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4 Dicembre 2025
11:01

Il calabrone killer asiatico ha un nemico inaspettato: una piccola rana immune alle sue punture letali

Una rana resistente alle punture dei calabroni giganti asiatici divora questi insetti senza paura, nonostante venga ripetutamente punta in bocca e persino negli occhi.

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Le rane Pelophylax nigromaculatus riescono a mangiare i calabroni giganti asiatici nonostante le punture ripetute. Immagine di Shinji Sugiura

Il calabrone gigante asiatico – la famigerata Vespa mandarinia – è il più grande (e spaventoso) del pianeta. Le regine possono arrivare a ben 5,5 cm di lunghezza e il loro veleno è tra i più potenti e dolorosi al mondo: provoca fitte acute, danneggia i tessuti, può distruggere i globuli rossi e, nei casi più gravi, compromettere il cuore. Eppure esiste un animale capace non solo di affrontare questi insetti killer, ma addirittura di farne uno spuntino.

È la rana verde dalle macchie nere (Pelophylax nigromaculatus), un piccolo anfibio asiatico che ha sviluppato una resistenza sorprendente alle punture dei calabroni, compresi quelli più grossi e pericolosi. A raccontarlo è un nuovo studio pubblicato sulla rivista Ecosphere e condotto da Sugiura Shinji, ecologo della Kobe University, in Giappone.

Lo scienziato voleva risolvere un vero e proprio mistero: le rane che mangiano i calabroni sono davvero immuni al loro veleno o semplicemente riescono a evitarne le punture? Gli studi sul contenuto stomacale avevano infatti già scoperto che queste rane – molto simili alle nostre comuni rane verdiogni tanto mangiano i calabroni, ma nessuno aveva mai osservato come riuscissero a farlo, ma ora lo sappiamo.

Le rane killer dei calabroni, nonostante le punture in bocca e negli occhi

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Il calabrone asiatico gigante (Vespa mandarinia) è il più grande e pericoloso al mondo

Per capirlo, Sugiura ha "offerto" ad alcune rane tre specie diverse di calabroni: Vespa simillima, Vespa analis e appunto Vespa mandarinia, quest'ultima nota anche come calabrone killer asiatico e spesso erroneamente segnalata anche qui in Europa e in Italia, poiché confusa con Vespa velutina, specie di origine asiatica arrivata anche qui, ma più piccola. Le rane, scelte in base alla loro taglia e osservate una sola volta ciascuna, sono state messe in condizioni controllate per osservare nel dettaglio ogni fase dell'attacco.

Il risultato è stato del tutto inaspettato: le rane non solo si sono mostrate molto aggressive verso i calabroni, ma li hanno catturati e ingoiati con una facilità e un'efficacia incredibile. Il 93% ha mangiato V. simillima, l'87% V. analis e addirittura il 79% ha divorato anche il gigantesco V. mandarinia. Tutto questo nonostante molte siano state punte dai calabroni in bocca o persino negli occhi.

Secondo Sugiura, un topo di dimensioni simili alle rane studiate può morire dopo una sola puntura, mentre gli anfibi non hanno mostrato alcun segno di sofferenza, neanche dopo essere state colpite più volte. Una resistenza così marcata non ha precedenti e apre scenari affascinanti anche per la ricerca. Gli scienziati sanno già che il dolore e la letalità di un veleno non sempre vanno di pari passo. Alcuni insetti infliggono punture molto dolorose, ma non mortali, altri causano danni gravi pur provocando poco dolore. Ma come funziona per le rane?

Come fanno le rane a resistere alle punture dei calabroni killer?

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Le rane potrebbero aver sviluppato una protezione fisica dalle punture, oppure le tossine potrebbero non essere efficaci sugli anfibi

La puntura di calabrone gigante asiatico è considerata estremamente dolorosa e nei soggetti più sensibili e vulnerabili può persino causare la morte, in caso di punture ripetute. La specie è quindi spesso al centro delle cronache, anche perché è un predatore eccezionale di api da miele (un singolo calabrone può uccidere fino a 40 api al minuto) e perché nel 2019 era anche arrivata negli USA, suscitando non poco terrore. Nel 2024 è stata poi eradicata dagli Stati Uniti, ma l'attenzione sulla sua potenziale invasività e sul suo veleno resta molto alta.

Le rane studiate potrebbero aver sviluppato una "doppia tolleranza", sia al dolore che alla tossicità del veleno, riuscendo così a predare con successo insetti che per altri animali risultano fatali. Ma la domanda più importante di tutte è: come ci riescono? È possibile che questi anfibi abbiano barriere fisiche – per esempio una pelle particolarmente spessa o una mucosa protettiva – oppure proteine capaci di bloccare gli effetti più dannosi e pericolosi del veleno.

Oppure, al contrario, potrebbe anche essere che le tossine dei calabroni non si siano evolute per essere efficaci sugli anfibi, che a differenza di mammiferi e uccelli, non attaccano praticamente mai i loro nidi. Qualunque sia la spiegazione, Pelophylax nigromaculatus oggi non solo è un predatore insospettabile dei temuti calabroni killer asiatici, ma anche un potenziale modello di studio per capire meglio come funziona la tolleranza ai veleni di questi insetti. Una scoperta inaspettata che potrebbe persino aiutarci a difenderci dalle loro punture.

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