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Emergenza lavoro

Le imprese non trovano personale da assumere, Cgil Lombardia: “Società basata sullo sfruttamento”

Secondo un’indagine di Confcommercio le imprese vorrebbero assumere ma non trovano personale. A Fanpage.it il segretario generale di Cgil Lombardia Alessandro Pagano spiega come la causa non può essere il reddito di cittadinanza, ma le condizioni di lavoro offerte.
Intervista a Alessandro Pagano
Segretario generale Cgil Lombardia
A cura di Enrico Spaccini
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Alessandro Pagano, segretario generale Cgil Lombardia (YouTube)
Alessandro Pagano, segretario generale Cgil Lombardia (YouTube)
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Le vacanze estive stanno arrivando, manca sempre meno. Le città si riempiono di turisti che vanno alla ricerca di una camera d'albergo dove dormire, di un ristorante dove mangiare la cucina tipica del territorio e di un bar dove fare aperitivo. Dopo due anni di pandemia e di persone bloccate in casa, è ossigeno per le imprese. Tuttavia, un'indagine condotta dall'ufficio studi di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza ha evidenziato come sebbene il 58 per cento delle imprese del terziario (soprattutto milanese) vogliano assumere, otto su dieci non trovano personale.

Secondo il 68 per cento degli imprenditori e Marco Barberi, segretario generale della Confcommercio territoriale, la principale causa è il reddito di cittadinanza: uno strumento che "disincentiva le assunzioni". Non è dello stesso avviso Alessandro Pagano, segretario generale di Cgil Lombardia. Intervistato da Fanpage.it, chiarisce subito una questione: "Mondo del lavoro e reddito di cittadinanza sono ormai due universi distinti. Viviamo in una società basata sullo sfruttamento, nella quale le colpe cadono sul più debole".

Che cosa intende?

Chiunque abbia un minimo di buon senso, conoscendo i valori e i requisiti del reddito di cittadinanza (erogazione media di 588,40 euro, ndr) sa che è diventato un sostegno destinato a chi si trova in condizione di povertà. Si sta veramente esagerando. Tutti dicono che bisogna contrastare le differenze sociali e poi si va a discutere sull'unico strumento, seppur imperfetto, per contrastare la povertà e uscirne. Trovo stupefacente che ci sia un dibattito a riguardo.

E allora per quale motivo le imprese lo vedono come il principale avversario da battere?

Devo dire che c'è anche un po' di propaganda in queste dichiarazioni. C'è perfino chi annuncia un referendum per abolirlo. Sicuramente andrebbe a beneficiare chi ha interesse a mantenere salari bassissimi e condizioni di lavoro precarie, in modo da massimizzare i profitti. Stiamo assistendo sempre più spesso a un abuso di strumenti come il tirocinio extracurricolare per i più giovani.

Da dove nasce questo astio nei confronti del reddito di cittadinanza?

Verso chi percepisce il reddito c'è sempre come sottinteso la questione del lavoro nero. Ci si dimentica, però, che se c'è il lavoro nero vuol dire che qualcuno paga in nero. Non è un problema di chi lavora, visto che in fine dei conti conviene solo al datore di lavoro. Viviamo in una società basata sullo sfruttamento senza limiti, dove alla fine viene incolpato lo sfruttato e non chi sfrutta.

Però i cosiddetti "furbetti" ci sono.

C'è chi ne abusa, c'è chi truffa. Non solo sul reddito, ma in tutte le categorie. Però vediamo come quelli che si individuano più facilmente sono proprio i più deboli. Anche perché basta fare una verifica e vengono scoperti. Ma comunque non si parla di persone che in alternativa avrebbero accettato l'offerta di questa o quella attività commerciale milanese. Basterebbe un minimo di onestà intellettuale per avere il quadro vero. Il reddito di cittadinanza non c'entra nulla.

Quale consiglio si sente di dare alle imprese?

Credo che le imprese farebbero meglio a ragionare su quali sono le necessità per costruire l'incrocio tra offerta e domanda in prospettiva. Fin troppo spesso assistiamo a offerte povere, precarie e per le quali si rischia anche la pelle. C'è l'abitudine a considerare normale proporre un lavoro che duri anche solo un fine settimana. Anche Confidustria si lamenta dello stesso problema.

Si diceva che con il reddito di cittadinanza si sarebbe trovato il lavoro per tuti.

Il reddito è partito con prospettive sulle quali anche noi siamo stati critici. Gli si collegava uno strumento di politica attiva per il lavoro. Non ha funzionato, come era prevedibile. La povertà non è la disoccupazione, sono due questioni diverse. La povertà significa essere usciti dal processo della vita normale. Il reddito di cittadinanza oggi permette di avere la garanzia di qualche centinaio di euro, in modo da pensare a come reinserirsi nel contesto lavorativo. Alle volte non è nemmeno il lavoro il principale problema, ma cosa mangiare oggi e dove dormire stanotte.

A questo argomento, poi, si ricollega il luogo comune del giovane che non ha voglia di lavorare.

Sì, che poi non sono nemmeno loro i destinatari del reddito. Se vuoi assumere un giovane, tra l'altro fuori dai contratti nazionali e a part time anche due ore al giorno, il ragionamento costo-beneficio uno lo fa. Magari c'è chi preferisce investire quel tempo in un altro modo, piuttosto che per un lavoro che non offre prospettive, garanzie e per il quale viene pagato poco.

Bisogna anche considerare che le imprese vivono un momento difficile: prima la pandemia, ora la guerra e l'innalzamento dei costi delle materie prime.

La pandemia ha falcidiato le imprese, lo sappiamo. Però non condividerò mai la visione che scarica sui più deboli le responsabilità e gli oneri. In questo modo chi è povero rischia di diventare più povero. Non è accettabile. Invece di lamentarsi di 500 euro dati ai poveri, per i quali bisogna essere contenti di aver istituito questa misura anche se da ultimi in Europa, cercare di capire cosa ottenere dalle politiche pubbliche per creare una tenuta e una prospettiva per il settore industriale. Non di accanarsi con i poveri. Del salario minimo non ne parla nessuno. Se c'è una priorità oggi, lo stanno dicendo anche i banchieri, è quella di alzare gli stipendi. Della difesa del potere d'acquisto.

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