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La Corte d'Appello di Trento ha confermato nei giorni scorsi la condanna a due anni e quattro mesi di reclusione nei confronti di un uomo ritenuto responsabile dell'uccisione del cane del fratello. L'uomo è stato condannato anche al pagamento di una multa di 1.400 euro.
Il cane, una femmina di razza Setter inglese, era stato sottratto e poi brutalmente ucciso. L'animale è stato ritrovato impiccato a un ponte sul torrente Leno di Vallarsa, in Trentino. Un atto di violenza che secondo le ricostruzioni sarebbe maturato nell'ambito di una vendetta tra fratelli.
L'accusa dell'Enpa: "Questi atti non devono restare impuniti"
L'Ente Nazionale Protezione Animali (Enpa), attraverso l'avvocata Claudia Ricci, si era costituita parte civile nel procedimento già in primo grado, ribadendo il proprio ruolo di rappresentanza degli interessi diffusi della collettività nella tutela degli animali: "Ogni volta che un animale viene colpito da violenze così gravi, viene leso anche il sentimento collettivo di rispetto e pietà che la nostra società riconosce agli animali. Enpa continuerà a essere presente nei tribunali ogni volta che sarà necessario, affinché questi atti non rimangano impuniti e venga affermato il principio della loro intollerabilità".
Il caso, che avrebbe origine da una contesa familiare trasformatasi in vendetta, ha dimostrato ancora una volta quanto le relazioni umane patologiche possano scaricarsi sugli animali, vittime innocenti e inermi, segnala l'Enpa: "Un cane ucciso in modo crudele non è solo una tragedia familiare: è una ferita per tutta la comunità. Siamo presenti anche in Trentino con la Sezione di Rovereto e le nostre Guardie Zoofile, e continueremo a far sentire la nostra voce in ogni aula di giustizia dove si calpesta la dignità degli animali".
Uccisione di animali: pene troppo blande
Reati come l'uccisione e il maltrattamento di animali, puniti da specifici articoli del Codice Penale, prevedono la reclusione che può arrivare sino ai due anni. Tuttavia, nella pratica la presenza di taluni istituti impedisce quasi sempre l'effettivo accesso dei condannati negli istituti di pena. Le condanne si riducono quindi molto spesso in un nulla di fatto.
Fino al 2004, addirittura l'uccisione volontaria e crudele del proprio animale non era neppure contemplata come un reato a sé stante, si trattava di un'aggravante del reato di maltrattamento. La persona che avesse ucciso il proprio cane con, ad esempio, una bastonata secca, non sarebbe andato incontro a nessun tipo di condanna. Successivamente con l'articolo 544 bis del Codice penale è stato introdotto lo specifico reato di "Uccisione di animali", che prevede che prevede una pena massima per l'uccisione crudele e non giustificata di animali di soli due anni. Previsione che, anche in caso di condanna, non si traduce mai con l'effettiva reclusione.
Secondo gli attivisti l'inasprimento delle pene è un tema ancora attuale: l'entità della pena dà la misura del valore sociale del bene tutelato, in questo caso la vita dell'animale, e se la pena è di entità ridicola lo è anche il valore che si dà alla sua vita.