
La giornata mondiale della poesia cade nel primo giorno di primavera. Il 21 marzo del 1999 l'Unesco ha istituito la data in cui celebrare le parole che rappresentano l'anima di chi ha affidato alla penna i suoi pensieri più profondi e tra questi non mancano quelli dedicati agli animali.
Le parole hanno un potere enorme per la nostra specie, sono il mezzo attraverso il quale comunichiamo e l'antropologia ci ha spiegato che proprio il linguaggio è stata la componente più importante della nostra evoluzione.
Noi sapiens a volte ne abusiamo nel linguaggio orale, soprattutto quando esprimiamo i nostri sentimenti e parliamo tanto anche con le altre specie. Lo sanno bene i cani e i gatti di casa soprattutto quanto quel vocalizzare sia importante per gli esseri umani già solo nel voler esprimere loro quanto li amiamo.
Quando però si passa dal parlato alla parola scritta, ecco che tutta la bellezza della nostra specie viene fuori nell'espressione di una abilità unica che ci caratterizza come esseri umani. Non è qualcosa di superiore rispetto agli altri esseri viventi ma è una capacità specie specifica che si esprime, appunto, nella scrittura e che posta in versi si trasforma poesia, che come ha detto il quattro volte premio Pulitzer Robert Lee Frost è “quando un'emozione ha trovato il suo pensiero e il pensiero ha trovato le parole”.
Sono tanti i poeti che hanno dedicato dei versi agli animali e tanti quelli che osservando il comportamento animale si sono immedesimati in altre specie per comunicare le proprie emozioni ‘vestendosi' di versi in cui un cane, un gatto o anche un uccello o un cavallo sono diventati il tramite per esprimere ciò che dalla bocca non riusciva a cadere e che si è concretizzato in parole scritte.
Poesie dedicate agli animali
Evgenij Evtusenko, Al mio cane

Ficcando il naso nero nel vetro,
 il cane aspetta, aspetta sempre qualcuno.
 Infilo la mano nel suo pelo,
 io pure aspetto qualcuno.
 Ricordi, cane, c’è stato un tempo
 quando una donna abitava qui.
 E chi era essa per me?
 Forse una sorella, una moglie forse,
 e forse, talvolta, sembrava una figlia
 a cui dovevo il mio aiuto.
 Essa è lontana…
 Ti sei fatto zitto.
 Più non ci saranno altre donne qui.
 Mio bravo cane, sei bravo in tutto,
 ma che peccato che tu non possa bere!
Elizabeth Barrett Browning, "A Flush"

Tu vedi questo cane.
 Era soltanto ieri e io meditavo
 dimentica della sua presenza accanto a me
 finché pensieri su pensieri
 mi portarono a lacrime su lacrime;
 quando dal cuscino su cui giacevo,
 le guance bagnate di pianto,
 una testina ricciuta come quella d’un fauno
 sorse dal nulla accanto al mio viso,
 due occhi grandi d’oro chiaro
 interrogarono i miei,
 un orecchio morbido mi accarezzò sulle guance
 a tergere il mio pianto.
 Sgranai gli occhi al momento,
 come qualche abitante d’Arcadia,
 stupito dal dio caprino nei boschi al crepuscolo,
 ma come quella visione di riccioli
 mi venne più accanto ad asciugarmi le lacrime,
 riconobbi Flush, e superai sorpresa e tristezza,
 ringraziando il dio Pan che, dalle piccole creature,
 conduce alle altezze d’amore.
Pablo Neruda, "Ode al cane"

Il cane mi domanda
 ed io non rispondo.
 Salta, corre pei campi e mi domanda
 senza parlare
 ed i suoi occhi
 son due domande umide, due fiamme
 liquide interroganti
 ed io non rispondo,
 non rispondo perché
 non so e nulla posso dire.
 In mezzo ai campi andiamo
 uomo e cane.
 Luccicano le foglie come
 se qualcuno
 le avesse baciate
 ad una ad una,
 salgono dal suolo
 tutte le arance
 a collocare
 piccoli planetari
 in alberi rotondi
 come la notte e verdi,
 ed uomo e cane andiamo
 fiutando il mondo, scuotendo il trifoglio,
 pei campi del Cile,
 fra le limpide dita di settembre.
 Il cane si arresta,
 corre dietro api,
 salta l’acqua inquieta,
 ascolta lontanissimi
 latrati,
 orina su una pietra
 e porta la punta del suo muso
 a me, come un regalo.
 Tenera impertinenza
 per palesare affetto!
 E fu a quel punto che mi chiese,
 con gli occhi,
 perché ora è giorno,
 perché verrà la notte,
 perché la primavera
 non portò nel suo cesto
 nulla
 per cani vagabondi,
 ma inutili fiori,
 fiori ed ancora fiori.
 Questo mi chiede
 il cane
 ed io non rispondo.
 Andiamo avanti,
 uomo e cane, appaiati
 dal mattino verde,
 dall’eccitante vuota solitudine
 in cui solo noi
 esistiamo,
 questa coppia di un cane rugiadoso
 ed io poeta del bosco,
 perché non esistono
 uccelli o fiori nascosti,
 ma profumi e gorgheggi
 per due compagni,
 per due cacciatori compagni:
 un mondo inumidito
 dalle distillazioni della notte,
 un tunnel verde e poi
 una prateria,
 una raffica di vento aranciato,
 il sussurro delle radici,
 la vita che cammina,
 respira, cresce,
 e l’antica amicizia,
 la gioia
 d’esser cane e d’esser uomo
 tramutata
 in un solo animale
 che cammina movendo
 sei zampe
 ed una coda
 con rugiada.
Tagore, "Il mio cane"

Ogni mattina il mio devoto cane
 presso la sedia silenzioso aspetta
 finché io lo saluto con un colpetto.
 Al ricevere questo tenue omaggio
 di gioia il corpo suo tutto trasale!
 Fra tutte le mute creature
 lui solo, penetrando il velo del bene e del male,
 ha visto l’uomo nella sua interezza,
 essere per cui può dare la vita contento,
 cui senza secondi fini può riversare amore
 da un opaco sentire che a stento trova la via
 verso il mondo della coscienza.
 Quando vedo l’offerta di questo muto cuore
 supplice del suo stesso bisogno,
 immaginar non so quale raro valore
 la sua saggezza pura trova nell’Uomo.
 Col suo tacito sguardo, patetico, smarrito,
 quel che afferra non può esprimere in parole;
 ma per me rivela il vero significato dell’Uomo,
 nello schema del Creato.
Alda Merini, "Anima che accarezzo la sera"

Anima che accarezzo a sera, e sei un cane
 stanco, ma un cane sempre fedele. Un cane
 che balbetta un nome: padrone, padrone mio.
 Non lasciarmi anima cane, non lasciarmi mai.
Antonio De Curtis (Totò), "Dick"

Tengo ‘nu cane ch’è fenomenale,
 se chiama “Dick”, ‘o voglio bene assaie.
 Si perdere l’avesse? Nun sia maie!
 Per me sarebbe un lutto nazionale.
 Ll ‘aggio crisciuto comm’a ‘nu guaglione,
 cu zucchero, biscotte e papparelle;
 ll’aggio tirato su cu ‘e mmullechelle
 e ll’aggio dato buona educazione.
 Gnorsì, mo è gruosso. E’ quase giuvinotto.
 Capisce tutto… Ile manca ‘a parola.
 è cane ‘e razza, tene bbona scola,
 è lupo alsaziano, è polizziotto.
 Chello ca mo ve conto è molto bello.
 In casa ha stabilito ‘a gerarchia.
 Vo’ bene ‘ a mamma ch’è ‘a signora mia,
 e a figliemo isso ‘o tratta da fratello.
 ‘E me se penza ca lle songo ‘o pate:
 si ‘o guardo dinto a ll’uocchiemme capisce,
 appizza ‘e rrecchie, corre, m’ubbidisce,
 e pe’ fa’ ‘e pressa torna senza fiato.
 Ogn’anno, ‘int’a ll’estate, va in amore,
 s’appecundrisce e mette ‘o musso sotto.
 St’anno s’è ‘nnammurato ‘e na basotta
 ca nun ne vo’ sapè: nun è in calore.
 Povero Dick, soffre ‘e che manera!
 Porta pur’isso mpietto stu dulore:
 è cane, si … . ma tene pure ‘o core
 e ‘o sango dinto ‘e vvene… vo ‘a mugliera…
Lord Byron, "Epitaffio per un cane"

In questo luogo
 giacciono i resti di una creatura
 che possedette la bellezza
 ma non la vanità
 la forza ma non l’arroganza
 il coraggio ma non la ferocia
 E tutte le virtù dell’uomo
 senza i suoi vizi.
 Quest’elogio, che non sarebbe che vuota lusinga
 sulle ceneri di un uomo,
 è un omaggio affatto doveroso alla Memoria di
 “Boatswain”, un cane che nacque in Terranova
 nel maggio del 1803
 e morì a Newstead Abbey
 il 18 novembre 1808.
 Quando un fiero figlio dell’uomo
 al seno della terra fa ritorno,
 sconosciuto alla gloria, ma sorretto
 da nobili natali,
 lo scultore si prodiga a mostrare
 il simulacro vuoto del dolore,
 e urne istoriate ci rammentano
 l’uomo che giace lì sepolto;
 e quando ogni cosa si è compiuta
 sul sepolcro noi potremo leggere
 non chi fu quell’uomo,
 ma chi doveva essere.
 Ma il misero cane, l’amico più caro in vita,
 che per primo saluta e
 e che difende ultimo,
 il cui bel cuore appartiene al suo padrone,
 che lotta, respira,
 vive e fatica per lui solo,
 cade senza onori;
 e solo col silenzio
 è premiato il suo valore;
 e l’anima che fu sua su questa terra
 gli vien negata in cielo;
 mentre l’uomo, insetto vano! ,
 spera il perdono, e per sé solo
 pretende un paradiso intero.
 O uomo! Flebile inquilino della terra per un’ora,
 abietto in servitù, corrotto dal potere,
 ti fugge con disgusto chi ti conosce bene,
 o vile massa di polvere animata!
 L’amore in te è lussuria, l’amicizia truffa,
 la parola inganno, il sorriso menzogna!
 Vile per natura, nobile sol di nome,
 ogni animale ti mette alla vergogna.
 O tu, che per caso guardi quest’umile sepolcro,
 passa e va’: non è in onore
 di creatura degna del tuo pianto.
 Esso fu innalzato per segnare
 il luogo ove tutto quel che di un amico resta
 riposa in pace;
 un sol ne conobbi: e qui si giace.
Senofane di Colofone, frammento

Vide una volta maltrattare un cane – dicono –
 mentre passava, e n’ebbe pena, e disse:
 “Basta con le percosse! Certo lì c’è l’anima
 di un amico: lo sento dalla voce”.
Jorge Luis Borges, "A un gatto"

Non sono più silenziosi gli specchi
 né più furtiva l’alba avventuriera;
 sei, sotto la luna, quella pantera
 che a noi ci è dato percepire da lontano.
 Per opera indecifrabile di un decreto
 divino ti cerchiamo invano;
 più remoto del Gange e del Ponente
 tua è la solitudine, tuo il segreto.
 La tua schiena accondiscende la carezza
 lenta della mia mano. Hai accolto,
 da quella eternità che è già oblio,
 l’amore di una mano timorosa.
 Sei in un altro tempo. Sei il padrone
 di un abito chiuso come un sogno.
Fernando Pessoa, "Gatto che giochi per la via"

Gatto che giochi per via
 come se fosse il tuo letto,
 invidio la sorte che è tua,
 ché neppur sorte si chiama.
 Buon servo di leggi fatali
 che reggono i sassi e le genti,
 hai istinti generali,
 senti solo quel che senti;
 sei felice perché sei come sei,
 il tuo nulla è tutto tuo.
 Io mi vedo e non mi ho,
 mi conosco, e non sono io.
Giovanni Pascoli, "La gatta"

Era una gatta, assai trita, e non era
 d’alcuno, e, vecchia, aveva un suo gattino.
 Ora, una notte (su per il camino
 s’ingolfava e rombava la bufera)
 trassemi all’uscio il suon d’una preghiera,
 e lei vidi e il suo figlio a lei vicino.
 Mi spinse ella, in un dolce atto, il meschino
 tra’ piedi; e sparve nella notte nera.
 Che nera notte, piena di dolore!
 Pianti e singulti e risa pazze e tetri
 urli portava dai deserti il vento.
 E la pioggia cadea, vasto fragore,
 sferzando i muri e scoppiettando ai vetri.
 Facea le fusa il piccolo, contento.
Pablo Neruda, "Ode al gatto"

Gatto, tu sei il mistero avvolto dal pelo,
 la notte che danza sul tetto oscuro,
 la luna che striscia tra l’ombra e il chiarore,
 l’armonia che emana dal tuo sguardo puro.
 Nelle tue orbite risplendono le stelle,
 e il tuo corpo felino sfiora l’eternità,
 sei il guardiano di segreti e di favole,
 la perfetta incarnazione della libertà.
 Cammini con passo furtivo ed elegante,
 il tuo pelo si muove come onda al vento,
 e mentre ti nutri dell’anima del mondo,
 trasformi l’ordinario in un magico momento.
 Le tue zampe scivolano su antiche leggende,
 il tuo ruggito riecheggia come un canto antico,
 sei il regno della grazia, della forza e dell’ardore,
 e nel tuo sguardo splende un’immensità di significato.
 Gatto, tu sai incantare gli animi stanchi,
 le tue fusa cullano i cuori affranti,
 sei un mistero che si cela tra i riflessi della notte,
 la poesia che vive nell’ombra dei tuoi amanti.
 Ti accarezzi il viso con una dignità suprema,
 le tue orecchie ascoltano i sussurri del destino,
 sei la saggezza silenziosa che tutto comprende,
 e con la tua presenza doni un senso divino.
 Gatto, tu hai il potere di trasformare il tempo,
 di riempire di gioia anche il più triste dei giorni,
 e quando ti avvolgi nel sonno profondo,
 sembri fonderti con l’universo in mille armonie.
 Ode al gatto, creatura misteriosa,
 che con la tua bellezza ci doni purezza,
 tu sei la fiamma che accende la poesia,
 e nei nostri cuori resti per sempre, dolcezza.
 Gatto, tu sei l’incanto, la meraviglia,
 il sorriso nascosto di una notte stellata,
 e nell’immensità del tuo essere,
 troviamo la verità più nascosta e segreta.
 In te, gatto, troviamo la forza dell’anima,
 la magia che vive nel profondo dei sogni,
 e per sempre ti porteremo nel cuore,
 come l’emblema di tutto ciò che è divino.
 Ode al gatto, eterna fonte d’ispirazione,
 incantatore di anime e cuori,
 sei la poesia incarnata in un essere,
 e la tua presenza riempie di colori.
 Gatto, sei un miracolo vivo,
 una sinfonia di forme e di movimenti,
 e nel tuo sguardo riflette il mistero dell’universo,
 che ci accompagna nei nostri pensieri e sentimenti.
 Ode al gatto, sublime creatura,
 che hai conquistato il nostro affetto,
 sempre sarai il re degli esseri felini,
 e nei nostri ricordi vivrai per sempre, perfetto.
Vivian Lamarque, "Poesia per un gatto"

Sei quasi commovente
 quando mi segui per niente
 quando ti sposti di stanza
 solo perché io mi sposto di stanza
 devi allora da capo cercare
 nuovo luogo e modo di fare ciambella
 una nuova posizione
 è questo il tuo discreto modo
 di dare dedizione.
Umberto Saba, "Pettirosso"

Trattenerti, volessi anche, non posso.
 Vedi, amico del merlo, il pettirosso.
 Quanto ha il simile in odio egli di quella
 vicinanza par lieto.
 E tu li pensi compagni inseparabili,
 che agli orli di un boschetto sorpreso li sorprendi.
 Ma un impeto gioioso al nero amico,
 che vive prede ha nel becco, l’invola.
 Piega un ramo lontano, cui non nuoce,
 se un po’ ne oscilla, l’incarco; la bella
 stagione, il cielo tutto suo l’inebbriano,
 e la moglie nel nido.
 Come un tempo
 il dolce figlio che di me nutrivo,
 si sente ingordo libero feroce;
 e là si sgola.
Giosuè Carducci, "Il bove"

T'amo, o pio bove; e mite un sentimento
 di vigore e di pace al cor m'infondi,
 o che solenne come un monumento
 Tu guardi i campi liberi e fecondi,
 0 che al giogo inchinandoti contento
 l'agil opra de l'uom grave secondi:
 ei t'esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
 Giro de' pazienti occhi rispondi.
 Da la larga narice umida e nera
 fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
 il mugghio nel sereno aer si perde;
 e del grave occhio glauco entro l'austera
 dolcezza si rispecchia ampio e quieto
 Il divino del pian silenzio verde.
Giacomo Leopardi, "Il passero solitario"

D’in su la vetta della torre antica,
 Passero solitario, alla campagna
 Cantando vai finchè non more il giorno;
 Ed erra l’armonia per questa valle.
 Primavera dintorno
 Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
 Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
 Odi greggi belar, muggire armenti;
 Gli altri augelli contenti, a gara insieme
 Per lo libero ciel fan mille giri,
 Pur festeggiando il lor tempo migliore:
 Tu pensoso in disparte il tutto miri;
 Non compagni, non voli,
 Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
 Canti, e così trapassi
 Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
 Oimè, quanto somiglia
 Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
 Della novella età dolce famiglia,
 E te german di giovinezza, amore,
 Sospiro acerbo de’ provetti giorni
 Non curo, io non so come; anzi da loro
 Quasi fuggo lontano;
 Quasi romito, e strano
 Al mio loco natio,
 Passo del viver mio la primavera.
 Questo giorno ch’omai cede alla sera,
 Festeggiar si costuma al nostro borgo.
 Odi per lo sereno un suon di squilla,
 Odi spesso un tonar di ferree canne,
 Che rimbomba lontan di villa in villa.
 Tutta vestita a festa
 La gioventù del loco
 Lascia le case, e per le vie si spande;
 E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
 Io solitario in questa
 Rimota parte alla campagna uscendo,
 Ogni diletto e gioco
 Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
 Steso nell’aria aprica
 Mi fere il Sol che tra lontani monti,
 Dopo il giorno sereno,
 Cadendo si dilegua, e par che dica
 Che la beata gioventù vien meno.
 Tu, solingo augellin, venuto a sera
 Del viver che daranno a te le stelle,
 Certo del tuo costume
 Non ti dorrai; che di natura è frutto
 Ogni vostra vaghezza.
 A me, se di vecchiezza
 La detestata soglia
 Evitar non impetro,
 Quando muti questi occhi all’altrui core,
 E lor fia voto il mondo, e il dì futuro
 Del dì presente più noioso e tetro,
 Che parrà di tal voglia?
 Che di quest’anni miei? che di me stesso?
 Ahi pentirommi, e spesso,
 Ma sconsolato, volgerommi indietro.
Charles Baudelaire, "L'albatros"

Spesso, per divertirsi, i marinai
 catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
 indolenti compagni di viaggio delle navi
 in lieve corsa sugli abissi amari.
 L’hanno appena posato sulla tolda
 e già il re dell’azzurro, maldestro e vergognoso,
 pietosamente accanto a sé strascina
 come fossero remi le grandi ali bianche.
 Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
 E comico e brutto, lui prima così bello!
 Chi gli mette una pipa sotto il becco,
 chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!
 Il Poeta è come lui, principe delle nubi
 che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
 esule in terra fra gli scherni, impediscono
 che cammini le sue ali di gigante.