
Ci sono alte probabilità che la prossima pandemia verrà da un allevamento di suini. Il motivo è da ricercarsi negli alti tassi di contatto tra fauna selvatica ed esseri umani in questi luoghi, presenti in maniera diffusa nel settentrione italiano.
Un nuovo studio condotto dai ricercatori del Laboratorio di zoonosi virali emergenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe) e pubblicato sulla rivista Plos One ha applicato un approccio multidisciplinare di tipo One Health per valutare il rischio di trasmissione del Coronavirus dai pipistrelli ai suini all'interno del sistema di allevamento intensivo del Nord Italia. Gli esperti hanno confermato la circolazione dei Coronavirus durante tutta la stagione e descritto anche picchi stagionali nella diffusione.
"L’interfaccia fra animali selvatici, animali domestici ed esseri umani, rappresenta un confine molto labile dove possono emergere malattie infettive a carattere epidemico", è la spiegazione di Stefania Leopardi, veterinaria dirigente e supervisore della ricerca. Il problema è che le dinamiche e i meccanismi che permettono il passaggio di questi virus agli animali da allevamento o all’uomo rimangono per lo più sconosciute.
I risultati della ricerca: 8 diversi Coronavirus circolano tra i suini del Nord Italia
L'aumento dell’incidenza delle malattie infettive emergenti umane originate da animali selvatici può essere ricondotto a una serie di fattori accomunati dall'essere provocati dall'uomo come il cambiamento climatico, l’urbanizzazione e la conversione dell’uso del suolo, che a lungo andare alterano le distanze e i tassi di contatto tra fauna selvatica ed esseri umani. L'esempio lampante di questa promiscuità sono proprio gli allevamenti, luoghi in cui viene rinchiusa una grande quantità di animali domestici a stretto contatto fra loro ed esposti anche ad animali selvatici come uccelli, e soprattutto pipistrelli.
Tra il 2021 e il 2022, è stato effettuato un monitoraggio bioacustico in 14 allevamenti di suini per valutare la presenza, la diversità e il comportamento dei pipistrelli. I ricercatori hanno identificato otto specie di pipistrelli negli allevamenti italiani, con Pipistrellus kuhlii, P. pipistrellus e H. savii come le più diffuse e attive. Due distinte specie di Coronavirus sono state identificate in P. kuhlii, con picchi di amplificazione a maggio e agosto, suggerendo una potenziale di ricombinazione virale. L'analisi genetica ha indicato che i suini potrebbero essere esposti ad almeno otto specie di Coronavirus di pipistrelli in Italia.
In un simile contesto, l'emergere di malattie è probabilmente solo la punta dell'iceberg di un aumento degli eventi di spillover, il salto di specie, che rimane inosservato sia negli animali domestici che negli esseri umani. Molti virus vivono in animali “serbatoio”, come i pipistrelli, in cui il virus circola senza causare grandi malattie, quando però l’animale serbatoio entra in contatto con un’altra specie domestica, ecco che attraverso la ricombinazione continua il virus trova la chiave per arrivare all'essere umano. Più un virus si ricombina, maggiori probabilità ha di compiere il salto di specie, e questo processo è favorito dai luoghi in cui grandi quantità di animali sono stipati tra loro in condizioni igieniche molto spesso scarse.
Secondo gli esperti dell'Izs delle Venezie, i Coronavirus sembrano essere condivisi tra P. kuhlii e H. savii, aumentando ulteriormente i rischi di ricombinazione. Lo studio delinea una potenziale via di trasmissione dei coronavirus dei pipistrelli ai suini e mette in evidenza i principali fattori di rischio, tra cui le strutture agricole, le lacune nella biosicurezza, le specie di pipistrelli coinvolte, la diversità virale e i modelli stagionali di circolazione del virus.
"Sappiamo che gli allevamenti suini rappresentano possibili ‘hotspot’ per la diffusione e la comparsa di varianti ricombinanti potenzialmente pericolose per gli animali o l’uomo – sottolinea Leopardi – Per questo motivo, l’identificazione di nuovi coronavirus è fondamentale per valutare il loro adattamento nel suino e nell’uomo, ma è altrettanto importante cercare di comprendere i fattori di rischio che possono favorire i fenomeni di spillover nelle specie animali".
Perché gli allevamenti di suini sono un serbatoio di malattie emergenti
L’analisi del paesaggio e delle strutture aziendali ha permesso di identificare i fattori che influenzano maggiormente l’attività dei pipistrelli. È emerso che gli allevamenti con strutture in grado di attrarre insetti registrano un’intensa attività dei pipistrelli, mentre l’habitat circostante incide in misura minore sulla ricchezza delle specie.
Un aspetto fondamentale rilevato dallo studio è la frequente assenza di barriere fisiche negli allevamenti, allestite per impedire il contatto tra i pipistrelli e i recinti dei suini, e un’applicazione disomogenea delle pratiche di biosicurezza. Rafforzare queste misure potrebbe mitigare il rischio di esposizione ai diversi Coronavirus, e più in generale ai virus associati alla fauna selvatica, migliorando la convivenza tra l’uomo e gli animali domestici e selvatici.