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Perché c’è un’intera generazione di videogame a cui rischiamo di non poter mai più giocare

Il prolema della conservazione dei videogiochi è complesso e non è facile da risolvere. Racchiude una serie di quesiti e problematiche. Per questo abbiamo deciso di parlarne con Andrea Dresseno, ex responsabile dell’Archivio Videoludico di Bologna.
Intervista a Andrea Dresseno
Ex responsabile dell'Archivio Videoludico di Bologna
A cura di Lorena Rao
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Oggi, negli Stati Uniti, solo il 13% dei videogiochi classici è accessibile al pubblico. Dei titoli pubblicati prima del 1985, solo il 3% viene ristampato. Vuol dire che molti titoli del passato non sono più recuperabili dal pubblico attuale. Questi dati provengono da uno studio redatto da Video Game History Foundation, un’organizzazione no-profit dedicata all'archiviazione, conservazione e diffusione dei media storici relativi ai videogame. Pur riguardando il suolo statunitense, la notizia ha riportato a galla il dibattito sulla conservazione e preservazione dei videogiochi in quanto strumenti culturali, proprio come accade a libri, film e fumetti, consultabili come fonti nelle biblioteche, negli archivi e così via. Una riflessione complessa, di non facile risoluzione, perché racchiude una serie di quesiti e problematiche.

Il videogioco può essere una fonte

Una prima domanda concreta, fondamentale per capire se il videogioco merita di essere preservato in quanto espressione culturale e dunque fonte consultabile per i posteri. La risposta ci viene fornita da Marc Bloch, molti anni prima che il videogioco venisse anche solo concepito (siamo negli anni ‘30 del Novecento). “Il buon storico somiglia all’orco della fiaba: là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda”. In altre parole, per lo storico francese, qualsiasi elemento frutto della società può essere utilizzata come fonte. Ai suoi tempi, tale concetto, poteva riferirsi ai paesaggi e alle tecniche di coltura, mentre al giorno d’oggi può applicarsi alla musica, ai film e persino ai videogiochi.

CONSERVAZIONE VIDEOGIOCHI | Gli iconici alieni di Space Invaders, gioco del 1978
CONSERVAZIONE VIDEOGIOCHI | Gli iconici alieni di Space Invaders, gioco del 1978

Questo perché, tramite la cultura pop, capiamo come immaginiamo – o abbiamo immaginato – presente e futuro, con le nostre paure e i nostri sogni. Non è un caso se Spider-Man e Hulk, supereroi che devono i loro poteri alle radiazioni, siano nati negli anni della paura atomica della Guerra fredda, così come non lo è il fatto che i primi videogiochi siano principalmente a tema spaziale (SpaceWars!, Space Invaders). A partire dagli anni ‘60, USA e URSS hanno dato il via alla conquista dello spazio. Un paio di esempi che si limitano al valore storico dei prodotti della cultura pop, ma la declinazione di fonte è molto versatile, a seconda della disciplina. Ecco quindi che un videogioco del passato può essere utile non solo per uno storico, ma anche per un game designer, un grafico, un musicista, un artista e così via.

Il problema della preservazione dei videogiochi

Appurata la natura di fonte del videogioco, è qui che si aprono i principali dubbi legati alla sua conservazione. Per questo abbiamo deciso di parlarne con Andrea Dresseno, presidente dell’associazione Italian Videogame Program (IVIPRO), che per 12 anni ha curato l’Archivio Videoludico presso la Cineteca di Bologna. A dicembre 2021, l’archivio è stato ceduto alla Biblioteca Salaborsa, sempre a Bologna. Nei giorni scorsi abbiamo provato a contattare via email lo spazio per avere notizie sullo stato d’aggiornamento dell’Archivio Videoludico ma non abbiamo ricevuto risposta.

In generale, sono tre i temi che rendono difficile la conservazione dei videogiochi: fruizione, accessibilità e poco interesse delle istituzioni. Partendo dal primo punto, “ogni fonte ha un tipo di fruizione diversa. Nel caso del videogioco è molto complessa, perché come sappiamo i videogiochi spesso hanno durata particolarmente lunga” ci dice via Zoom Dresseno. “Immagina ad esempio di usare come fonte Final Fantasy XVI per una ricerca sul fantasy medievale in chiave giapponese. Vuol dire giocare a un titolo che dura dalle 30 alle 70 ore in base a come lo giochi”.

La natura interattiva e multimediale del videogioco, ne aumenta la longevità e soprattutto ne cambia il tipo di fruizione, lasciando emergere complessità difficilmente riscontrabili negli altri media tradizionali. Se, in linea generale, il libro richiede la lettura e il film la riproduzione su schermo e visione, il videogioco necessita di una piattaforma specifica, se è ancora disponibile, o, in mancanza di questo, download negli store digitali, o emulazione (che è legale solo se si possiede in casa una copia originale), o ancora, pirateria.

Il problema è che anche le modalità di fruizione possono alterare il valore di un videogioco come fonte. “Supponendo che io voglia fare una ricerca su Super Mario Galaxy, emulato non è come giocarlo su Wii, perché ti perdi completamente l'interfaccia di gioco originale” afferma Dresseno. “Nel videogioco non c'è solo l'opera in sé come oggetto narrativo, di meccaniche e quant'altro, ma anche il modo in cui viene giocato. Il filologo potrebbe dire no, Mario Galaxy va provato col telecomando di Wii perché quella è l'esperienza globale e totale”.

CONSERVAZIONE VIDEOGIOCHI | Super Mario Galaxy, lanciato nel 2007 su Nintendo Wii
CONSERVAZIONE VIDEOGIOCHI | Super Mario Galaxy, lanciato nel 2007 su Nintendo Wii

Queste sono le problematiche a cui può incorrere un ricercatore che il più delle volte è costretto a muoversi in maniera autonoma, poiché non ha spazi in cui poter consultare un catalogo videoludico. “La biblioteca è un concetto assodato, istituzionalizzato. Nel videogioco questo non accade” precisa Dresseno. “In Italia esistono dei luoghi che hanno all'interno anche dei videogiochi, perché spesso le biblioteche più moderne hanno libri, ma anche film, cd musicali e una piccola area videoludica. Quindi, non è che manchino i videogiochi nelle biblioteche, però non sono diffusi in maniera capillare. C'è un problema di accessibilità alle fonti”.

Come cambiare il modo in cui conserviamo i videogiochi

E qui ci ricolleghiamo all’ultimo punto: il mancato interesse da parte delle istituzioni, nonché delle aziende videoludiche stesse. In particolare, su quest’ultimo punto, Dresseno afferma che “le aziende dovrebbero sicuramente facilitare la preservazione e l'accessibilità, ma non spetta a loro conservare. Spetterebbe a istituzioni pubbliche o private che si occupano di cultura”. Parliamoci chiaro, le aziende dei videogiochi sono aziende, non si può pretendere che diventino archivi di videogiochi”. E allora quale potrebbe essere la soluzione? ”Ci dovrebbe essere, secondo me, in un mondo ideale, un dialogo tra chi produce e chi si occupa di cultura a livello istituzionale, quindi biblioteche, musei, archivi, per creare insieme degli spazi sostenibili”. In merito all’esperienza nell’Archivio Videoludico, Dresseno afferma che “in mancanza di grandi budget, lato archivi, i giochi venivano acquisiti grazie alle donazioni di chi li produceva. Dunque c'è già stato questo principio, ma è stato un caso specifico non un modello”.

Le istituzioni fanno però fatica a dialogare con il mondo videoludico, principalmente perché in Italia è un settore ancora poco compreso, se non demonizzato. Una visione che si ripercuote sul pubblico nostrano, che relega il videogioco a mero prodotto di intrattenimento per una nicchia. Un concetto emerso anche in occasione dell’intervista ad Alessandro Redaelli, regista di Game of the Year – Il Film, e che Dresseno ribadisce. “Manca a monte una cultura del videogioco a livello generalista. Nel senso, il pubblico non ritiene il videogioco qualcosa di meritevole di conservazione. Non c'è questo tipo di dialogo o sensibilità. Mentre nessuno discuterebbe sul fatto che le biblioteche siano luoghi sacri e utili, nessuno parla del fatto di come conservare i videogiochi. Nessuno si pone questa domanda in termini di dialogo pubblico. Quindi se manca a monte una cultura del videogioco e, di riflesso, manca un interesse istituzionale del videogioco e della sua conservazione, fai fatica a trovare una soluzione che sia strutturata”.

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