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I gatti vivono accanto a noi ormai da millenni e insieme ai cani sono senza dubbio la specie domestica da compagnia più diffusa e amata al mondo. Li apprezziamo per la loro indipendenza ed eleganza, per l'alone di mistero che li avvolge e per l'affetto che, a modo loro, ci dimostrano ogni giorno. Tuttavia, quando si ammalano ci pongono di fronte a una delle sfide più complesse della medicina veterinaria: capirli e curarli.
Studiare le malattie e i problemi di salute dei gatti è un'impresa molto complicata, non tanto per la mancanza di strumenti, quanto per una serie di fattori concatenati legati alla biologia e all'etologia dei felini domestici, ma anche per una certa "dimenticanza" scientifica storicamente diffusa nei loro confronti. Si tratta di un problema non da poco, ampiamente condiviso sia da chi vive con un micio, che dai veterinari, un tema tornato recentemente al centro dell'attenzione anche grazie a un articolo del New York Times.
Il gatto: un paziente "selvaggio" maestro dell'occultamento

Chiunque abbia mai provato a portare il proprio gatto dal veterinario sa quanto possa essere complicato. A differenza dei cani, che spesso si mostrano molto più collaborativi e in cerca di rassicurazioni umane, i gatti di solito non amano molto essere manipolati. Non vogliono essere toccati, palpati, afferrati, spostati. Ogni visita può diventare una lotta corpo a corpo fatta di soffi, zampate e fughe improvvise tra gli scaffali dell'ambulatorio. Questo rende estremamente difficile per un veterinario effettuare visite accurate e tempestive.
Inoltre, a differenza dei cani, che sono un specie altamente sociale e perciò più comunicativa, i felini sono da un punto di vista biologico più solitari e sono anche per questo maestri nel nascondere il dolore e i sintomi delle malattie. Un micio può avere un'infezione in corso, un dolore cronico, o persino una patologia grave e continuare a comportarsi (quasi) normalmente. Questo rende complicato riconoscere una malattia nelle sue fasi iniziali, quando le cure sarebbero più efficaci e spesso, quando i segnali diventano evidenti, è già troppo tardi.

A differenza del cane, il gatto non abbaia, non piange, non ci "dice" dove sente dolore. Il suo linguaggio del corpo è più sottile, fatto di sguardi, posture, impercettibili variazioni nel comportamento. Interpretarli richiede tempo, esperienza e una profonda conoscenza della specie. E con i ritmi frenetici di molte cliniche veterinarie, le visite devono essere rapide e con un animale che comunica poco, si lascia toccare ancora meno e nasconde ogni segnale, pochi minuti non bastano.
Anche chi vuole studiare i problemi e le patologie dei gatti, fa quindi fatica a reclutare "volontari", raccogliere una mole sufficientemente robusta di dati o a seguire l'andamento e il decorso di certe malattie nel tempo. Di conseguenza, i veterinari non hanno molti strumenti a disposizione, né una letteratura scientifica medica o clinica così ampia da cui poter attingere. È un po' come se il gatto domestico fosse per certi versi ancora "selvaggio" e poco addomesticabile, ma non è solo questo.
Più studi per i cani, meno per i gatti, ma qualcosa sta cambiando

C'è infatti anche un altro fattore, molto più culturale e antropologico, che biologico. Storicamente, la ricerca e medicina veterinaria hanno rivolto molte più attenzioni verso i cani. Sono stati i primi veri animali da compagnia, hanno svolto lavori e ruoli indispensabili per la nostra società (cacciatori, guardiani, pastori) e sono da molto più tempo considerati parte integrante della famiglia. Questi motivi, uniti alla maggiore "docilità", li hanno resi storicamente i "pazienti" animali ideali da studiare.
Il risultato è che la maggior parte delle ricerche, dei farmaci e dei protocolli sono stati sviluppati pensando al cane, mentre il gatto è rimasto un po' in secondo piano, nonostante condividono con noi anche alcune patologie (come l'asma, l'ipertiroidismo e alcune forme di cancro) che potrebbero offrire spunti importanti anche per la medicina umana. Di conseguenza, spesso vengono quindi utilizzati farmaci e cure consolidate sui cani anche sui gatti.

Ma un felino non è un piccolo cane. Ha un metabolismo e una fisiologia differenti, organi che funzionano in modo diverso e una sensibilità e una reazioni ai farmaci e ai trattamenti distinta. Una cura che funziona per un cane può spesso essere poco efficace – o persino pericolosa – per un gatto. Serve, quindi, una medicina veterinaria felina con dati, osservazioni, conoscenze e protocolli completamente distinti, ma nonostante tutte queste difficoltà, qualcosa fortunatamente sta cambiando.
Sempre più gruppi di ricerca e centri veterinari si stanno specializzando nella medicina felina, e negli ultimi anni sono significativamente aumentati gli studi e le ricerche dedicate esclusivamente ai gatti, sia da un punto di vista medico che comportamentale. Anche l'industria farmaceutica sta iniziando sviluppare prodotti su misura per i mici. Capire e curare i gatti rimane una sfida difficile, non solo da un punto di vista scientifico. Per tante ragioni diverse siamo quindi rimasti un po' indietro, ma lo abbiamo capito e stiamo recuperando terreno.