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Parlare con una balena e capire cosa prova. Fare una conversazione con un cavalluccio marino o anche con un cane per comprendere il loro modo di percepire la vita. Consentono di farlo, replicando quelle che sono le emozioni animali descritte da chi li ha programmati, i chatbot di intelligenza artificiale su cui sono stati strutturati diversi studi, proprio per avvicinarci di più agli animali.
Quanto siano performanti davvero per sensibilizzare le persone e generare maggiore empatia è però la domanda al centro di diverse ricerche recenti che puntano l'attenzione proprio sui cosiddetti chatbot “zoomorfi”, ovvero i software che generano conversazioni con gli esseri umani concepiti per "ragionare" con identità animali e stimolare riflessioni.
Chatbot animali: la nuova frontiera della sensibilizzazione per il rispetto delle altre specie
Siamo già circondati nel quotidiano da chatbot, ovvero software di IA concepiti per rispondere ad esempio alle nostre domande sul meteo o sulle informazioni per fare un viaggio. Alcuni sono semplici, con risposte pre impostate, altri – come quelli che impersonano animali – sono più sofisticati e capaci di adattare il linguaggio al contesto emotivo dell’utente. Nel caso dei chatbot “zoomorfi”, l’obiettivo non è solo interagire, ma replicare il punto di vista dell’animale, creando una narrazione empatica che ci invita a “vedere con i suoi occhi”.
Sempre di più, dunque, stanno nascendo progetti in cui sono utilizzati strumenti progettati per impersonare animali, la cui missione é far provare alle persone le emozioni e comprendere il livello cognitivo delle altre specie che vivono sulla Terra.
Il progetto OceanChat, ad esempio, è un software concepito per far dialogare le persone con una iuna balena beluga, una medusa e un cavalluccio marino. Questi ‘animali virtuali' diventano le guide che spiegano e coinvolgono emotivamente. "La nostra analisi ha rivelato che la narrazione conversazionale dei personaggi ha aumentato significativamente le intenzioni comportamentali e le preferenze di scelta sostenibile rispetto agli approcci statici. Il personaggio della balena beluga ha dimostrato un coinvolgimento emotivo costantemente più forte in diverse misure, tra cui l'antropomorfismo percepito e l'empatia": è quanto hanno riportato i ricercatori come risultato, osservando che chi ha interagito con l'IA si è detto poi più intenzionato ad adottare comportamenti sostenibili rispetto a chi aveva solo letto un testo divulgativo sullo stesso tema.
L’empatia può nascere da un algoritmo? L'effetto ELIZA
In una ricerca intitolata "Wild Narratives: Exploring the Effects of Animal Chatbots on Empathy and Positive Attitudes toward Animals, gli esperti hanno voluto verificare se l’uso di chatbot versione animali aumenta davvero il livello di empatia e se arriva a far cambiare l’attitudine delle persone nei confronti della fauna.
Il risultato è stato che i partecipanti si sono sentiti più coinvolti e hanno sviluppato una maggiore connessione con gli animali rappresentati, anche quando si trattava di specie poco note o percepite come “lontane”.
Il confine è però labile, perché l'utilizzo di strumenti artificiali porta a provare emozioni sicuramente ma, allo stesso tempo, rischia di farci allontanare sempre di più dalla realtà. Etologi, psicologi e filosofi si sono posti questo dubbio che può portare al cosiddetto effetto ELIZA che prende il nome da uno dei primi chatbot della storia. Si tratta di un processo mentale per cui attribuiamo emozioni e intenzioni a un software che simula solo quello che davvero un essere vivente può provare. Il nome deriva da uno dei primi chatbot inventati, nato addirittura negli anni 60 del Novecento, e che aveva il compito di impersonare uno psicoterapeuta. Sebbene fosse davvero elementare nel generare domande e risposte, le persone che interagivano con il programma si lasciavano decisamente andare, confidando al computer i loro sentimenti e lo stato emotivo in cui si trovavano.
Una ricerca dell'Università di Cambrdige ha analizzato come i bambini si comportano rispetto a questa tipologia di interazione virtuale ed è emerso che per i piccoli umani non sorge alcun dubbio sul fatto che non vi sia alcuna differenza tra il ‘parlare' con una macchina o con un altro essere umano.
Ritornando dunque al rapporto con gli altri animali, con cui la distanza fisica è chiaramente effettiva rispetto alle relazioni umane, è importante contestualizzare questi chatbot in modo che comunichino in modo chiaro la necessità che poi si passi dal virtuale al reale: è sicuramente necessario che siano comunicati e inseriti all'interno di percorsi guidati da esseri umani che fanno da ‘tutor' all'esperienza dell'utente, soprattutto nei confronti dei minori. In tal senso si sta muovendo il progetto ACE for Wildlife, un network nato negli Stati Uniti che riunisce zoo e acquari per promuovere un approccio empatico nei confronti degli altri esseri viventi in cui alla tecnologia viene associata una corretta narrazione finalizzata al corretto messaggio educativo che tiene conto dell'importanza di mantenere un contatto con la realtà.