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"Abbiamo scoperto che le relazioni dei cani con le donne potrebbero aver avuto un impatto maggiore sul legame cane-uomo rispetto alle relazioni con gli uomini". Questa frase è di Jaime Chambers, antropologa della Washington State University, e prima autrice di uno studio molto importante che ha cambiato la prospettiva sulla nascita della relazione tra uomo e cane. Lo studio, più che sul "quando" sia nato questo rapporto unico in natura, ha messo un importante punto sul "chi", da parte nostra, abbia dato un forte contributo a un rapporto che va avanti da oltre 30mila anni: le donne.
Chambers e altri ricercatori nel 2020 hanno pubblicato infatti uno studio intitolato "Co evoluzione cane-uomo: analisi interculturale di molteplici ipotesi" da cui emerge che "gli esseri umani erano più propensi a considerare i cani come le persone se questi ultimi avevano un rapporto speciale con le donne. Erano più inclini a essere inclusi nella vita familiare, trattati come soggetti affettivi e, in generale, le persone nutrivano maggiore considerazione per loro".
Lo studio sulle civilltà pre-industriali
Lo studio ha analizzato dei dati che sono stati tratti osservando 144 comunità umane definite "tradizionali", ovvero che vivono secondo modelli culturali e organizzativi ancestrali, non sono fortemente industrializzate o urbanizzate e mantengono stili di vita basati sulla caccia, raccolta, pastorizia o agricoltura di sussistenza.
Si tratta di società che vengono studiate dagli etnografi perché sono utili per lo studio delle interazioni uomo-animale in contesti "pre-industriali": ancora oggi, infatti, riescono a rappresentare contesti simili a quelli in cui è avvenuta l’evoluzione della relazione tra noi e i cani. In pratica, osservando come in queste comunità si viveva (e si vive ancora in certi casi) a stretto contatto con i quattro zampe, i ricercatori riescono a fare ipotesi più solide su come si sia sviluppata la domesticazione.
Dallo studio è emerso in particolare che i cani che hanno avuto delle donne come punto di riferimento sono stati considerati più facilmente parte della famiglia, tanto da avere un nome e ricevere cibo costantemente e senza chiedere loro nulla in cambio, ovvero non per ragioni utilitaristiche come, ad esempio, la guardiania o l'attività venatoria insieme agli uomini.
Visto con un occhio alla nostra storia evolutiva insieme al "miglior amico del cane", dunque, è emerso che le donne hanno avuto da sempre una relazione speciale con i cani e che il ruolo femminile nella domesticazione è stato fondamentale per creare quel legame che ancora oggi fa sì che le due specie continuino a camminare nel mondo e nel tempo a sei zampe: insieme.
Il ruolo fondamentale della donna: da sempre una relazione speciale con i cani
Il ruolo delle donne ha fatto sì che aumentasse quella che i ricercatori definiscono "personhood" nei confronti dei cani, ovvero riconoscerli come individui a cui attribuire un ruolo che tipicamente viene associato nella cultura umana solo ai conspecifici e da ciò è simbolico proprio il trattamento riservato a questi animali anche in caso di morte, ovvero l'associare la fine della vita al tributo attraverso la sepoltura, ad esempio.
"Il modo in cui le donne interagiscono con i cani può essere stato ed è un potente motore di selezione culturale – ha precisato Robert Quinlan, co autore dello studio – Abbiamo trovato prove solide che mostrano come i cani ricevano trattamenti migliori e sviluppino legami più forti con gli esseri umani in società dove le donne hanno un ruolo attivo nella cura".
Perché la donna è stata fondamentale per la domesticazione nei cani: empatia, comprensione e cura
A confermare l'importanza di questa connessione e a spiegare perché possa essere avvenuta, è stata su Kodami anche la veterinaria esperta in comportamento canino Elena Garoni: "E' la donna, in quanto madre, ad avere per prima sviluppato la capacità di comunicare con un essere vivente che non sa parlare, ma che si esprime in un altro modo. La madre è empatica, legge i bisogni e risponde con cura: è un tipo di relazione che trova grande analogia con quella che si instaura con un cane".
Secondo Garoni, la domesticazione del cane non può essere letta soltanto attraverso l’ottica della caccia o della difesa – funzioni spesso attribuite agli uomini – ma piuttosto attraverso quella dell’accudimento quotidiano, della comprensione profonda dei segnali non verbali, del prendersi cura di un altro essere vivente anche quando è fragile o inutile agli scopi pratici.
In molte delle culture analizzate, poi, i cani erano cresciuti insieme ai bambini. E non è un caso: le donne che passavano più tempo in casa erano responsabili anche della gestione dei cuccioli e questo contatto continuo ha creato un ambiente funzionale alla selezione di animali che avessero tratti come la docilità, la fiducia, la socievolezza.
"Non è un caso se oggi il cane è spesso definito ‘membro della famiglia‘ – ha aggiunto la dotteressa Garoni su Kodami -Lo è davvero, e questa visione affonda le radici in un processo culturale in cui le donne hanno avuto appunto un ruolo centrale".
Qualcosa che dovremmo imparare da questo studio e da queste osservazioni è che dove c’è attenzione alla relazione, c’è anche evoluzione. I cani che ricevevano affetto, accudimento e presenza stabile erano infatti quelli che sopravvivevano, che tornavano al villaggio, che imparavano a leggere i segnali dell'uomo. In questo modo, da generazione in generazione, si è evoluto non solo il comportamento del cane, ma anche il nostro: oggi gli esseri umani sono tra i pochi animali capaci di interpretare correttamente le espressioni facciali dei cani, e viceversa.
Non serve andare troppo indietro nel tempo per vedere questa dinamica all’opera, del resto. Anche nelle società moderne sono tantissime le donne che vivono con un cane, anche senza partner accanto o senza figli. Non si deve però ridurre il discorso al concetto di "istinto materno" e cadere nella banalizzazione di chi pensa che si tratta di una blanda sostituzione dell'animale con il fare un figlio.
Questo studio testimonia, invece, una capacità relazionale insita nel cromosoma X (non generalizzabile, sia chiaro ma che fa parte del genere) nel riconoscere l'altro, di un'altra specie per giunta, come un soggetto portatore di bisogni, emozioni e anche diritti, intesi come la salvaguardia di un benessere psicofisico che deve essere concepito in toto e non sono come semplice accudimento per le necessità essenziali (cibo, riposo, etc.).
Lo sguardo delle donne, nella cinofilia come in altri settori in cui vi è l'espressione delle capacità umane, dimostra che si tratta di un modo di vivere e di relazionarsi che, a differenza di quello maschile, si concentra meno sulla logica dell’utilità e afferma invece quella dell’empatia e del rispetto.