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29 Settembre 2025
17:36

Hamilton tra l’odio per la morte del suo cane e la possibilità però di scegliere di non lavorare per la perdita

Roscoe, il Bulldog inglese di Lewis Hamilton è morto. Sottoporlo a eutanasia "è stata la scelta più difficile della mia vita" ha detto il pilota di Formula 1 nel post in cui ha dato l'annuncio. Questo caso ha sollevato migliaia di commenti negativi a seguito della decisione di non partecipare alle prove al Mugello per stare accanto al cane.

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"E' morto tra le mie braccia, domenica sera, 28 settembre". E alla fine, purtroppo, l'annuncio è arrivato: Roscoe, il Bulldog inglese di Lewis Hamilton, è deceduto.

La notizia, come da prassi, è arrivato direttamente dal pilota di Formula 1 sul suo account ufficiale di Instagram,  dopo giorni di polemiche per la decisione di non presenziare ai test Pirelli con la Ferrari al Mugello per restare accanto al suo cane. Nell'ultimo post, Hamilton ha anche sottolineato un aspetto struggente, ovvero definendo la decisione di sottoporre il Bulldog ad eutanasia come "la più difficile di tutta la sua vita".

Ciò che il pluricampione mondiale ha scatenato in questi giorni è stata una sovraesposizione totale del suo dolore, dovuta del resto alla fama che lo ha portato ad oggi ad avere solo su Instagram quasi 41 milioni di follower. Il lutto di Hamilton, infatti, ha avuto come risposta la solidarietà di molti ma ha anche fatto alzare un'ondata fortissima di astio (volendo usare un termine edulcorato rispetto al tenore dei commenti) da parte soprattutto di tantissimi fan della Ferrari per la sua rinuncia ai test, "scandalizzati" che la morte di un cane possa rappresentare una "buona scusa" per non essere presente al lavoro.

Lo stigma del provare lutto per la morte di un animale nella società moderna

Eh sì, perché se trasliamo quanto accaduto a Hamilton nel quotidiano di persone normali, ovvero che fanno attività non esclusive come la sua, il sentimento comune è ancora troppo spesso esattamente quello espresso con tanto odio sui social nei suoi confronti: chi perde un animale domestico non ha diritto a soffrire.

Solo che chi non si chiama Lewis Hamilton non può dire semplicemente "non vengo a lavorare" e ciò perché  non ci sono permessi per il lutto di un animale domestico. Tutto ciò che si può fare, infatti, è al massimo prendersi le ferie, qualora vengano concesse ovviamente: nella nostra società, infatti, non ci sono sconti per chi ha una perdita di questo tipo, nonostante parte della politica nazionale abbia avanzato proposte di legge in questo senso ma che per ora rimangono lettera morta.

Della storia di Roscoe e Hamilton emerge a che a livello mondiale, visto la caratura del personaggio e le reazioni scatenate, ancora persiste lo stigma dell'impossibilità da parte di una persona di vedere riconosciuto il suo dolore per la morte di un animale. L'associazione della sola parola "lutto" di fronte a un compagno a quattro zampe sembra puntualmente e ancora per tanti che vada a sminuire quello che si prova se a morire invece è un essere umano. Ma perché insistere su questo paragone? Si tratta di una visione specista e antropocentrica che ci portiamo dietro dalla notte dei tempi e che un volto così noto abbia addirittura fermato il mondo dei motori, quelli che contano e dove girano milioni di dollari e altrettanti appassionati del genere, è un "peccato mortale" che Hamilton non doveva compiere per alcuni.

Non conta molto, quando poi succedono casi così eclatanti di feroce critica, se la società sta cambiando in termini di sensibilità nei confronti delle relazioni interspecifiche e anzi viene da interrogarsi rispetto a report e statistiche che ci dicono sempre più spesso quanto gli animali domestici, cani o gatti che siano, sono ormai concepiti come "parte della famiglia".

Le foto dell'animale morente: un'occasione mancata per puntare alla testa e non alla pancia delle persone

Questa affermazione, infatti, è senz'altro vera ma forse c'è da interrogarsi su ciò che ancora una volta riguarda noi esseri umani e poco gli animali ed è la stessa modalità di come Hamilton ha condiviso la morte di Roscoe a permettere, forse, una riflessione proprio in questo senso.

Quello che il pilota ha annunciato urbi et orbi, infatti, stride solo con un aspetto dal mio punto di vista: con il concetto di dignità da attribuire agli altri esseri senzienti diversi da noi. Non certo per le parole del pilota, che per chi ha un cane affianco sono assolutamente condivisibili nel momento in cui gli si deve dire addio, ma per le foto in cui mostra l'animale intubato e con Hamilton che lo bacia e lo accarezza guardando anche in camera.

Ecco, proprio volendo capovolgere la prospettiva, esponendo così la sofferenza di Roscoe c'è da chiedersi se il pilota avrebbe fatto lo stesso con una persona a lui cara. Ed è in questo che si crea un cortocircuito che non consente poi di entrare in una discussione produttiva e che possa essere foriera di protezione per chi subirà un lutto simile. La polemica infatti si sposta troppo e puntualmente su un piano strettamente emotivo, e se accompagnata da immagini di questo tenore ancor di più, tra chi soffre e chi accusa l'altro di essere eccessivo tanto che quasi sembra che le due posizioni così lontane si avvicinino nell'estremismo.

Il dolore di Hamilton è senz'altro genuino ma qui prodest vedere un cane in clinica negli ultimi istanti della sua vita? Quelle foto colpiscono alla pancia ma di certo non raggiungono la testa delle persone e non aiutano a sollevare una questione appunto etica rispetto a come ci poniamo nei confronti di questi amici che ci vivono al fianco e nulla chiedono se non la nostra empatia e una costante corresponsione dell'affetto che ci dimostrano.

Qualcuno dirà che accade lo stesso per le immagini che riguardano gli esseri umani ma nessuno potrà però contraddire una realtà dei fatti: se è un animale morto o sofferente ci si fanno pochi scrupoli a rendere le foto pubbliche e se vengono pixellate è per non offendere la sensibilità di chi guarda, non certo per rispettare il soggetto ripreso.

C'è da dirlo, a proposito di non umanizzazione del cane: a Roscoe nulla sarebbe interessato che i suoi ultimi giorni sono stati esposti in pubblica piazza, come del resto niente per lui sarà cambiato anche in vita mentre il suo profilo Instagram cresceva fino a contare oggi quasi 1 milione e mezzo di follower e anche queste mie parole a lui non sarebbero mai arrivate. Ma se davvero si vuole che gli animali siano riconosciuti come altro da noi e non come facilitatori emotivi per colmare le nostre mancanze, quel cane potrebbe essere ancora –  e senza bisogno di mostrarlo in quel modo – un esempio per dare la possibilità a tutti di vivere il proprio lutto o prendersi dei giorni di assenza per malattia dell'animale senza doversi preoccupare dell'incombenze del lavoro. Ecco, questo sarebbe un messaggio rispettoso e che, soprattutto, non lede né offende la sensibilità di nessuno.

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