191 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Donna disabile licenziata dopo 24 anni di lavoro: “Ho solo chiesto l’adeguamento ai miei colleghi maschi”

Per una donna di 50 anni è stata avviata una procedura di licenziamento dopo 24 anni di lavoro perché “non idonea alla mansione”: “Sono vittima di un’ingiustizia, non si può fare questo a una malata. Ho dedicato 24 anni della mia vita a questa azienda”, ha detto a Fanpage.it.
A cura di Ilaria Quattrone
191 CONDIVISIONI
Immagine

Domenica è una donna di cinquant'anni, alla quale a inizio gennaio è stata inviata una raccomandata in cui le è stata comunicata l'apertura di una procedura di licenziamento. La cinquantenne rischia il proprio posto, dopo 24 anni di lavoro, perché ritenuta "non idonea alla mansione".

La donna, che ha un'invalidità del 67 per cento ed è in categoria protetta, lavorava per la St Microeletronics e precisamente nella sede di Agrate Brianza (Monza e Brianza) che conta 5.300 dipendenti: "Quando ho scoperto di essere malata, sono stata trasferita in un altro reparto. Ancora prima di essere collocata a tutti gli effetti, il mio medico ha voluto sapere in cosa sarebbe consistito il mio lavoro. Dopo aver ricevuto il suo consenso, ho iniziato a svolgere le mie mansioni all'interno dell'ufficio posta dove lavoravano altri due uomini con un'invalidità inferiore alla mia", ha spiegato a Fanpage.it.

"Dopo due anni e mezzo mi sono permessa di chiedere di essere equiparata ai miei colleghi, che mi venisse riconosciuto il livello impiegatizio. Da lì, è partito il mio inferno. Eppure facevamo le stesse cose: spedivamo raccomandate, ricevevamo poste che giravamo ai dirigenti", ha precisato.

L'azienda ha quindi deciso di ricollocarla nel reparto produttivo dove però la lavoratrice era stata esonerata nel 2006: "Ho avuto un malore e sono stata trasferita in ospedale. Ho presentato un ricorso ad Ats che mi ha dato ragione. Considerate le mie patologie, i reparti produttivi non sono compatibili con il mio stato di salute", ha sottolineato.

"L’azienda ha risposto che si sarebbe presa un periodo di riflessione per cercare una nuova mansione. Avrebbero potuto collocarmi dove ero prima, considerato che ho lavorato in quel reparto per due anni e mezzo. Dopo tre mesi e mezzo, durante i quali mi hanno concesso i permessi retribuiti, ho ricevuto una raccomandata dove mi informavano dell'apertura di una procedura di licenziamento", ha ancora raccontato.

L'azienda ha infatti specificato di aver rescisso il contratto dopo aver verificato "che non ci fosse una mansione adatta a tutelare la salute della lavoratrice". Il 19 febbraio si concluderà la procedura di licenziamento. Fino a quella data le saranno concessi i permessi retribuiti: "Se non si raggiungerà un accordo, la conseguenza sarà il licenziamento. Mi hanno proposto di essere trasferita nelle sedi più piccole (200-300 dipendenti) che sono sparse per l'Italia. Ho chiesto di poter andare quindi a Lecce, la mia città. Mi hanno detto di no. Le alternative sono Napoli, Arzano, Marcianise, Caserta. Non è stato contemplato nemmeno il collocamento negli uffici di Cornaredo".

Per Domenica, così come per tutti, perdere il lavoro è devastante: "Lo è ancora di più per chi è malato. Io devo affrontare spese costose per le cure e ho un mutuo: non ho le spalle coperte. Non ho un marito o un compagno. Mi hanno buttata in mezzo alla strada. Sono vittima di un'ingiustizia, non si può fare questo a una malata. Ho dedicato 24 anni della mia vita a questa azienda. Non sono colpevole, non ho deciso di essere malata. Non dipende da me, non è una variabile che potevo prevedere. Mi sento anche discriminata come donna, oltre che come lavoratrice e ammalata".

Alcune ex colleghe le hanno scritto per dimostrarle solidarietà: "Mi hanno detto che è un'ingiustizia". Quelli che però ancora lavorano in quella sede, le hanno rivelato "di aver paura perché spaventati che possa succedere a loro".

"Per me si tratta anche dell'eliminazione di uno status sociale. Non riesco a capire come un'azienda che fa molta pubblicità, premiata come luogo migliorare dove lavorare in Italia, il cui motto è People First, possa fare una cosa simile. È una cosa gravissima colpire una persona già malata, solo perché ha chiesto un adeguamento di livello".

La cinquantenne ha voluto poi lanciare un appello: "Voglio sensibilizzare tutti sia i politici, sinistra o destra che siano, perché se lo fa una multinazionale non voglio immaginare le piccole aziende. Invito anche tutte le sigle sindacali a mobilitarsi perché non devono esserci divisioni. Alcune organizzazioni sindacali (Film Cisl e Fiom Cgil), infatti, si sono astenute perché non sono una loro iscritta".

"Ho ricevuto più tutele della mia università che dalla mia azienda. Sono anche immunodepressa. Per ogni esame universitario svolto in presenza, viene riservata per me una scrivania lontana dagli altri".

Intervistato da Fanpage.it Vittorio Sarti, segretario generale UILM Milano Monza e Brianza che sta seguendo il caso di Domenica, ha spiegato: "L'unica cosa che ha fatto è stato chiedere la promozione. L'azienda, invece, l'ha licenziata perché diceva che non sapeva dove collocarla. È una scusa. Parliamo di una struttura con 5.300 persone, non quindici. Esiste anche un'altra sede in provincia di Milano. E invece di proporle un collocamento lì, l'azienda le ha chiesto se volesse trasferirsi a Catania o Napoli. È un modo per lasciarla a casa: una persona di 50 anni, che vive a Milano, difficilmente lascia tutto per trasferirsi altrove".

Come ricorda il sindacalista, si tratta di una società con fatturati importanti: "Ci sembra assurdo che un'azienda di questo tipo possa licenziare una lavoratrice perché non riesce a ricollocarla. Eppure una settimana prima dei fatti, è stata pubblicata la notizia che St era stata premiata perché ritenuta uno dei posti migliori in cui lavorare in Italia. Dopo qualche giorno ha però avviato una procedura contro una lavoratrice disabile".

191 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views