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Elezioni Turchia 2023

Deepfake, algoritmi e censura sui social: tutta la strategia in rete dietro la vittoria di Erdogan

Il web è diventato un terreno di guerra per le elezioni in Turchia. Secondo le accuse di diversi analisti, il governo ha alimentato la disinformazione, i video contraffatti e ha bannato gli utenti che avevano legami con l’opposizione.
A cura di Elisabetta Rosso
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Recep Tayyip Erdogan sale su un palco blu di Ankara e proietta un video sul maxi schermo alle sue spalle. Mostra il leader dell'opposizione Kemal Kilicdaroglu insieme al Partito dei lavoratori del Kurdistan, (un’organizzazione che il governo ha definito terroristica) loro battono a tempo sull’inno elettorale di Kilicdaroglu, con i mitra sotto braccio e le tute mimetiche addosso. Il video è falso. Lo sa anche Erdogan, ma non importa, fa parte del grande piano per vincere le elezioni. Funziona e il 29 maggio con il 52% dei voti viene rieletto presidente della Repubblica di Turchia. 

Sotto la vittoria però ci sono porno deepfake, immagini modificate, video contraffatti, algoritmi che pompano notizie false, e account bloccati. Erdogan ha messo in atto un gioco che ha inquinato la campagna elettorale. I media, i social, Google, sono diventati il palcoscenico per mettere in atto un grottesco passo a due tra censura e disinformazione. D’altronde la Turchia è al 165° posto su 180 nell'indice mondiale sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere, è scesa di 15 posizioni rispetto allo scorso anno, ed è un Paese dove all’opposizione nel primo turno vengono concessi 32 minuti sulla rete nazionale contro le 32 ore della maggioranza.

Il video fake di Kılıçdaroğlu

Partiamo da quel video proiettato da Erdogan durante la campagna elettorale. Il primo maggio una testata islamista Yeni Akit ha pubblicato il video contraffatto che mostrava il rivale di Erdogan Kılıçdaroğlu insieme al Partito dei lavoratori del Kurdistan. Lo stesso video è stato utilizzato da Erdogan durante un comizio del 7 maggio per screditare Kılıçdaroğlu, nonostante fosse evidente che si trattasse di un fake.

“È stato sorprendente che Erdoğan abbia mostrato un video manipolato che mostrava il candidato dell'Alleanza Millet Kemal Kılıçdaroğlu fianco a fianco con i militanti del PKK durante le manifestazioni. Era un video chiaramente manipolato, ma è stato ampiamente diffuso e adottato dal pubblico ", ha spiegato a Wired  il ricercatore di Teyit, gruppo indipendente di fact checking in Turchia, Can Semercioğlu, e nonostante l’organizzazione avesse smascherato il falso,"è stato piuttosto efficace". Non solo, sul web il filmato è stato spinto in modo tale da apparire tra i primi risultati di ricerca. Come ha spiegato Teyit in un approfondimento, il video è apparso tra i suggerimenti per Kılıçdaroğlu sul web.

Come strumentalizzare gli algoritmi per vincere

A confermare le storture online c’è anche un’approfondita indagine di Journo.com, la testata indipendente che ha mostrato come gli algoritmi abbiamo amplificato in modo sproporzionato i media partigiani durante le elezioni, diffondendo disinformazione, e  incitamento all’odio. Emre Kızılkaya, un dei redattori che hanno partecipato all’indagine e vicepresidente dell'ONG International Press Institute, ha detto alla testata The World Today: “Gli algoritmi di Google favoriscono gli editori pro-Erdogan rispetto a quelli indipendenti con un margine di 81 a 19. Quando gli utenti si sono rivolti a Google per cercare Kılıçdaroğlu quel giorno, la fake news” si riferisce al video pubblicato dalla testata Yeni Akit, “è stata tra i migliori suggerimenti forniti dall'algoritmo".

Google nel Paese rappresenta una delle principali fonti di notizie, dato che manca un forte legame con i giornali locali da parte della popolazione. E infatti la testata Duva.R, la Gazzetta ufficiale indipendente della Turchia, ha rilevato che l'emittente statale TRT ha dedicato 32 ore di copertura ai discorsi del presidente Erdoğan e solo 32 minuti a quelli di Kemal Kılıçdaroğlu, il suo principale rivale per la presidenza. Non stupisce dunque che la popolazione di fronte a una sproporzione manifesta decida di affidarsi a Google o ai social, ma il governo ha già conquistato anche quei territori.

Dato che in Turchia non esiste un ecosistema mediatico affidabile, “le persone che sono alla ricerca di informazioni, e che non riescono a trovare una buona fonte, vanno sui social media, e lì saranno probabilmente esposte a qualche tipo di disinformazione", ha spiegato a Wired Erkan Saka, professore di giornalismo e studi sui media all'Università Bilgi di Istanbul.

Social: tra notizie false e censura

Kizilkaya ha anche spiegato che lo stesso meccanismo è stato adottato sui social. "Migliaia di troll e bot filogovernativi, che sono attivi dal 2013, hanno bombardato piattaforme di social media come Facebook, Twitter e TikTok con il video fake, che ha raccolto decine di milioni di visualizzazioni". Dove non arrivano le fake news agisce la censura. "Il governo turco ha accelerato i suoi sforzi per imporre la censura e rafforzare il controllo sui social media e sui siti di notizie online indipendenti prima di queste elezioni", ha affermato Deborah Brown , ricercatrice senior di tecnologia presso Human Rights Watch

Erdogan ha chiesto a Twitter di bannare determinati account prima delle elezioni. Il presidente turco aveva già bloccato la piattaforma per un giorno intero dopo il terremoto di febbraio. La motivazione ufficiale è stata che il governo voleva evitare tweet (a suo dire falsi e denigratori) sulla gestione dell'emergenza. In realtà lo stop ha ostacolato la risposta dei soccorritori. Anche nel 2014, proprio i giorni prima delle elezioni aveva bloccato Twitter per zittire tutte quelle voci che accusavano il governo di corruzione. E quindi, di fronte alle ultime, le più difficili per Erdogan, il governo ha chiesto di censurare alcuni utenti della piattaforma. Non sono però stati resi pubblici i nomi degli account presi di mira.

Tuğrulcan Elmas, ricercatore che si occupa di manipolazione dei social media presso l'Indiana University Bloomington, intervistato da Insider, ha spiegato che la sua ricerca ha riscontrato un denominatore comune per gli account bannati. Tutti avevano legami con l'opposizione, e avevano già criticato Erdogan in precedenza.

Porno deepfake per affondare i nemici

La campagna di Erdoğan è stata costruita su notizie fuorvianti, sui social, su Google, sui media, durante i comizi. Tra le tante ha anche alimentato le fake news sull’immigrazione: “Permettono l'infiltrazione di 10 milioni di rifugiati in Turchia. Se rimangono, il numero salirà a 30 milioni e minaccerà la nostra esistenza", ha detto in un video pubblicato su Twitter. Oppure ha mostrato l’estratto di un articolo di giornale che suggeriva come Kilicdaroglu fosse stato riconosciuto colpevole di frode nel 1996.

Non solo, pochi giorni prima delle elezioni si è anche ritirato il terzo candidato alla presidenza, Muharrem İnce, del Partito popolare repubblicano (CHP), a causa di un video porno pubblicato online. İnce da subito ha spiegato che si trattava di un deepfake, al filmato, estrapolato da un sito pornografico israeliano, sarebbe stato sovrapposto il suo video. A causa della campagna diffamatoria accompagnata anche da foto ritoccate del candidato che lo mostravano insieme a donne su auto lussuose, İnce ha detto: "Sto ritirando la mia candidatura. Lo sto facendo per il mio Paese", ha aggiunto.

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