
Quanto fa notizia un Pitbull che uccide può essere superato solo da un Pitbull che viene ucciso dalla sua persona di riferimento, mentre sta aggredendo un altro membro della famiglia. Ecco, un caso del genere – a memoria – in Italia non era ancora accaduto. E' successo a Capena, in provincia di Roma, nella casa di una coppia dove, secondo quanto fino ad ora è emerso, l'animale ha azzannato il proprietario e la moglie per difenderlo ha preso un coltello e ha colpito il cane, uccidendolo.
Fin qui la cronaca di un ennesimo episodio che questa volta ha visto come vittima un Pitbull e non una persona, come purtroppo siamo "abituati" a sentire spesso. Questo altro caso di aggressione interspecifica da parte di un Terrier di tipo Bull sta però causando la solita valanga di commenti indignati nei confronti di soggetti che appartengono a questa tipologia di cani, ma c'è un solo modo per risolvere il problema delle aggressioni dei Pitbull, e non riguarda i Pitbull.
E vi dirò subito la soluzione, in modo tale da lasciare poi a chi legge la scelta di approfondire ulteriormente ma per far sì che si metta in chiaro una cosa fondamentale: è ora che chiunque voglia vivere con un cane, che sia un Barboncino o un Dogo Argentino, abbia l'obbligo di dimostrare di esserne capace.
Perché il problema riguarda gli esseri umani e la nostra poca conoscenza dell'animale cane, in primis. Sì, sebbene sia la specie che si è co evoluta con noi da 30, 40mila anni è solo nell'ultimo trentennio che la scienza ha iniziato a studiarne l'etologia, proprio a causa della presunzione che avendolo accanto praticamente da sempre abbiamo ritenuto di sapere tutto di questi animali e solo alla fine del secolo scorso abbiamo iniziato effettivamente a interrogarci su chi sia il nostro "miglior amico". Ma in quello precedente, ovvero nel 1800, abbiamo iniziato invece a selezionare le razze in modo "industriale" potremmo dire oggi, considerando quanto siamo stati precisi nel cambiare la genetica dei cani perché rispondessero alle nostre istanze e aspettative.
Lo abbiamo fatto a tal punto da creare cani che nascono destinati a soffrire, come i Bouledogue francesi o i Carlini, animali brachicefali considerati "tanto carini" ma della cui salute poco ci informiamo. E lo abbiamo fatto con i Terrier di tipo Bull, appunto come l'American Pit Bull Terrier che finisce sotto le luci della cronaca ad ogni evento aggressivo, diventando il capro espiatorio di una società umana incapace di fare scelte responsabili e basate sulla vera conoscenza delle motivazioni di questa razza quando decide di prenderne uno in famiglia.
Ed ecco dunque il secondo elemento per comprendere perché la soluzione è un cambio di paradigma che avvenga con una prima presa di conoscenza e di coscienza da parte del legislatore. Dopo aver detto infatti quanto poco le persone sanno del cane in quanto tale in generale, l'unico modo almeno per limitare questi episodi, o meglio per destinarli alla rara categoria delle fatalità che possono accadere, non è solo e semplicemente stabilire che "i Pitbull non dovrebbero esistere" come molti ritengono e come anche alcuni esperti della cinofilia sono arrivati a pensare per l'enorme frustrazione di non vedere alcuna consapevolezza da parte di chi li detiene.
Invece l'unica strada possibile è conoscerli davvero e sapere, ad esempio e proprio riferendoci alla selezione di razza, che questi animali li abbiamo creati per farli combattere tra di loro e non per rivolgere la loro aggressività su di noi. Questa piccola "nozione", perché di certo non è l'unico aspetto da conoscere sul Pitbull, però ci può già aiutare a comprendere che quando accadono episodi violenti, soprattutto nei confronti dei membri di quella che il cane ritiene la sua famiglia, decisamente qualcosa non va. E non nel cane, ma nella relazione e nel contesto in cui quell'animale è calato che lo portano ad agire in maniera diametralmente opposta rispetto a ciò che il suo DNA lo spingerebbe a fare.
Poi ci sono i dati che dovrebbero parlare, ovvero chiarire una volta per tutte se davvero si può parlare di "cani potenzialmente pericolosi", come ancora si intende fare in Italia. Ma casistiche di questo genere nel Belpaese non esistono: il Ministero della Salute non ha alcuna idea di quali siano le razze più mordaci, mentre alcuni studi epidemiologici fatti però negli Stati Uniti e in Gran Bretagna ci hanno fatto sapere che i "morsicatori" per eccellenza non sono i Terrier di tipo Bull e nemmeno i molossodi, ma ad esempio i tanto considerati "gentili" Labrador e Golden Retriever.
Intanto è approdata al Senato la cosiddetta PLP 4 della Regione Lombardia che aspira a diventare legge nazionale, in cui vi è l'ennesima proposta di creare quella che viene chiamata "save list" ma che altro non è che la riproposizione di una lista ("black list") di 26 tipologie di cani per detenere i quali è necessario superare un test e ottenere un patentino. Bene, messa così non ci sarebbe altro da fare che sottoscrivere questa proposta e finalmente dire al legislatore che è arrivato il momento di prendere una posizione netta che spinga le persone alla conoscenza e all'impegno nell'educazione del proprio cane.
Ma questa proposta, in realtà, fa acqua da tutte le parti come hanno dichiarato a Kodami etologi di fama internazionale come Roberto Marchesini, importanti e riconosciuti istruttori cinofili e anche veterinari, associazioni e un avvocato esperto di diritti animali. Il motivo della fallacia di questa plp si può ridurre anche citando solo a due aspetti presenti nel dettato normativo, uno anacronistico e l'altro surreale perché semplicemente anticostituzionale. Il test di verifica per i proprietari è un vecchio modulo chiamato CAE 1 che non significa assolutamente, pur superandolo, che il conduttore conosca il carattere del suo cane. Ma cosa ben più grave è che il patentino non è obbligatorio per chi compra un cane da un allevamento con affisso Enci. Praticamente il senso è che se è stato selezionato da un allevatore allora quell'animale non presenterà mai problemi comportamentali, se lo si prende in canile invece è di default un cane pericoloso. Come se non bastasse, poi, i proponenti si sono dimenticati di un "piccolo" dettaglio: in Italia il Pitbull non è riconosciuto proprio dall'Enci come razza ufficiale.
Ci sono delle riflessioni invece più concrete che ci sentiamo di fare perché il problema non sia più il Pitbull o altro cane in cui impatto aggressivo è sicuramente più dannoso di altre tipologie. Le abbiamo proposte tempo fa su Kodami, ma è purtroppo ancora utile anche alla fine di quest'anno ribadirle, visto che ancora una volta questa razza sale "agli onori della cronaca" per un altro episodio infausto.
Vi lasciamo così con 10 punti di riflessione da cui possiamo partire insieme per sviluppare una proposta concreta:
- Chiunque abbia un cane deve essere edotto delle caratteristiche etologiche della specie. Obbligo di frequentazione di un percorso di educazione di base prima dell'adozione o dell'acquisto, qualsiasi razza (o meticcio) si tratti.
- Incentivi e sostegni alle famiglie che adottano da canile previo comprovato percorso di adozione responsabile.
- Rivedere l'attuale normativa sugli allevamenti professionali al fine di garantire ulteriori tutele sulla salute psicofisica dei cani (vedi cani brachicefali di cui sopra).
- Stop definitivo all'allevamento non professionale di qualsiasi tipologia di cane: dalle cucciolate casalinghe ai venditori di animali che ne fanno business e dunque controllo anche delle piattaforme online dove l'offerta, del resto, risponde a una domanda costante in cui le persone cercano cani come oggetti al prezzo più basso.
- Obbligo di formazione riconosciuta a livello nazionale a carico dei formatori stessi e dunque degli esperti del settore: dalle Asl alle Forze dell'ordine addette al campo della fauna in generale passando per volontari, addestratori, educatori, istruttori, veterinari e tutte le categorie coinvolte nella filiera del rapporto tra animali e umani.
- Istituzione di una black list nazionale, ad accesso consentito solo a operatori qualificati e dunque tutelando la privacy, non dei "cani pericolosi" ma di coloro che abbiano accertati precedenti di maltrattamento animale.
- Rivedere la normativa, ad oggi ancora poco efficace, dell'applicazione dell'obbligo di microchip e dell'iscrizione all'anagrafe canina che solo attraverso l'emanazione di sanzioni non ha prodotto risultati utili.
- Divieto assoluto di vivere con un cane a seguito di sentenza di terzo grado di giudizio in cui si è stati condannati per maltrattamento animale o reati che hanno portato a lesioni e fino a ipotesi di omicidio. E comunque divieto di adottare/comprare un cane fin quando non sono finite tutte le fasi del processo.
- Campagne di sensibilizzazione da parte delle istituzioni: i soldi dei cittadini vanno spesi non solo per segregare i cani in canile e toglierli dalla nostra vista ma per creare consapevolezza.
Il decimo punto lo lasciamo a voi: aspettiamo vostre idee e riflessioni alla mail segnalazioni@fanpage.it, così da provare a costruire insieme un mondo in cui la convivenza con il cane sia davvero responsabile.