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Tra le montagne nebbiose della catena dell'Annamita, al confine tra Vietnam e Laos, potrebbe ancora nascondersi uno degli animali più enigmatici e rari del nostro tempo: il saola, soprannominato "unicorno asiatico" non perché dotato di un singolo corno, ma per la sua natura sfuggente, quasi leggendaria. Sappiamo ufficialmente della sua esistenza da appena trent'anni, ma già quando fu scoperto per la prima volta dalla scienza, negli anni 90, era già sull'orlo dell'estinzione. Oggi, probabilmente ne sopravvivono solo una manciata di individui, anche se nessuno può dirlo con certezza: l'ultimo avvistamento documentato risale al 2013, un individuo catturato da una fototrappola.
Il saola (Pseudoryx nghetinhensis) è uno dei mammiferi più rari del pianeta, un bovide vagamente simile un'antilope che vive perennemente al confine. Un confine innanzitutto geografico, ma anche simbolico, tra la speranza e la possibilità più che concreta che sia ormai estinto per sempre. Nessuno l'ha più fotografato, catturato o osservato direttamente da oltre dieci anni, eppure gli scienziati continuano a cercarlo, esplorando foreste che pochi esseri umani hanno mai calpestato. "Al momento non possiamo né confermare né smentire l'esistenza di individui in vita", ha dichiarato Nguyen Quoc Dung del Forest Inventory and Planning Institute vietnamita. "Ma ci sono segnali che ci fanno sperare".
Il DNA dell'unicorno asiatico svelato per la prima volta

Una piccola speranza arriva da un nuovo studio pubblicato sulla rivista Cell, in cui un team internazionale – tra cui biologi di Vietnam, Danimarca e altri paesi – ha sequenziato per la prima volta il genoma completo del saola. Un'impresa non da poco, considerando che fino a oggi esistevano pochissimi dati genetici sulla specie. Per riuscirci, i ricercatori hanno analizzato resti di saola conservati in alcune case di cacciatori locali (pelli, zoccoli, animali impagliati), riuscendo così a ricostruire il DNA di 26 individui. E ciò che hanno scoperto potrebbe essere la chiave per salvare l'unicorno asiatico, ammesso che sia ancora tra noi.
I risultati dello studio ha svelato l'esistenza di due popolazioni geneticamente distinte di saola, riproduttivamente separate da migliaia di anni, tra 5.000 e 20.000, secondo le stime. Un dato sorprendente, che fino a oggi era impossibile ottenere. Ma c'è di più: sebbene entrambe le popolazioni siano in declino già dalla fine dell'ultima era glaciale, ciascuna ha conservato una variabilità genetica ben distinta. Questo significa che, qualora si riuscisse a trovare ancora individui in vita di entrambe le popolazioni, potrebbero incrociarsi per aumentare diversità genetica e rafforzare così la specie.
"È come se ciascuna popolazione avesse pezzi mancanti del puzzle genetico dell'altra", ha spiegato Genís Garcia Erill, uno degli autori dello studio. "Un programma di riproduzione in cattività che unisca i due gruppi offrirebbe la miglior chance di sopravvivenza a lungo termine". E secondo i modelli matematici elaborati dai ricercatori, basterebbero una dozzina di individui – un numero tragicamente basso, ma comunque non impossibile – per dare inizio a un progetto di riproduzione in cattività per salvare la specie. La stessa strategia ha già funzionato in passato con altri animali sull'orlo dell'estinzione, come il cavallo di Przewalski, il bisonte europeo e il condor della California. Ma bisogna trovarli.
Come trovare uno degli animali più rari del pianeta (se c'è ancora)
Il vero ostacolo a questo ambizioso progetto è uno solo: riuscire a trovare anche solo uno solo di questi animali. Il saola è un fantasma delle foreste e la sua rarità è pari solo alla sua elusività. Tuttavia, con la "mappa genetica" finalmente disponibile, gli scienziati possono migliorare le ricerche e restringere il campo d'azione. Una delle strategie più promettenti è la ricerca del DNA ambientale o eDNA: frammenti di codice genetico lasciati in acqua, nel fango o persino nei parassiti, come zecche e sanguisughe che si nutrono del sangue degli animali selvatici. In passato, questa tecnologia non poteva essere utilizzata, proprio perché mancava una banca dati genetica di riferimento.
Ora, con il genoma completo a disposizione, sarà più facile individuare e riconoscere eventuali tracce del DNA di saola nell'ambiente. Ma se fosse troppo tardi? Anche in quel caso, secondo gli autori, la ricerca non sarebbe comunque vana. Il genoma sequenziato potrebbe un giorno rendere possibile la de-estinzione del saola, cioè la sua clonazione, una frontiera della biotecnologia che sta avanzando rapidamente, ma che negli ultimi tempi viene vista sempre con maggiore scetticismo, soprattutto per le applicazioni "discutibili" che alcune grandi aziende ne stanno facendo, una su tutte il (non) ritorno dell'enocione, un canide preistorico estinto.
Il saola, del resto, è molto più che una "semplice" rarità zoologica. È l'unico specie vivente di un ramo evolutivo antichissimo e che si è separato dalle altre specie di bovidi tra i 12 e i 15 milioni di anni fa. Nessun altro animale vivente è strettamente imparentato con lui. Per questo la sua scomparsa non sarebbe solo una perdita per la biodiversità, ma un'intera pagina della storia naturale della vita sulla Terra che svanirebbe per sempre. Oggi, secondo l'IUCN, si stima che ne rimangano meno di 100 individui, ma potrebbero anche essere ormai zero. Biologi e naturalisti lo cercano senza successo da 30 anni, forse invano, ma continuano a sperare che sia ancora là fuori tra le foreste nebbiose al confine tra natura e mito.