UN PROGETTO DI
video suggerito
video suggerito
1 Dicembre 2024
14:00

Per salvare gli uccelli di oggi dobbiamo capire che “forma” avevano quelli estinti, lo studio

Uno nuovo studio svela i tratti comuni agli uccelli estinti dal 1500: insularità, incapacità di volare, grande corpo e ali appuntite. Informazioni cruciali per salvare le specie che sono a rischio estinzione oggi.

31 condivisioni
Immagine
Uno degli ultimi akikiki (Oreomystis bairdi) rimasti al mondo fotografato nel 2022. Oggi, in natura, rimane probabilmente un solo individuo. Foto di Kyle Kittelberger

Capire il passato per salvaguardare il futuro: questo è l'obiettivo di un gruppo di biologi dell'Università dello Utah, negli Stati Uniti, che ha cercato e identificato tutte le caratteristiche e tratti che avevano in comune gli uccelli che si sono estinti dal 1500 a oggi. Lo studio, recentemente pubblicato sulla rivista Avian Research, ha permesso così di individuare i tratti che hanno reso alcune specie più vulnerabili di altre, tracciando un vero e proprio profilo della "forma" dell'estinzione per ottenere informazioni e strumenti preziosi per evitare che altre scompaiano per sempre. Come purtroppo è accaduto recentemente proprio sotto ai nostri occhi con l'estinzione del chiurlottello, il primo uccello europeo a sparire per sempre.

Il profilo e l'aspetto dell'estinzione negli uccelli

Immagine
Il 3 giugno 1844, gli ultimi due esemplari di alca impenne (Pinguinus impennis) vennero abbattuti a Eldey, al largo delle coste dell’Islanda

Dal 1500 a oggi, sono ben 216 le specie di uccelli che hanno cessato per sempre di esistere, un numero che rappresenta circa il 2% delle specie totali conosciute. Ma quali sono le caratteristiche comuni a tutte queste specie? Secondo i risultati di questo studio, gli uccelli estinti condividevano diverse caratteristiche molto specifiche: erano spesso endemici di piccole isole, incapaci di volare, di grandi dimensioni e con ali molto appuntite. Inoltre, molte di queste specie occupavano nicchie ecologiche molto specifiche, un elemento chiave che ne ha limitato la capacità di adattarsi ai cambiamenti ambientali.

Alcune di queste informazioni erano già note e abbastanza scontante. Le specie che vivono su piccole isole o aree molto ristrette, incapaci di volare o che hanno abitudini molto particolari e specializzate (come la dieta o la preferenza di habitat) sono naturalmente quelle che rischiano di più rispetto a quelle più abbondanti, diffuse e generaliste. Tuttavia, non sono mancate le sorprese. «La nostra ricerca è la prima a correlare questi tratti con il momento dell'estinzione», ha spiegato Kyle Kittelberger, autore principale dello studio. «Questo approccio ci aiuta a capire non solo perché certe specie sono scomparse, ma anche quando e come».

Le isole, paradisi estremamente fragili

Uno dei fattori più critici rimane però l'insularità, ovvero l'essere endemici di una o poche. Più dell'87% degli uccelli estinti viveva su isole, ambienti che, pur essendo ricchi di biodiversità, sono particolarmente vulnerabili soprattutto all'arrivo di specie invasive e alle alterazioni degli ecosistemi. Un esempio drammatico è quello delle Hawaii, che da sole contano 34 estinzioni dal 1500. Tra le vittime più recenti e celebri c'è sicuramente L'ō'ō di Kaua'i (Moho braccatus), un piccolo passeriforme scomparso nel 1987 e di cui oggi non rimane altro che la triste registrazione dell'ultimo maschio in cerca di femmine che non c'erano più.

Gli uccelli insulari sono spesso incapaci di volare, come il famosissimo dodo (Raphus cucullatus), oppure volano poco e male, una caratteristica che li rende inevitabilmente più esposti ai predatori introdotti dagli esseri umani, come ratti o gatti domestici. Inoltre, il loro isolamento anche evolutivo li porta a sviluppare nicchie ecologiche – e quindi abitudini e preferenze – molto specializzate, riducendo ulteriormente la capacità di rispondere ai cambiamenti che rendono non più convenienti queste specializzazioni. Ma nonostante queste informazioni fossero abbastanza note e prevedibili, dai risultati dello studio ne sono uscite altre relativamente inaspettate e potenzialmente utili.

Grandi corpi e ali appuntite: vulnerabilità inaspettate

Immagine
Illustrazione di huia (Heteralocha acutirostris), specie neozelandese estinta all’inizio del 1900

Un altro tratto comune a tante specie ormai estinte sono le grandi dimensioni corporee. Gli uccelli più grandi sono stati infatti spesso bersaglio dei cacciatori e dei collezionisti, come dimostrano casi famosi come l'estinzione dell'alca impenne (Pinguinus impennis) e del cormorano di Pallas o dagli occhiali (Phalacrocorax perspicillatus). Sono almeno 45 le specie scomparse che avevano un peso medio superiore ai 500 grammi e tre quarti di queste era pure endemico di una o poche isole. Ma il risultato più sorprendente, tuttavia, riguarda la forma e la lunghezza delle ali.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, gli uccelli con ali più appuntite – caratteristica correlata a migliori capacità di volo e di dispersione – erano più vulnerabili di quelli con ali più corte e arrotondate. In teoria, gli uccelli più abili nel volo dovrebbero essere quelli meglio equipaggiati per rispondere alle pressioni ambientali, ma non sembra essere così. Questo aspetto dipende probabilmente dal fatto che molte specie insulari con ali più appuntite avevano antenati migratori (pensiamo alle ali di rondini e rondoni), che avevano bisogno di viaggiare su grandi distanze per raggiungere le isole. Tuttavia, una volta stabilitesi, molte di queste specie hanno comunque perso la capacità di adattarsi a cambiamenti improvvisi.

Il peso delle attività umane e gli ingredienti per invertire la marcia

Immagine
Gambecchio becco a spatola (Calidris pygmeus), specie considerata "In pericolo critico" dalla IUCN

Per quanto riguarda invece i motivi che hanno portato alla scomparsa di queste specie, non è un caso se il picco delle estinzioni sia coinciso con l'espansione coloniale europea e la conseguente introduzione di specie invasive. Dal 1500, l'espansione e le attività umane sempre più crescenti e intense hanno sistematicamente alterato gli ecosistemi, causando perdita e frammentazione di habitat e l'introduzione di predatori e nuove malattie. Oggi, però, le cause del declino sono invece sempre più legate ai cambiamenti climatici, che amplificano in maniera esponenziale tutte le altre minacce già esistenti.

Attualmente, secondo la Lista Rossa delle specie minacciate della IUCN, circa 1.314 specie di uccelli – oltre 12% del totale – sono a rischio di estinzione. Alcune di queste, sono così rare e poco numerose da essere considerate "funzionalmente estinte", come l'akikiki (Oreomystis bairdi), un piccolo uccello hawaiano che oggi sopravvive probabilmente con un solo individuo in natura. Ma nonostante ciò, questo studio potrebbe offrire strumenti preziosi per invertire questa tendenza. Identificando i tratti e le caratteristiche che aumentano il rischio di estinzione, i conservazionisti possono concentrare gli sforzi sulle specie più vulnerabili, evitando altre perdite irreparabili.

Ogni estinzione rappresenta non solo la scomparsa di una specie, ma anche la perdita di una storia evolutiva unica e di un ruolo ecologico insostituibile. Salvare gli uccelli oggi significa preservare non solo il nostro patrimonio naturale, ma anche le dinamiche e le regole che sostengono la vita e il funzionamento degli ecosistemi del nostro pianeta. «Il passato ci insegna che la diversità è la chiave della resilienza – ha concluso Kittelberger – Abbiamo ancora tempo per imparare e agire, ma dobbiamo farlo adesso». Ora che abbiamo "disegnato" che aspetto ha l'estinzione, abbiamo tutti gli ingredienti per fermarla ed evitare che travolga tante altre specie.

Sfondo autopromo
Segui Kodami sui canali social
api url views