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“Soffro di anoressia da 12 anni, ma le terapie seguono modelli femminili”: la storia di Paride

Paride ha 26 anni e soffre di anoressia da quando ne aveva 14. Racconta a Fanpage.it le difficoltà che negli anni ha incontrato: dal pregiudizio delle persone, che in genere associano questa malattia al genere femminile, alle cure spesso inaccessibili.
A cura di Chiara Daffini
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Paride, 26 anni
Paride, 26 anni

Avere una malattia mentale non è ancora equiparabile, nella nostra società, ad avere una malattia fisica. E immaginate com'è essere maschio e soffrire di una patologia psichica che tradizionalmente viene associata al genere femminile. "All'inizio provavo molta vergogna", dice a Fanpage.it Paride Pasquali, 26 anni, affetto da anoressia nervosa da quando ne aveva 14.

Come è iniziato tutto?

"La mia storia di malattia è cominciata nella prima adolescenza. Già durante un ricovero in pediatria, per altri problemi di salute, era stata riscontrata la mia magrezza eccessiva. La mia famiglia ai tempi si era accorta solo parzialmente che qualcosa non andava, perché sono sempre stato esile di costituzione".

Hai capito perché hai iniziato ad avere un rapporto conflittuale con il cibo?

"Ero vittima di bullismo alle medie, anche per il mio strabismo, e questa cosa mi ha distrutto letteralmente. Ma più che altro l'anoressia era una sfida, un voler vincere sul resto: più il peso scendeva, più io ero contento. L'anoressia era tutto ciò che non avevo nella vita".

Come hai vissuto l'essere un maschio anoressico?
"All'inizio mi vergognavo. L'anoressia nervosa maschile non esiste, perché noi uomini ci vergogniamo ad avere una diagnosi tipicamente femminile. E in questo forse un po’ il patriarcato c'entra. C'entra un po’ il maschilismo, il fatto ‘Eh un uomo che soffre di anoressia, che vergogna! Madonna, è una malattia femminile'. Ma non è così. È una malattia che colpisce tutti: io mi vedo grasso, anche se gli altri mi dicono il contrario e so di essere sottopeso. Faccio fatica a mangiare e quello che mangio poi cerco di eliminarlo attraverso l’attività fisica".

Come si è evoluta la tua malattia nel corso del tempo?
"Sono cresciuto e la malattia è sempre rimasta con me. All'inizio appunto non chiedevo aiuto, ma a 18 anni sono stato ricoverato d'urgenza all'ospedale Sacco di Milano, dove mi seguivano, fra l'altro, ambulatorialmente. Lì ho trovato supporto da parte dei medici, ma purtroppo potevano seguirmi solo dal punto di vista nutrizionale, perché all'epoca non avevano attivo un servizio psicologico per i maschi che soffrono di anoressia nervosa. Quindi mi hanno indirizzato a un ricovero a Villa Miralago, una comunità terapeutica in provincia di Varese".

E ci sei andato?
"No, perché la competenza all'autorizzazione di questo ricovero non era dell'ospedale Sacco, ma era del Cps, il quale non ha voluto dare l'autorizzazione".

Perché?

"Suppongo per una questione economica, dal momento che sono ricoveri che costano molto, e poi perché dicevano che dovevano prima aprire una cartella clinica, per potermi inserire in lista d'attesa, anche se in realtà c'era già il referto del Sacco, dove un altro medico dava un'indicazione di ricovero proprio lì. Purtroppo non esiste il diritto nella scelta del luogo di cura per quanto riguarda la salute mentale: vai dove ti manda il Centro psicosociale di zona e i tempi in queste situazioni sono sempre lunghi, ma io due giorni ero di nuovo al pronto soccorso, in urgenza".

Alla fine come è andata?
"In alternativa a Villa Miralago ho fatto ben tre ricoveri a Villa Garda, dove mi hanno sempre accolto, perché è una clinica accessibile tramite il sistema sanitario nazionale, cioè per essere ricoverato, liste d'attesa a parte, basta la ricetta del medico. A Villa Garda mi sono trovato molto bene, ma non ho potuto terminare il percorso per questioni economiche".

In che senso?
"Dopo la degenza è previsto un periodo di day hospital, in cui dormi fuori dalla clinica, però non è così scontato se non ti puoi permettere di pagare l'affitto a Garda, località turistica, magari nei mesi estivi, come era successo a me. Quindi non ho potuto concludere la terapia".

Ora come stai?
"Non ancora bene, ma se al momento volessi accedere a un ricovero, vista la burocrazia e le liste d'attesa, alla fine dovrei pagare di tasca mia. Stiamo parlando di cifre anche di 30, 40, 50mila euro. Dove li prendo? Certo, c'è il cps, ci sono ambulatori convenzionati, ma non sono in grado di offrire cure intensive. Chiederei soltanto un aiuto, un ricovero, un percorso ambulatoriale strutturato, qualsiasi cosa, che però non sia a pagamento".

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