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Erri de Luca e Paolo Sassone-Corsi discutono di libertà e natura a Città della Scienza

Abbiamo incontrato il popolare scrittore Erri de Luca per chiedergli di parlarci della sua nuova pubblicazione, scritta a quattro mani con un Biologo della UCLA, Paolo Sassone-Corsi: uno scambio di lettere su quanto il Dna, il patrimonio genetico, condiziona la natura degli individui.
A cura di Luca Marangolo
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Al centro del nuovo libro di Erri de Luca e Paolo Sassone-Corsi c’è il problema della libertà.

I due sono uno scrittore molto popolare e uno scenziato, un genetista, che hanno raccolto in un piccolo volume, presentato poi a Città della Scienza il sei maggio scorso, una serie di e-mail che si sono scambiati fra Roma e Los Angeles. Le prospettive di questi autori sembrano esprimere in modo abbastanza esemplare i dubbi, i problemi che, a partire da retaggi diversi, un umanista e un biologo si pongono di fronte alla libertà della natura umana.

Il problema della libertà dell’uomo è profondamente legato alla sua biologia e non è un caso che l’antropologia filosofica del Novecento se ne sia occupata mettendolo al centro della sua riflessione.  Quanto la nostra esistenza è realmente condizionata dai geni che ereditiamo dai nostri genitori? Quanto invece ciò che siamo è frutto della nostra esperienza storica? Quanto c’è di predeterminato nella nostra identità dai fodamenti naturali della nostra coscienza? Il filosofo e biologo tedesco Arnold Gehlen, per dirimere il problema, già nella prima metà del Novecento, distinse  in primo luogo una concezione dell’uomo metafisica, cioè astratta, basata sull’idea che le doti umane del linguaggio e della razionalità per la loro capacità di fare presa sulla realtà e di spiegarla fossero il segno che l’uomo vive al di sopra della natura, dominandola; vi è poi per Gehlen una visione empirica dell’uomo, più simile alla sensibilità moderna, segnata, ad esempio, dalla scoperta del DNA.

La visione empirica dell’uomo ha senza dubbio un peso enorme, se si considera che i biologi hanno dimostrato che il novanta per cento del genoma umano è perfettamente uguale per tutti gli esseri della nostra specie. Per quanto più vicina alla nostra sensibilità, la visione empirica degli esseri umani può esaurire la comprensione della vita dell’uomo?  Forse, solo a patto di capire che l’uomo,  però, quando nasce, si immerge in un esistenza semiotica, culturale e artificiale che, avvolgendolo, fonda la percezione metafisica che ha della realtà. In altri termini, gli esseri umani, come ci dice la filosofia del Novecento,  sono immersi tanto nella natura quanto nella cultura. Esse sono due sfere che avvolgono l’essere vivente, intrecciandosi, grazie ad alcune particolari cesure: il linguaggio, la ragione, i segni.

Questa considerazione, però, da sola, non spiega molto. Qual è il rapporto fra la natura e la cultura? Possono dirsi contrapposte o, come sembra confermare l’antropologia filosofica, sono contigue, si sovrappongono? Il dibattito fra de Luca e Sassone-Corsi pubblicato da Feltrinelli in forma di epistole, sembra in fin dei conti essere una prova che questo problema, per svariate ragioni, non debba essere più relegato solo a pochi interessati di questioni astrattamente filosofiche, ma coinvolga anche membri attivi e di successo di due comunità culturali talvolta eccessivamente contrapposte, quella degli scienziati e quella degli umanisti.

La crisi dei rispettivi campi li ha, storicamente, avvicinati: la cultura umanistica si è trovata in crisi perché le sue costruzioni semiotiche secolari si sono polverizzate arrendendosi a realtà più grandi, come l’economia. La scienza, d’altro canto, ha avuto sempre maggior necessità di un orientamento etico, un’indagine epistemologica che riflettesse su come e dove andare: che senso hanno le sue grandi scoperte? Come leggere le nuove possibilità della scienza in assenza di codici culturali? E qui gli ovvi temi critici non si contano, dai problemi religiosi legati all’aborto, alle cellule staminali fino all’eutanasia, passando per i problemi filosofici sollevati dalla fisica contemporanea.

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Tuttavia il tema di cui parla Ti sembra il caso?  Schermaglia fra un narratore e un biologo (titolo ironico che allude alla componente arbitraria presente nella personalità di ciascuno) sembra un po’ l’argomento che par excellence  esprime il divario (apparente) fra la natura e la cultura. Il patrimonio genetico di Mozart ha condizionato il suo genio precoce? O, al contempo, se il padre di Mozart non fosse stato un grande didatta della musica, il suo talento latente sarebbe emerso? L'esempio, nella sua ovvietà, dimostra che né l’uno né l’altro elemento possono essere separati, sono entrambe componenti essenziali nella creazione dell’evento-Mozart.

L’uomo può nascere con il più fine talento del mondo ma scegliere di non suonare neanche una nota, di non pubblicare neppure un verso. Oppure, come ha detto in un'occasione Pollini, può non essere un genio e diventare un pianista di enorme successo con le sole forze della propria coscienza storica.

È questa l’essenza più astratta forse del grande problema della libertà. Come ha scritto Helmuth Plessner l’essere umano è ciò che fa di se stesso o, se si preferisce la definizione di  Georg  W. Bertram, la cultura fa parte di quella “seconda natura”  che rende plastica e duttile la base biologica dell’esistenza umana, avvolgendola. Il percorso di emancipazione di un essere umano sta proprio nella presa di coscienza di questa sua seconda natura, la comprensione che sì, chi siamo, ciò che facciamo e come agiamo sono frutto del nostro essere biologico, ma anche che la nostra “seconda natura”, frutto dell’incontro storico con il mondo, e che pesa interamente sulle nostre spalle, incide in maniera altrettanto cruciale sulla nostra esistenza. Questo crinale, questa sottile linea su cui si sviluppa la libertà dell’uomo corre esattamente fra il nostro essere biologicamente determinati e la sua assurda, contraddittoria conseguenza: il caso, il fatto puramente casuale che nasciamo e ci avvicendiamo sul pianeta.

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