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Le nostre parole contano: una campagna umanitaria per salvare le vite degli attivisti

Spesso ci si sente impotenti davanti alle ingiustizie, ma se una firma potesse fare la differenza? La campagna “Write for Rights” mobilita ogni anno milioni di persone in tutto il mondo. L’unica richiesta? Firmare una petizione a sostegno di coloro che sono ingiustamente detenuti o perseguitati.
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A cura di Ciaopeople Studios
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È vero, basta accendere la tv o leggere i giornali per sentirsi sopraffatti da notizie catastrofiche ed eventi che sembrano fuori dalla nostra portata, così è facile ripetersi che in fondo una persona non può modificare il corso degli eventi. Ma è davvero così? Quello che spesso sottovalutiamo è la potenza dell'aggregazione e la possibilità di poter smuovere, facendo rete, la coscienza di attori politici o autorità locali.

La campagna che Amnesty International porta avanti fin dal 2001 ne è l'esempio: una firma o anche un semplice messaggio sui social, hanno il potere di accendere i riflettori su storie a volte dimenticate e di mobilitare l'opinione pubblica con l’obiettivo di mettere fine alle ingiustizie. E le parole sono davvero potenti: nel 2022 Germain Rukiki si è ricongiunto con la sua famiglia dopo aver scontato ingiustamente quattro anni di carcere, a fare la differenza sono state le oltre 400.000 adesioni da parte di cittadini di tutto il mondo durante la campagna “Write for Rights firma un appello, salva una vita” del 2021.

Per la campagna di quest'anno, l'organizzazione per i diritti umani ha scelto di supportare cinque diverse storie accomunate da esperienze di ingiustizia. Si tratta di uomini e donne di ogni parte del mondo, vittime di violazioni dei diritti umani, perseguitate, imprigionate solamente per aver difeso i propri diritti o quelli di altre persone, ad esempio riguardo la crisi climatica, l'aborto sicuro, o ancora per aver denunciato gli abusi della polizia. 

Ana Maria Santos Cruz

È la mamma di Pedro Henrique, un giovane uomo ucciso in Brasile nel 2018 a soli 31 anni. Pedro si batteva per la giustizia razziale e aveva più volte denunciato gli abusi della polizia locale contro la comunità nera. Dopo essere stato minacciato ripetutamente, è poi stato ucciso in casa sua e gli agenti incriminati dell’omicidio sono tuttora in servizio, senza essere stati processati.

Thapelo Mohapi

L'attivista sudafricano è costretto a vivere nascosto a causa delle continue minacce di morte. L'uomo è il segretario generale di un movimento locale che si prende cura delle persone che vivono una condizione di forte disagio. Thapelo Mohapi e gli altri attivisti hanno denunciato i casi di corruzione del governo locale, ma in cambio hanno ricevuto intimidazioni e minacce e, nel 2022, tre attivisti suoi colleghi sono stati uccisi.

Zio Pabai e Zio Paul

Sono i leader della comunità Guda Maluyligal, che abita la parte più settentrionale dell'Australia da migliaia di anni. A causa del cambiamento climatico, le loro tradizioni e le connessioni spirituali che hanno con il territorio potrebbero essere spazzate via per sempre. I due si sono rivolti ai tribunali australiani chiedendo azioni immediate e urgenti sul clima. Eppure, ad oggi, il governo australiano non sembra aver intenzione di ascoltare le loro parole.

Chaima Issa

Da quando Kais Saied ha preso il potere in Tunisia, i diritti umani in questo Paese sono più fragili che mai: l'attivista Chaima Issa è stata infatti arrestata per presunta “cospirazione” dopo aver incontrato esponenti della diplomazia di altri Paesi insieme ad altre figure dell’opposizione per discutere della situazione politica attuale in Tunisia. Anche se l’attivista è stata rilasciata dopo quattro mesi di detenzione arbitraria, le autorità le hanno vietato di viaggiare all'estero e di apparire in pubblico. La libertà d'espressione in Tunisia è in pericolo e la donna rischia ora decenni di prigione.

Justyna Wydrzyńska

Le leggi sull'aborto in Polonia sono tra le più restrittive d'Europa, per questo dopo aver vissuto un'esperienza traumatica in prima persona, l'attivista Justyna Wydrzyńska ha fondato il collettivo Abortion Dream Team, che si occupa di dare sostegno e informazioni affidabili alle donne che vogliono decidere della propria salute riproduttiva. La donna è stata però denunciata dopo aver spedito per posta delle pillole abortive ed è condannata a otto mesi di lavori socialmente utili.

Per ognuna di queste storie Amnesty International chiede delle indagini imparziali, che possano mettere fine alle persecuzioni e migliorare la vita di chi le sta subendo. Quello che ognuno di noi può fare è firmare gli appelli rivolti alle autorità competenti e sostenere le richieste di Amnesty International. Insieme è possibile fare la differenza per chi sta pagando un prezzo troppo alto solo per aver detto la verità: ogni firma può valere una vita.

Contenuto pubblicitario a cura di Ciaopeople Studios.
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