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In Africa, il bracconaggio è purtroppo ben lontano dall'essere risolto e da diversi anni ormai studiosi e gestori di aree protette si pongono una domanda tanto scomoda quanto urgente: ha senso tagliare i corni ai rinoceronti per salvarli? La risposta, oggi, sembra finalmente molto più chiara. Sì, funziona. Ma con delle riserve. A confermarlo è uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Science, che ha analizzato ben sette anni di dati raccolti in 11 riserve nella grande area del Greater Kruger, in Sudafrica.
La zona ospita circa un quarto di tutti i rinoceronti del continente e rappresenta uno degli ultimi grandi rifugi per questi animali, minacciati da un commercio illegale che continua a prosperare nonostante leggi e pattugliamenti. Dal 2017 al 2023, in quell'area sono stati uccisi dai bracconieri 1.985 rinoceronti, una media del 6,5% della popolazione ogni anno. Ma nei siti dove è stata effettuata la rimozione preventiva dei corni, il bracconaggio è crollato del 78%, e questo con appena l'1,2% del budget complessivo dedicato alla protezione dei rinoceronti.
Il taglio del corno del rinoceronte: una misura estrema che funziona, con delle riserve

In totale, 2.284 animali sono stati de-cornificati in questi anni in otto delle riserve studiate. Il progetto è nato dal basso, grazie all'impegno dei ranger e dei direttori delle riserve, riuniti sotto il coordinamento della Greater Kruger Environmental Protection Foundation (GKEPF), che ha avviato un progetto per misurare e quantificare l'efficacia delle misure anti-bracconaggio. Al loro fianco, scienziati di università sudafricane e britanniche, tra cui l'Università di Città del Capo, quella di Stellenbosch, la Nelson Mandela University e l'Università di Oxford.
Il principio alla base del dehorning è molto semplice: se togli il motivo principale per cui un rinoceronte viene ucciso – ovvero il suo corno, venduto a peso d'oro soprattutto nei mercati neri asiatici – rendi l'animale meno appetibile per i bracconieri. E i dati sembrano confermare che, almeno nel breve periodo, la strategia funziona. "Abbiamo finalmente potuto misurare l'impatto reale di questa pratica", ha commentato Tim Kuiper, biologo della Nelson Mandela University e primo autore dello studio. "E i numeri parlano chiaro: meno corni, meno morti".
C'è però un rovescio della medaglia. I bracconieri, in alcuni casi, continuano a uccidere anche i rinoceronti de-cornificati per prelevare quel poco che resta, il moncone del corno oppure il tessuto in rigenerazione (che come le nostre unghie e i nostri capelli continua a crescere). Inoltre, secondo i dati più recenti (2024–2025), da quando si è concluso lo studio, sembra che l'attenzione dei bracconieri si stia purtroppo semplicemente spostando altrove, verso le popolazioni non de-cornificate che vivono in altre aree.
Le altre misure anti-bracconaggio? Costose e poco incisive

Tra il 2017 e il 2021, le riserve del Greater Kruger hanno investito circa un miliardo di rand sudafricani (oltre 74 milioni di dollari) in misure anti-bracconaggio più "classiche": sorveglianza armata, droni, elicotteri, cani da fiuto, telecamere e posti di controllo. Tutto questo ha portato a più di 700 arresti, ma – dicono gli autori dello studio – non c'è evidenza statistica che queste azioni abbiano ridotto il bracconaggio. Il motivo, spiegano gli studiosi, è sistemico: povertà, corruzione e inefficienza del sistema giudiziario rendono vani molti di questi sforzi.
Le persone arrestate tornano a uccidere rinoceronti molto presto e pochi mesi dopo non è raro che i ranger debbano affrontare recidivi già conosciuti. Servono perciò maggiore collaborazione tra chi lavora sul campo e chi si occupa di analisi e strategie sul lungo periodo. E se tagliare i corni dei rinoceronti – una misura invasiva che ha comunque un impatto negativo sulla vita degli animali – sembra offrire una tregua, rimane il nodo centrale: finché un corno varrà di più dell'oro sul mercato nero, ogni animale porterà un bersaglio sulla testa.
La vera sfida, come ricordano gli stessi autori dello studio, è capire quindi dove conviene investire risorse, e dove invece si stanno solo sprecando energie e denaro. Perché proteggere i rinoceronti non significa solo pattugliare, reprimere e arrestare, ma cambiare anche il contesto socio-culturale che li rende appetibili, remunerativi e vulnerabili. E in questa battaglia che sembra senza fine, decornificare i rinoceronti, per il momento, può funzionare. Ma non può essere l'unica arma.