
Martedì scorso, dopo tredici anni trascorsi allo Zoo de Beauval, in Francia, i panda giganti Huan Huan e Yuan Zi hanno intrapreso il viaggio di ritorno verso la Cina. La partenza è avvenuta dall'aeroporto di Parigi-Charles de Gaulle, dove i due animali – oggi diciassettenni – sono stati caricati su un volo diretto a Chengdu all'interno di grandi casse bianche dotate di finestre, fori di aerazione e una scritta semplice, ma affettuosa: "Bon voyage".
Il direttore dello zoo, Rodolphe Delord, ha spiegato che i due panda stanno raggiungendo un'età in cui è necessario un livello di cure estremamente specializzato, possibile solo nei centri cinesi dedicati a questa specie. Huan Huan soffre infatti di insufficienza renale, un disturbo relativamente frequente nei panda in età avanzata. Per questo, veterinari francesi e cinesi hanno ritenuto opportuno rimandarli in patria finché le loro condizioni di salute consentono ancora uno spostamento sicuro.
Il successo e la fama di Huan Huan e Yuan Zi
La loro presenza in Francia aveva attirato milioni di visitatori e segnato la storia dello zoo: dal loro arrivo, nel 2012, la coppia ha dato alla luce ben tre cuccioli. Il primo, Yuan Meng, nato nel 2017, è stato il primo panda mai nato sul suolo francese e, come da accordi internazionali, è stato poi trasferito in Cina a cinque anni. Nel 2021 sono arrivate anche due gemelle, Huanlili e Yuandudu, che per il momento rimarranno a Beauval.
Una volta rientrati a Chengdu, i due panda continueranno ad avere un ruolo educativo nel grande centro di ricerca dedicato alla conservazione del panda gigante, una specie che in natura sopravvive esclusivamente in Cina. Un compito simbolico, certo, ma perfettamente in linea con la storia particolare di questa specie così iconica e amata in tutto il mondo e, soprattutto, con la strategia diplomatica che la Cina porta avanti ormai da decenni: la cosiddetta diplomazia dei panda.
La lunga storia della diplomazia del panda

Per capire davvero cosa significhi il ritorno di Huan Huan e Yuan Zi in Cina bisogna guardare oltre la loro storia personale. La presenza dei panda negli zoo di mezzo mondo, affiancata poi dal ritorno "programmato" degli animali in Cina, non è mai stata soltanto una questione zoologica o legata alla loro conservazione. È parte di una strategia politica molto precisa attraversi la quale la Cina stabilisce accordi commerciali e politici con altri paesi.
Questa forma peculiare di diplomazia nasce negli anni 40, quando la Cina iniziò a regalare panda ai paesi considerati amici, pratica che venne poi fortemente intensificata già negli anni 50. Ma il momento davvero iconico arriva nel 1972, quando, dopo la visita storica del presidente statunitense Richard Nixon a Pechino, la Cina offre agli Stati Uniti due panda giganti come gesto di apertura e fiducia. Da quel momento, gli animali diventano veri e propri strumenti di dialogo politico, simboli viventi di amicizia e cooperazione.

Con il passare degli anni, e con la progressiva riduzione dei panda in natura, la Cina cambia approccio: non più doni, ma prestiti. Dal 1984 in avanti, i panda vengono inviati all'estero attraverso contratti decennali, con un costo annuo che può arrivare a un milione di dollari per ogni coppia. Lo zoo ospitante deve garantire strutture adeguate, bambù di qualità, personale preparato e una collaborazione costante con i veterinari cinesi.
Inoltre, ogni cucciolo nato all'estero resta sempre proprietà della Cina e deve tornare in patria entro pochi anni, così da essere inserito nei programmi di conservazione nazionali.
La diplomazia dei panda tra successi e critiche

La diplomazia del panda funziona però su più livelli. Da un lato, come sostengono diversi studi ed esperti in relazioni internazionali, tra cui Mohamad Zreik, è un enorme strumento di "soft power": ospitare un panda significa, di fatto, rientrare tra i partner privilegiati di Pechino. È un gesto che comunica fiducia e buone relazioni, un messaggio politico molto chiaro senza bisogno di discorsi ufficiali. Dall'altro lato, rappresenta un notevole vantaggio economico per gli zoo e per la stessa Cina. I panda aumentano i visitatori, portano ricavi, attirano sponsor e attenzione mediatica.
Una parte dei fondi viene reinvestita – almeno formalmente – nei programmi di conservazione della specie. Tuttavia, numerosi osservatori e studi evidenziano l'esistenza di un legame forte tra la concessione di panda e importanti accordi commerciali. In passato, paesi come la Francia, il Canada e l'Australia hanno visto arrivare le coppie di panda in periodi che coincidevano con intese economiche significative, dalla vendita di uranio a contratti energetici.

È un meccanismo sottile: la presenza dei panda non determina gli accordi, ma li accompagna, li simboleggia, li rafforza. Questo sistema, però, non è privo di critiche. I costi per gli zoo ospitanti siano molto elevati e non sempre giustificati, soprattutto quando i panda non si riproducono. C'è poi chi mette in discussione l'efficacia reale dei fondi destinati alla conservazione: non sempre è chiaro quanta parte del denaro versato finisca davvero alla tutela degli habitat e dei panda in natura.
Nonostante ciò, è innegabile che la diplomazia del panda abbia contribuito in modo significativo a mantenere alta l'attenzione sulla specie. Oggi esistono circa duemila panda vivono in natura in Cina e poco più di cinquecento individui sparsi negli zoo in giro per il mondo, numeri che indicano un lieve, ma importante recupero della specie, oggi considerata "Vulnerabile" e non più "In pericolo" all'interno della Lista Rossa IUCN delle specie minacciate.
Il ritorno di Huan Huan e Yuan Zi: un simbolo che va oltre i due panda
Il ritorno in Cina di Huan Huan e Yuan Zi ricorda quanto la presenza dei panda negli zoo occidentali non sia mai solo una questione di conservazione o di ricerca scientifica. Questi animali, splendidi e ancora vulnerabili, portano con sé un significato che va ben oltre il loro valore conservazionistico: rappresentano un simbolo, una leva politica, un tassello di una strategia internazionale che la Cina utilizza con grande abilità.
Negli anni, la diplomazia dei panda è diventata uno strumento sofisticato che non si limita a costruire ponti culturali, ma accompagna spesso accordi commerciali, intese energetiche, collaborazioni industriali. La cura degli animali e la tutela della specie restano elementi reali, ma non sempre sono il motore principale di queste operazioni. È difficile ignorare il fatto che ogni arrivo – e ogni rientro – di una coppia di panda avvenga dentro un quadro geopolitico molto più ampio, in cui Pechino rafforza relazioni, consolida influenze e orienta scelte strategiche.
I panda sono diventati uno strumento di potere che si muove silenzioso, quasi impercettibile. E proprio per questo, spesso ancora più efficace. Dietro ogni panda che parte o arriva, resta però una domanda aperta: quanto stiamo davvero proteggendo questi animali e quanto, invece, li stiamo trasformando in pedine di una partita a scacchi che riguarda soprattutto noi e i nostri equilibri geopolitici? Una domanda che, probabilmente, accompagnerà ancora a lungo ogni storia di panda che escono e entrano dai confini della Repubblica Popolare Cinese