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Cambiamenti climatici

Il polline sembra avere un impatto negativo sui cambiamenti climatici

Lo rileva un’indagine condotta da un team di ricerca americano che ha studiato il ruolo delle particelle di polline nella formazione di nuvole che tendono a trattenere le precipitazioni.
A cura di Valeria Aiello
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Per molte persone, la stagione dei pollini significa naso che cola, starnuti eccessivi e prurito agli occhi. Ma pare che il polline abbia un impatto negativo non solo sulle allergie stagionali ma anche sui cambiamenti climatici. Una nuova indagine condotta dai climatologi della Texas A&M University di College Station ha infatti dimostrato che le particelle di polline possono aumentare la formazione di nuvole che tendono a trattenere le precipitazioni, intrappolando il calore radiante ed esacerbando l’aumento delle temperature dovuto al riscaldamento globale . “Per di più – spiegano gli studiosi – temperature più elevate possono prolungare i periodi di rilascio dei pollini, aggravando ulteriormente il problema”.

Il team di ricerca, guidato da Brianna Matthews del Dipartimento di Scienze Atmosferiche della Texas A&M University, in precedenza aveva già studiato come le querce (Quercus virginiana) emettono pollini e particelle di polline più piccole (subpollini) a diversi livelli di umidità. Ma in questa nuova ricerca, pubblicata sull’ACS Earth and Space Chemistry, ha voluto indagare su come altre due comuni piante produttrici di allergeni, l’ambrosia (Ambrosia trifida) e il loglio (Lolium sp) rilascino pollini in condizioni umide e su come queste particelle possano influenzare la formazione delle nuvole.

I pollini favoriscono la formazione di nuvole che trattengono le precipitazioni

Il polline, come noto, è il mezzo che permette alle piante di scambiarsi materiale genetico e riprodursi. Ma, se esposto all’umidità, può rompersi e dare origine a particelle di polline più piccole, dette appunto di subpolline, che misurano meno di un micron.

Sia queste minuscole particelle sia i granelli di polline interi fungono anche da siti di nucleazione del ghiaccio, che sono punti di partenza in miniatura delle nuvole. “Rispetto alle nuvole normali, le subparticelle e il polline formano nuvole più piccole e più numerose, che tendono a trattenere le precipitazioni, aiutando a intrappolare il calore radiante e contribuendo al cambiamento climatico” precisa il team.

Gli studiosi hanno quindi raccolto campioni di loglio e ambrosia, collocandoli in una “camera pollinica” per simulare le condizioni del mondo reale, esponendoli a diversi livelli di umidità e raffiche di vento per diverse ore. Quando è stato poi valutato il numero di subparticelle rilasciate per granello di polline, il team ha scoperto che gli esperimenti condotti in precedenza avevano sottostimato di un fattore da 10 a 100 la quantità di particelle più piccole. “Ciò è probabilmente dovuto al fatto che gli altri esperimenti utilizzavano un mezzo meno realistico per diffondere il polline e generare subparticelle” hanno affermato i ricercatori.

Polline, subpollini e particelle di nucleazione del ghiaccio / Credit: Brianna H. Matthews et al, Pollen Emissions of Subpollen Particles and Ice Nucleating Particles, ACS Earth and Space Chemistry (2023)
Polline, subpollini e particelle di nucleazione del ghiaccio / Credit: Brianna H. Matthews et al, Pollen Emissions of Subpollen Particles and Ice Nucleating Particles, ACS Earth and Space Chemistry (2023)

Riguardo invece la capacità di entrambi di fungere da siti di nucleazione del ghiaccio, gli studiosi hanno osservato che i granelli di polline interi facilitano la formazione delle nuvole più delle subparticelle. In particolare, durate la valutazione di efficienza, mediante immersione e congelamento in modalità di contatto, le misurazioni hanno indicato che le subparticelle sono siti di nucleazione del ghiaccio debolmente efficaci in modalità immersione, mentre i granelli di polline sono moderatamente efficienti in modalità di immersione e contatto.

Nel complesso, concludono gli studiosi, i risultati dell’indagine forniscono parametri aggiornati sul numero di granelli e particelle di polline che vengono dispersi nell’atmosfera con il vento. “Questi parametri – ha evidenziato il team – potranno anche essere utilizzati per creare modelli climatici più accurati”.

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