
Era un'alba fredda quella che sorgeva il 26 dicembre del 1985, attraversando la nebbia al Volcanoes National Park in Rwanda. I raggi del sole che penetravano la foresta pluviale non giunsero però mai a riscaldare, come accadeva ogni mattina, Dian Fossey. A stento si posarono infatti sul suo cadavere, quando fu ritrovata senza vita al Karisoke Research Center, dove viveva da diverso tempo nel cuore dei monti Virunga dove abitava la specie a lei più cara, quei gorilla di montagna a rischio di estinzione a causa del bracconaggio.
Dian Fossey era diventata la voce e l'ultimo baluardo di strenua difesa di quegli imponenti "cugini" che stentavano a sopravvivere in quella parte d'Africa, straziati dalle trappole e dai fucili di uomini senza scrupoli che avevano ucciso anche il "suo" Digit, un maschio cui era molto legata dopo anni di osservazione della specie. Quel gorilla di montagna le rimase talmente nel cuore da fondare nel 1978 poi il Digit Fund, dedicato proprio a quell'esemplare, simbolo del rischio di non vedere più nessun suo conspecifico in quella zona d'Africa se non si fosse messo fine alla pratica del bracconaggio.

Ma Dian Fossey non era una primatologa come tanti altri: la sua passione e la sua competenza si erano tramutate sempre di più in vere e proprie azioni di contrasto nei confronti dei cacciatori illegali, tanto da inoltrarsi nella foresta alla ricerca delle trappole da distruggere, attivare vere e proprie pattuglie per fermare l'orribile pratica e anche contrastare il turismo non etico nella zona.
La sua intera storia, e non solo la tragica morte, oggi è messa in evidenza sul profilo Facebook ufficiale della Fondazione Dian Fossey, in cui è stato pubblicato un video che ripercorre tutta la sua vita.
Nel lungo post viene ricordato l'arrivo di Fossey al Parco Nazionale Virunga alla fine degli anni 70 del 1900, e come da subito cambiò le modalità di relazionarsi con i gorilla di montagna: "Quando Dian arrivò in Ruanda nel 1967, adottò un approccio rivoluzionario che avrebbe cambiato la conservazione: monitoraggio quotidiano a lungo termine; relazioni profonde con le famiglie di gorilla; e la convinzione che scienza e protezione debbano andare di pari passo".

I suoi eredi morali, ovvero generazioni di zoologi e primatologi che continuano il lavoro di Fossey ancora oggi, precisano che grazie proprio alla creazione del Karisoke Research Center, che all'inizio era poco più di qualche tenda, "sviluppò metodi che il Fossey Fund applica ancora oggi".
Ciò che la zoologa statunitense ha lasciato come eredità è un messaggio del resto chiaro, che così viene riportato dalla Fondazione che porta il suo nome: "Ha mostrato al mondo che proteggere una specie richiede perseveranza, presenza e profondo rispetto. Ci ha insegnato a osservare attentamente, registrare meticolosamente e coinvolgere le comunità locali come partner nella conservazione. Questi principi guida non si sono esauriti con la sua vita. Oggi, i suoi sforzi costituiscono il fondamento del nostro lavoro. Questa è l'eredità di Dian: non un ricordo, ma una pratica viva portata avanti da oltre 400 membri dello staff, ricercatori e partner locali del Fossey Fund".
Di lei ancora si racconta della sua abilità nel muoversi nella foresta e prendere parte alla normalità della vita tra le specie che vi abitavano. La sua delicatezza le consentiva di poter rimanere a distanze relativamente corte dai gorilla di montagna e poter così osservare con attenzione i comportamenti e comprendere anche l'etologia dei gruppi per comprendere i legami sociali e le abitudini. Fossey riusciva a riconoscere ogni singolo individuo attraverso lo sguardo, la forma del volto e il tipo di comportamento che aveva. Dal suo diario è stato tratto il libro "Gorilla nella nebbia", diventato poi anche un famoso film nel 1988 in cui la primatologa è interpretata da Sigourney Weaver che nel 1989 ricevette un Golden Globe come "migliore attrice in un film drammatico".
Ancora oggi, però, non si sa chi abbia ucciso Dian Fossey e in un modo particolarmente violento: fu ritrovata esanime, con il volto sfigurato da un colpo di machete. Subito fu esclusa l'ipotesi di una rapina finita male, nulla infatti intorno a lei era stato trafugato e l'ambiente in cui viveva era rimasto intonso.
Gli amati gorilla di montagna di Fossey oggi sono molti di più rispetto a quel periodo in cui la zoologa combatteva per la loro salvaguardia. Ed è stata senz'altro lei a iniziare il percorso di conservazione e tutela della specie che oggi fa sì che vi siano in natura almeno 1000 soggetti che hanno un areale che si espande tra l'Uganda, il Rwanda, la Repubblica Democratica del Congo e sui Monti Virunga che tanto amava la donna che sapeva camminare nella nebbia.