessun registro di monitoraggio per capire se sia funzionante e nessuno sapeva dirci se lo sanno utilizzare. Questo è particolarmente importante per un cpr dove, purtroppo, come ha dimostrato il suicidio di Ousmane Sylla a Roma, i tentativi di suicidio sono numerosi. Ecco, questi presidi vengono usati anche nei tentativi di suicidio. Dal confronto con il personale sanitario dell'ente gestore – che, a parte la direttrice, è rimasto invariato anche dopo il Commissariamento – emerge che queste persone non sanno come prendersi cura della salute delle persone migranti né tantomeno di come gestire contesti complessi come quelli detentivi o di privazione della libertà. Questo confronto ha poi evidenziato come non ci siano protocolli da seguire e ogni medico faccia un po’ come ritiene più opportuno.

In che senso?

Ci ha spiegato che appena succede qualcosa di grave lui chiama subito il 118 ma altri colleghi preferiscono aspettare e ricorrono all’ambulanza solo dopo diverse ore o addirittura giorni.

Cos’è successo dopo gli scontri con la Guardia di finanza?

Al di là della gravità dell’intervento delle forze dell'ordine – che deve comunque farci ricordare che la violenza è il linguaggio comune che c'è all’interno dei cpr – il problema è che non è stato chiamato subito il 118 per soccorrere le due persone pestate dalla Polizia.

Di notte nei cpr non c’è il medico. L’infermeria – che non è un ambulatorio – ha un presidio infermieristico 24 ore su 7 giorni ma il medico c’è solo per circa sei ore al giorno, nel pomeriggio, dalle 14 alle 20. Quando insorgono problematiche gravi o c’è un evento critico si dà per scontato che si chiami il 118. I due trattenuti picchiati invece sono stati visti solo da un’infermiera. L’unico elemento scritto che abbiamo trovato era un foglio di consegne che si sono lasciate le infermiere. Abbiamo capito che chi era di turno di notte ha visitato il 18enne. Siccome lui non si lamentava, l’hanno tenuto un po’ in infermeria e poi l’hanno rivisto dopo diverse ore. L’ambulanza è stata chiamata solo nella mattina dell’11 febbraio perché le persone picchiate hanno cominciato ad avere dei dolori.

Cosa vuol dire arrivare così tante ore dopo sul piano sanitario?

Spero che non sia successo niente di grave ai due ragazzi, in teoria li hanno dimessi. Ma nelle colluttazioni uno dei due avrebbe potuto riportare un trauma cranico, un'emorragia interna, o una qualsiasi tipo di problema che non si manifesta immediatamente. In quelle ore, senza adeguata assistenza medica, poteva peggiorare con esiti molto gravi. Questo ha fatto emergere ancora una volta che non solo c’è l’episodio di violenza ma c’è l’assoluta incapacità da parte del personale di prendersi carico della salute dei trattenuti, nonostante il periodo di commissariamento.

Crede che questi atteggiamenti siano isolati o sistemici?

La sera prima, un detenuto con cui abbiamo parlato, ha fatto un gesto strano. Ha bevuto dello shampoo. Immaginiamo se al posto dello shampoo ci fosse stata candeggina o un caustico. Noi abbiamo parlato con questa persona e sembrava estremamente confusa. La spiegazione di questa confusione l’ho poi trovata nella terapia che stava assumendo. Era imbottito di Valium (un sedativo, ndr) e Tavor (un ansiolitico, ndr). Non abbiamo avuto modo di ricostruire le motivazioni perché ci hanno negato l’accesso alle cartelle cliniche. Non abbiamo capito quindi perché questa persona abbia fatto un gesto così inspiegabile, se fosse autolesivo o di protesta. Lui ha detto di avere ingerito dello shampoo perché voleva farlo ma era chiaramente confuso. Ci ha detto che assumeva ansiolitici e sedativi.

E lo shampoo?

Naturalmente bisogna relativizzare, perché l'ingestione di uno shampoo non mette immediatamente a repentaglio la vita. Ma l’aspetto grave è che, oltre a non portare il ragazzo in ospedale, l’unica cosa che ha fatto il personale è stata dargli da bere moltissima acqua, con l’idea che in questo modo si potesse diluire lo shampoo. In realtà, quando si assumono prodotti che producono schiuma, a contatto con l’acqua c’è il rischio che producano tanta schiuma e che si possa esserne soffocati. Quindi, ancora una volta, il personale sanitario ha mostrato di non essere in grado di intervenire in caso di urgenze.

Ha notato altri casi di inefficienza sanitaria?

Manca completamente un registro degli eventi critici. Gli episodi del 10-11 febbraio, per esempio, non erano riportati da nessuna parte nella documentazione ufficiale, perché il registro degli eventi critici non esiste, anche se è previsto dalla normativa. E nessuno aveva scritto nei diari di queste persone cosa fosse accaduto, perché il medico non c’è la notte. Se ci fossero stati degli esiti più gravi non ce ne sarebbe stata traccia. E invece una delle indicazioni principali in ambito medico è che ogni qualvolta accade un evento critico deve essere segnalato. Questo è scritto chiaramente nella normativa che regolamenta i cpr, e questa è una mancanza grave, che si verifica tra l’altro adesso che il cpr è commissariato. In generale poi colpisce la mancanza di trasparenza.

Per esempio?

Io lavoro in carcere. Nessuno si sognerebbe di negare a una persona autorizzata a entrare di visitare degli spazi. Anche perché ti vengono poi dei dubbi che ci sia qualcosa da nascondere.

Cosa avrebbe aggiunto la visita ai moduli abitativi dal punto di vista sanitario?

Avrei potuto parlare con i trattenuti, questa è la cosa principale. Nella visita abbiamo potuto ascoltare solo poche persone, portate dagli agenti e nelle sale colloqui. Avrebbe fatto la differenza anche solo sentire qualcuno che abbia visto la dinamica di quello che è successo, o che possa segnalare delle persone che hanno problemi. In altri sopralluoghi che ho fatto, questo è stato fondamentale, perché sono gli stessi trattenuti che segnalano casi di persone in difficoltà o con comportamenti anomali. In questo modo spesso abbiamo saputo di ospiti con gravissime forme di psicosi o problemi di salute mentale che altrimenti non venivano segnalate dal personale sanitario dell’ente gestore. Non aver potuto parlare con i trattenuti negli spazi di detenzione è veramente grave.

Lei è un infettivologo. Dalle segnalazioni di Mai più lager – No ai cpr sembrerebbe che diversi migranti abbiano macchie sul corpo. Le risulta?

Ci hanno segnalato diverse persone con lesioni cutanee compatibili con dei casi di scabbia. La scabbia è una patologia altamente contagiosa. Rappresenta un grave pericolo per tutti i luoghi in cui si trovano comunità ristrette. Ci siamo informati. Infermieri e personale sanitario ci hanno detto di avere escluso che fosse scabbia senza alcuna valutazione specialistica, che avevano offerto dell’antistaminico e che i trattenuti l’avrebbero rifiutato. Ovviamente la scabbia non si cura con l’antistaminico. Ecco, non aver potuto visitare queste persone – da infettivologo – lascia il dubbio che ci possa essere addirittura un focolaio di scabbia all’interno del cpr.

Siete riusciti ad accedere all’infermeria?

Rimane attaccato al muro dell’infermeria del cpr di via corelli un foglio con i dosaggi massimi di psicofarmaci che si possono utilizzare. Ne sono stati cancellati due o tre molto noti, perché stanno riducendo la tipologia in seguito al dibattito che si è creato sul piano nazionale, ma rimane il fatto che hanno un foglio in cui c’è scritto il quantitativo massimo utilizzabile per un farmaco. Questo non è un modo umano di usare farmaci.

Cioè?

Sostanzialmente, siccome nessuno di quelli che lavorano nel cpr ha una formazione psichiatrica, gli operatori non sanno utilizzare gli psicofarmaci. Questo foglio allora dice a quale dosaggio si può arrivare al massimo. È gravissimo, perché lascia ipotizzare che gli psicofarmaci siano usati spesso e velocemente e che il personale abbia bisogno di guardare al volo un foglio appeso al muro per capire a quale dosaggio possa arrivare. Avevo segnalato già la scarsa dignità (anche professionale) di quel foglio, ma era ancora lì nonostante il commissariamento.

Siete riusciti a vedere altri luoghi?

Ho fatto richiesta ufficiale di poter visionare la cassaforte del cpr, dove vengono conservate le terapie sostitutive per le persone tossicodipendenti, come il metadone. Questi farmaci, proprio perché sono degli stupefacenti, devono essere conservati in cassaforte. E ogni cpr ha una cassaforte. Ho chiesto di visitarla, perché mi hanno detto che non c’è nessun tossicodipendente che faccia uso di farmaci. Eppure, mi hanno negato di vederla dicendo che c’era bisogno di un’autorizzazione specifica.

Gli altri farmaci erano tenuti correttamente?

Non hanno un frigorifero per conservare i farmaci termosensibili. Quindi per esempio se c’è un paziente diabetico che deve prendere l’insulina non sanno dove mettere l’insulina. La risposta che mi hanno dato è che in caso di necessità utilizzano un piccolo frigorifero da bar che si trova nello studio del direttore. Perché non hanno un frigo adeguato per lo stoccaggio dei farmaci.

Perché secondo lei vi hanno impedito di accedere?

Credo che la Prefettura abbia gestito molto male questo sopralluogo. Anche nei suoi stessi confronti, perché alla fine la trasparenza permette di potersi anche difendere se ci sono delle problematiche.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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