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Omicidio Sana Cheema, padre e fratello a processo per aver strangolato la 25enne di Brescia

Sana Cheema venne strangolata perché si opponeva al matrimonio combinato. Il padre Mustafa e il fratello Adnan dovranno presentarsi a processo il 20 dicembre. Confessarono l’omicidio, ma in Pakistan furono assolti nel 2019.
A cura di Enrico Spaccini
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Sana Cheema, uccisa a 25 anni
Sana Cheema, uccisa a 25 anni

Era il 18 aprile 2018 quando Sana Cheema fu uccisa nel distretto di Gujrat, in Pakistan. Aveva 25 anni e viveva a Fiumicello (in provincia di Brescia) ormai da molto tempo. Mancavano poche ore al volo che l'avrebbe riportata in Italia quando venne strangolata a morte. Secondo l'accusa, a ucciderla furono suo padre e suo fratello, Mustafa (oggi 53 anni) e Adnan Cheema (34), che il prossimo 20 dicembre dovranno rispondere davanti alla Corte d'Assise dell'omicidio premeditato di Sana.

L'assoluzione in Pakistan e le accuse in Italia

La data del processo è stata fissata ieri, 17 maggio, dal giudice dell'udienza preliminare Matteo Grimaldi. Quando ancora in patria, Mustafa e Adnan avevano in un primo momento confessato l'omicidio della 25enne, per poi ritrattare la propria versione durante il processo al Tribunale di Gujrat nel febbraio del 2019. "Mangiava poco, non stava bene da giorni, è morta per un malore", dissero e vennero così assolti per insufficienza di prove. Il gup Grimaldi, però, ha respinto la richiesta di Klodjan Kolaj, l'avvocato degli imputati, di acquisire agli atti quella sentenza. In Italia, Mustafa e Adnan dovranno rispondere di "aver cagionato la morte della ragazza per asfissia meccanica violenta mediante strangolamento" e per aver "annullato i diritti politici sociali fondamentali della vittima che è stata uccisa per aver ripetutamente "rifiutato il matrimonio deciso dai congiunti".

In contrasto con le tradizioni

Sana aveva paura del padre. Qualche giorno prima di morire, inviò a una sua amica un messaggio nel quale diceva: "Mi ha portato via il passaporto, vediamo come fare. Ma ho paura". Mustafa, infatti, avrebbe convinto con un trucco la figlia ad andare in Pakistan per poi sottrarle il passaporto in modo da non farla tornare più in Italia. Come ricostruito dall'allora procuratore generale Pier Luigi Maria Dell'Osso, il padre di Sana aveva più volte rimproverato la figlia per il suo modo di vivere in contrasto con le tradizioni della famiglia e della casta. E fu proprio lui a strangolarla con il tradizionale copricapo pakistano, mentre il fratello la teneva ferma.

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