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Emergenza lavoro

Lasciata a casa dal lavoro 4 giorni prima di rientrare dalla maternità: “Mi sono sentita sbagliata”

Ginevra per quasi undici anni ha lavorato per una nota radio italiana di Milano. Poco prima che rientrasse dalla maternità, le è stato detto che la loro collaborazione si sarebbe interrotta. Non le sono stati dati validi motivi. Ha fatto poi causa, l’ha vinta e adesso lavora per una azienda dove “mi rispettano come donna”. Dopo il trauma subito dal vecchio posto di lavoro, ha pensato: “‘Se non avessi avuto un figlio, lavorerei ancora per loro? Poi mi dico che è un pensiero sbagliato perché non ho fatto nulla di male”, ha detto a Fanpage.it.
A cura di Ilaria Quattrone
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Ginevra (nome di fantasia) ha raccontato a Fanpage.it come, poco prima di concludere la maternità, sia stata lasciata a casa dall'azienda per la quale lavorava. La donna aveva una collaborazione con partita iva – anche se trattata come una dipendente – per una nota radio italiana: "Ho iniziato a lavorare con loro quando frequentavo ancora l'università. Avevo necessità di trovare uno stage curriculare. Il mio sogno è sempre stato quello di lavorare in radio. Mi hanno chiamato in questa nota emittente dove mi hanno attivato un tirocinio di tre mesi. Ero di supporto alla redazione. Trascorso quel periodo, hanno deciso di stipulare con me diversi contratti a progetto".

Dopo qualche anno Ginevra ha ottenuto una collaborazione con partita iva: "Dopo dieci anni ero ancora con questa tipo di regime fiscale. Nonostante questo, mi sono sposata e ho avuto un figlio. Prima di andare in maternità, ho chiesto: ‘Non è che quando torno non trovo più il mio posto? Mi hanno rassicurata dicendomi che sarei rimasta. Ho deciso di non farla per intero perché volevo far vedere che ci tenevo. Ogni tanto andavo da loro per chiedere se fosse tutto tranquillo e mi dicevano che ci saremmo visti il giorno del mio rientro".

Quattro giorni prima che la maternità terminasse, le è stato chiesto di presentarsi in ufficio: "Pensavo fosse per firmare un nuovo contratto. Nella mia testa non c'era altra possibilità anche perché non sono mai stata ripresa e non ho mai avuto alcuna lettera di richiamo. Quando sono arrivata, mi hanno detto che avrebbero interrotto la nostra collaborazione sostenendo che la mia posizione non c'era più e affermando che non c'era alcun posto attualmente libero per me, ma che avrebbero potuto offrirmi di andare nel weekend. Io però non ero più una ragazzina di vent'anni. Per me è stata una doccia gelata".

"A distanza di sei anni non so ancora perché mi abbiano mandata via. Io ho fatto causa. Hanno provato a darmi quattro soldi, ma non c'è stata alcuna conciliazione. Durante la prima udienza mi hanno offerto 18mila euro. Ho rifiutato. Ho poi detto al mio avvocato che se non mi avessero dato la cifra che chiedevo, sarei andata avanti. Il giorno successivo hanno accettato la mia proposta".

Adesso Ginevra lavora come impiegata per un'altra azienda di Trezzano sul Naviglio che si occupa di trasporti: "Mi hanno offerto subito un contratto a tempo determinato per poi stabilizzarmi. Mi vogliono bene e mi rispettano come donna. Al primo colloquio, ho specificato che ero madre. Loro mi hanno risposto: E qual è il problema?".

"Quanto ho subito mi è costato due anni di terapia. Tante volte ho pensato: ‘Se non avessi avuto un figlio, lavorerei ancora per loro? Poi mi dico che è un pensiero sbagliato perché non ho fatto nulla di male. All'inizio mi sono data tante colpe. Per diversi anni l'ho fatto. A livello emotivo è stata una botta allucinante. Mi sono sentita sbagliata. Mi ci sono voluti anni per superare questo senso di colpa. Mi ha veramente causato un crollo emotivo ed economico non indifferente".

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