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La “Kim Kardashian pakistana” uccisa dal fratello per i suoi selfie: non sarà perdonato

Qandeel Baloch è stata uccisa lo scorso fine settimana dal fratello in quello che si configura come un nuovo delitto d’onore. La 26enne era molto nota sui social network, grazie alla sua continua esposizione. Lei aveva scritto al governo chiedendo protezione. Il governo del Punjab ha però assicurato che l’uomo non la passerà lascia, nonostante la tradizione voglia che in questi casi si privilegi la “difesa dell’onta” subita dalla famiglia.
A cura di Biagio Chiariello
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Qandeel Baloch, era considerata un po’ la Kim Kardashian del Pakistan. Con 600 mila fan su Facebook e oltre 100 mila su Instagram, una partecipato a un reality show in India, la ragazza era un vero e proprio idolo del web. Era, appunto. Il 15 luglio 2016 è morta a 26 anni, nella casa della sua famiglia a Muzaffarabad, a un centinaio di chilometri da Islamabad. E’ stata uccisa dal fratello in quello che avrebbe potuto configurarsi come un nuovo delitto d’onore. La colpa di Baloch – il suo vero nome era Fauzia Azeem – sarebbe stata di aver oltraggiato il nome della famiglia pubblicando delle foto troppo spinte su Facebook. In realtà oggi le autorità pakistane hanno fatto sapere che daranno la possibilità Muhammad Waseem di ricorrere a questa scappatoia legale che vede molti “delitti d'onore” restare impuniti nel Paese.

Qandeel Baloch aveva costruito la sua fama, proprio grazie ad una lunga serie di selfie sui social media, suscitando però scandalo e condanna negli strati più conservatori del Paese musulmano. Fra gli annunci che quest'anno avevano fatto rumore, la promessa di fare uno strip tease se il Pakistan avesse vinto un match con l'India (perso però) nei mondiali T20 di cricket. Dopo esperienze anche in vari Paesi d'Europa ed in Medio Oriente, la 26enne era tornata anni fa nel suo Paese d’origine, suscitando subito l'entusiasmo dei suoi fan, ma anche severe critiche da parte dei religiosi islamici. Tanto da essere costretta a scrivere tre settimane fa al ministero dell'Interno sostenendo, anche in una conferenza stampa, di essere minacciata e chiedendo quindi protezione da parte della polizia. Waseem ha detto ai media di non aver avuto "nessun rimpianto" nell’uccidere la sorella. Va detto che oltre 500 persone, quasi tutte donne, muoiono in delitti d'onore in Pakistan, ogni anno, di solito per mano di parenti che agiscono sempre per “difendere l’onta” subita dalla famiglia. Un riflesso della tradizione patriarcale e maschilista che domina il paese. Non è chiaro se la decisione del governo del Pakistan possa portare ad eventuali riforme significative in materia di “delitti d’onore”.

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