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La Banca Mondiale: econonomia italiana imbrigliata da burocrazia e assenza di riforme

Il Doing Business report 2015, pubblicato oggi, analizza le economie di 189 paesi confrontando le pratiche utili a far cresce le imprese. Italia 56esima dopo Ruanda e Romania.
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L'Italia non è un paese per imprenditori. Questo, in estrema sintesi, è quanto emerge dal report Doing Business 2015 stilato dalla Banca Mondiale e che prende in esame lo stato annuale delle economie di 189 paesi. Quest'anno l'Italia è stata classificata al 56esimo posto nel ranking mondiale, distanziandosi non solo dalle isole felici del commercio quali Singapore, Nuova Zelanda e Hong Kong (rispettivamente prima, seconda e terza posizione), ma distanziandosi anche da realtà meno note quali Georgia (15), Estonia (17), Lettonia (23), Lituania (24), Mauritius (28), Macedonia (30), Montenegro (36), Ruanda (46) e Romania (48).
L'analisi, che analizza le differenti propensioni nazionali a far fare impresa, le politiche e le riforme messe in atto dai vari governi per aiutare il business e gli ostacoli che rallentano la crescita del tessuto economico di ogni singola nazione, mette in luce come l'organizzazione burocratica del Belpaese sia ancora troppo presente e come, di fatto, arresti la crescita e la maturazione di quelle attività commerciali che se liberate dal giogo dei blocchi amministrativi potrebbero contribuire a risollevare le sorti di un paese definito, nel rapporto stesso, ancora in grande difficoltà per la crisi sistemica che ha colpito l'intera Unione Europea e in particolar modo i paesi dell'area Meridionale quali Spagna, Grecia e Portogallo.

I criteri del rapporto

Il posizionamento italiano, così come quello degli altri 188 paesi, è il frutto della media di dieci classi di valutazione che contribuiscono a formare la media generale. Le dieci sottoclassi riguardano: le difficoltà relative all'aprire una nuova attività commerciale; i tempi e le modalità per il rilascio dei permessi di costruzione; l'accesso all'energia elettrica; la registrazione delle proprietà; l'accesso al credito; la protezione degli investitori appartenenti alle minoranze; il pagamento delle tasse; il commercio internazionale; far valere i contratti; le procedure per il trattamento delle insolvenze. Il quadro che ne emerge è tutt'altro che stimolante. E se il dare vita in sé ad un'impresa risulta essere meno complicato rispetto a pochi anni fa (passando dalla 61esima posizione alla 46esima nella classifica di classe), ben 7 indicatori registrano passi indietro e 2 rimangono stazionari (registrazione della proprietà ed insolvenze). Le peggiori prestazioni sono segnate dal mancato rispetto dei contratti (147esimo posto su 189), dal pagamento delle tasse (141esima posizione), dall'accesso ai permessi di costruzione (116esimo posto) e infine dall'accesso all'energia elettrica (102esima posizione). È rilevante notare come tutti questi indicatori siano peggiorati, in alcuni casi anche in modo sensibile, dal rapporto del 2014 denotando l'evidente assenza di politiche economiche concrete ed adeguate al miglioramento della struttura economica nazionale.

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Le particolarità del caso Italia

“Il caso italiano – si legge nel lungo documento –, risulta essere di particolare interesse, perché nonostante mostri una grande eterogeneità nelle prestazioni d'impresa ed economiche a livello nazionale, denota la permanenza di grandi differenze tra il nord e il centro del paese, più sviluppati, rispetto al Meridione*”. E ancora più nello specifico si legge: “La ricerca analizza le differenze tra i carichi burocratici delle realtà italiane, prima dell'attuazione della riforma che ha ridotto il numero di procedure e il tempo necessario ad avviare un'attività imprenditoriale. Nel periodo esaminato è stata riscontrata una correlazione negativa tra i tempi ed i costi delle procedure atte all'apertura delle attività e l'entrata in operatività di queste nuove realtà. Al termine del riguardante l'effetto di variabili addizionali, quali la misura dello sviluppo finanziario locale e l'efficienza delle procedure per la bancarotta, la ricerca ha riscontrato che le procedure burocratiche attuali contribuiscano a ritardare – anche a causa di protocolli inefficienti –, i guadagni per le nuove attività industriali che avrebbero potuto beneficiare di entrate maggiori in relazione ai settori di provenienza. I dati inoltre denotano un robusto impatto negativo sulle pmi. La relazione tra tempi di entrata in operatività e costi è ritenuta statisticamente rilevante, sebbene dipenda anche da altri fattori. Ad esempio problemi maggiori sono stati riscontrati nelle aree meno sviluppate o in quelle in cui vi è presente un alto livello di corruzione e nel settore dei servizi (e non in quello manifatturiero)”.

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L'esperto di Unioncamere Altavilla

Unica nota positiva, per quanto riguarda l'Italia, è relativa all'area della start up come ha spiegato a Fanpage.it Mario Altavilla, dell'area semplificazione servizi digitali e legalità di Unioncamere nonché tra gli estensori del rapporto. “Il miglioramento sostanziale del settore è legato strettamente alla semplificazione delle procedure e alla velocizzazione delle stesse, pratiche che hanno consentito al comparto di guadagnare 15 posizioni. Questo miglioramento deriva dall'applicazione delle riforme degli anni scorsi, in particolare 2012 e 2013, che stanno iniziando a dare i primi frutti. L'esempio più lampante riguarda l'apertura delle cosiddette Srl semplificate che, grazie a queste nuove norme, posso essere aperte in tempi rapidi – grazie alla procedura unica – e senza oneri gravosi per i soggetti. Tuttavia a pesare ancora sulle start up rimangono i costi legati agli atti costitutivi che, rispetto ad altre realtà europee, rappresentano ancora un ostacolo alla realizzazione di nuove imprese (si pensi ai costi notarili, ndr). In sintesi non è tanto la complessità della burocrazia che ci penalizza visti i balzi in avanti nel settore digitale, bensì il peso dei costi che rimangono ancora elevati”.

Sebbene la situazione sia ancora pesante e difficile, e nonostante il fatto che ancora oggi aprire un'attività commerciale nel Belpaese presenti grandi difficoltà in termini pratici ed economici, il rapporto denota come comunque il paese abbia iniziato un lento ma positivo cammino verso la semplificazione normativa. “Queste economie (ovvero Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, ndr) – si legge ancora nel rapporto –, attraverso un percorso di diminuzione delle complessità e dei costi dei processi amministrativi nonché attraverso il rafforzamento del rispetto delle norme vigenti, stanno diminuendo il gap ad una velocità superiore rispetto a tutte le altre realtà dell'Unione Europea”.

Cammino che in ogni caso deve essere ulteriormente strutturato attraverso linee di indirizzo politico che ad oggi, purtroppo, sono rimaste più nei comizi che negli atti di governo.

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