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Il cane vissuto come un figlio, tanto da essere "responsabile" del calo delle nascite. E' un'opinione diffusa, tanto che anche Papa Francesco ha portato avanti questa tesi in diverse occasioni. Ma il punto di partenza per comprendere perché accade questo fenomeno è vedere non il cane come "colpevole" ma analizzare quali motivi hanno portato e portano sempre più persone a preferire di vivere con un quattro zampe piuttosto che fare figli.
Questa analisi è stata ora condotta da un punto di vista prettamente scientifico da due ricercatori del Dipartimento di Etologia dell’Università Eötvös Loránd, in Ungheria che da anni studiano la relazione tra cane e umano sotto la lente della definizione "genitorialità canina". "Mentre molte società in tutto il mondo stanno attraversando transizioni demografiche caratterizzate da tassi di natalità in calo e reti di parentela in contrazione, l'aumento del possesso di animali domestici, in particolare la loro detenzione, è più pronunciato nelle società urbanizzate occidentali e dell'Asia orientale, dove gli animali domestici svolgono sempre più ruoli di compagnia". Questa è la premessa da cui sono partiti i biologi Laura Gillet E Enikő Kubinyi che sono andati di nuovo ad indagare le ragioni per cui i cani sono ormai considerati, sebbene ancora non da tutti, veri e propri "membri della famiglia".
Il passaggio successivo da parte degli esperti è stato quello di valutare perché avviene il fenomeno per cui sempre più persone li considerano come figli e anche perché alcuni li trattano alla stregua di eterni bambini umani. I ricercatori hanno messo in conto che si tratta di un'attitudine legata alla nostra evoluzione in cui "gli esseri umani hanno culturalmente reindirizzato i loro bisogni biologici di nutrire e prendersi cura dei bambini verso gli animali".
Da ciò sono riusciti a definire quali sono i tratti delle persone che vivono la "genitorialità canina" che si può distinguere a seconda del tipo di rapporto che si instaura con gli animali, ovvero descrivendo due tipologie: "c'è chi tratta il cane come un surrogato di bambino da viziare, mentre altri scelgono attivamente di avere cani e non figli, tenendo presente che hanno caratteristiche ed esigenze specifiche della specie".
In buona sostanza gli autori rilevano che in Occidente principalmente e comunque nei paesi in cui il reddito procapite è mediamente soddisfacente le nascite diminuiscono mentre cresce la detenzione di cani. Andando poi a analizzare le dirette testimonianze di chi vive con un cane, la descrizione dell'animale che ne esce è composta da parole di affetto che sono solite afferire alla relazione genitore‑figlio. Alcune tipologie di cani poi sono state selezionate proprio per generare in noi quel senso di accudimento e protezione che naturalmente si rivolge agli infanti, attraverso caratteristiche morfologiche che ricordano i bambini appena nati o molto piccoli. Ciò in particolar modo spiega anche perché poi si acquistano cani brachicecefali: a conquistare le persone sono i loro occhi grandi, la testa tonda e il muso corto.
Altro fattore molto importante è che le abilità cognitive del cane rendono facile la comunicazione con l’uomo, andando così a compensare il bisogno di prendersi cura di qualcuno senza richiedere gli elevati impegni di un figlio umano ma anche spesso senza andare a valutare quelli necessari anche per vivere con un cane che molto spesso diventa poi oggetto e non soggetto all'interno della relazione.
Un segnale in questo senso positivo, però, è proprio che all'interno dello studio i due ricercatori sottolineano che è decisamente cresciuta l'attenzione all'etologia del cane, ovvero a considerarlo altro da sé da parte di molte persone e non antropomorfizzarlo. Secondo gli esperti, infatti, solo una minoranza lo tratta come un "bambino che non capisce", mentre la maggioranza sceglie i cani proprio perché non sono esseri umani e ne riconosce le esigenze di specie. Ciò non toglie, però, che gli studiosi sottolineano che vi sia visione troppo “infantilizzante” proprio quando fanno riferimento alla selezione di razze brachicefale per la loro apparenza da eterni cuccioli che genera iper‑protezione da parte dell'umano e che causa danni comportamentali al cane.
La letteratura scientifica su questo tema è davvero tanta e variegata. Lo stesso dipartimento di Etologia dell'Università di Budapest, come abbiamo accennato, sistematicamente ritorna sul tema che è del resto decisamente simbolico dell'epoca che stiamo vivendo. Tutti gli studi, fondamentalmente, continuano ad accertare che l’“animal parenting” è un fenomeno in crescita ma è importante far emergere che non si tratta solo di mera sostituzione ma che viviamo in contesti socio economici che non favoriscono nemmeno le famiglie o le persone, le donne in particolare, a fare figli. Il rischio, altrimenti, è che si continui a narrare una realtà solo parzialmente, senza considerare le oggettive difficoltà che ci sono nel mettere al mondo altri esseri umani in una realtà in cui ancora il ruolo delle donne è sottovalutato e in cui anche essere padri non è facile in una società dove il sostegno alla famiglia è ancora poco efficace rispetto alle esigenze reali.
Al di là di queste considerazioni, però, questo studio ci dice una cosa molto importante, anzi due. La prima è che molte persone sì compensano bisogni che andrebbero cercati in relazioni intraspecifiche prendendo un cane al posto di fare un figlio. La seconda, però, ci dice anche che è aumentata invece la consapevolezza da parte di molti che scelgono di vivere con un quattro zampe che è necessario rispettare l'animale appagando le sue necessità etologiche e non solo "donandogli amore". I cani possiedono caratteristiche che stimolano risposte di accudimento, e per alcuni individui offrono un sostegno emotivo o una compensazione nei periodi di solitudine. Tuttavia l’antropomorfismo e l’attaccamento eccessivo possono avere conseguenze negative sia per l’animale sia per la persona.