UN PROGETTO DI
8 Ottobre 2025
13:25

Patentino per ‘cani potenzialmente pericolosi’, Vaira: “Legge costruita intorno agli interessi di allevatori e addestratori”

Angelo Vaira, istruttore cinofilo tra i fondatori dell'approccio cognitivo relazionale, analizza quali sono gli aspetti negativi della Proposta di Legge della Regione Lombardia e spiega il contenuto del Manifesto che ha presentato al Comune di Milano: "Il nostro Protocollo sicurezza punta a far sì che il rapporto con il cane si basi su cinque punti chiave: sicurezza, cura, ascolto, rispetto e crescita comune"

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Intervista a Angelo Vaira
Istruttore cinofilo
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Nel mondo della cinofilia tira vento di protesta dopo la decisione della Regione Lombardia di portare a livello nazionale la Proposta di Legge in cui vengono stabilite le regole per il possesso di 26 categorie di cani definiti "potenzialmente pericolosi". Tra le ipotesi che ora sono al vaglio del Parlamento contenute nella "PLP 4", in particolare c'è un emendamento che prevede l'obbligo di patentino per chi vuole vivere con un cane della tipologia inserita in quella che è stata chiamata "save list" ma che non sarà a carico di chi compra un animale proveniente da un allevamento con affisso Enci.

Contrari a questa ipotesi sono praticamente la maggioranza delle professionalità a vario titolo competenti in materia di etologia canina, dai veterinari alle associazioni, passando per importanti nomi dell'educazione e istruzione cinofila che hanno messo in evidenza proprio qui su Kodami quanto ciò rappresenti una discriminazione nei confronti di chi adotta da canile, ad esempio, favorendo chi invece viene spinto a comprare un cane al fine anche solo di non dover svolgere poi i test previsti per ottenere il patentino.

Molto contestato, anche, il metodo di rilevazione delle "competenze" del cane e della persona di riferimento, poi: ovvero l'utilizzo di un test denominato CAE 1 le cui prove risultano anacronistiche e legate a una visione della relazione tra animale e persona considerando il primo come una sorta di oggetto da addestrare al comando, fondamentalmente un animale privo di emozioni e cognizioni.

Al comune di Milano, capoluogo della Regione da cui è partita questa richiesta di far diventare appunto la Proposta di Legge da locale a nazionale, c'è stata recentemente la presentazione del Manifesto nato dal Protocollo sicurezza "per una cultura della responsabilità nella relazione con il cane"ideato da Angelo Vaira, tra i "padri" dell'approccio cognitivo relazionale e fondatore della scuola cinofila Think Dog.

A lui abbiamo chiesto di rispondere a domande inerenti alla sua visione della relazione tra persone e cani e di analizzare insieme a noi gli elementi più discutibili della PLP 4, spiegando il contenuto del progetto che ha ideato.

Partiamo da qualcosa di non scontato, ovvero il rendere noto alle persone che oltre al cosiddetto "addestramento classico" esiste l’approccio cognitivo relazionale che lei mette in pratica da anni. Che cosa è?

L’approccio cognitivo-relazionale parte dal presupposto che il cane ha una emozionalità complessa. E' capace di sentire, gioire e soffrire con bisogni, motivazioni e interessi dati dalla storia della specie e dalle esperienze dell’individuo. In una sola parola, diciamo che il cane è un soggetto, non un oggetto. Questo solleva due punti centrali: il primo è che possiamo intervenire con tutta una serie di pratiche, esercizi, modelli operativi e valutativi molto più efficaci rispetto al passato, spostando l’attenzione dal controllo e la sottomissione, all’educazione la relazione. In secondo luogo l’entità senziente del cane ci obbliga moralmente a chiederci se il cane sta bene, se fa una vita secondo la sua natura invece di essere tenuto, in gabbia, alla catena, nel trasportino solo per essere addestrato o tutto il giorno in un appartamento come un peluche. L’approccio cognitivo-relazionale è pienamente radicato nella scienza ed è attualmente lo stato dell’arte in tema di educazione, comportamento e relazione col cane.

Cosa ne pensa della PLP4?

Penso che nasca da una preoccupazione legittima — quella di aumentare la sicurezza — ma sembra anche costruita attorno agli interessi di allevatori e addestratori e quindi che perda ogni efficacia perché non si guardano le reali esigenze dei cani, delle famiglie, dei cittadini. La PLP4 è costruita su idee antiquate come il mito del controllo, che secondo certi addestratori risolverebbe tutto, quando invece è inadeguata rispetto all’infinità varietà di situazioni stressanti e caotiche che i cani si trovano ad affrontare. Quando ho presentato al Comune di Milano il mio Manifesto, ho mostrato il video di un cane poliziotto iper controllato con collare a strozzo che morde in faccia un giornalista. C’era controllo, ma anche zero lettura del cane, zero prossemica, zero protezione del cane e del giornalista. La mancanza di sicurezza, cura, ascolto, rispetto e crescita comune (le cinque chiavi del Manifesto) sono evidenti e invece avrebbero potuto salvare il cane da stress e frustrazione e il giornalista dal morso.

C'è un emendamento nella PLP4 che esula dal conseguimento del patentino chi compra cani da allevamento con affisso ENCI. Cosa ne pensa?

È un emendamento pericoloso e discriminatorio. Si basa sull’idea, totalmente infondata, che un cane proveniente da un allevamento con affisso Enci sia automaticamente “sicuro”. Se fosse vero nessun cane con pedigree avrebbe mai dovuto aggredire nessuno, ma come ben sappiamo non è così. La sicurezza non dipende dal pedigree, ma dall’esperienza, dalla relazione e dalla responsabilità del proprietario. Questo genere di eccezioni rischia di aumentare la disuguaglianza tra cittadini e di svuotare di senso ogni percorso educativo.

Ritiene che ENCI potrebbe essere interessata invece a valutare quanto proposto nel Protocollo? Ha avuto mai contatti con loro?

Un sistema come il Protocollo di Sicurezza è decisamente interessante per tutti, allevatori compresi che vedrebbero i loro cani ben seguiti e mai protagonisti di cronaca nera. L’ENCI ha un grande potere culturale e potrebbe svolgere un ruolo importante in un ampio rinnovamento della cinofilia italiana. Non ho ancora avuto contatti diretti con loro, ma auspico un dialogo aperto: non si tratta di sostituire, ma di integrare. Il Protocollo Sicurezza non è “contro” nessuno: è per tutti, a favore di una società più sicura, consapevole e compassionevole: vero amore peri cane, vera cinofilia, proprio ciò di cui l'ENCI dovrebbe essere portatrice.

Oggi si parla del test CAE1 come anacronistico all’interno della proposta di legge della Regione Lombardia. Lei è tra coloro che hanno ideato vent’anni fa il test “Buon Cittadino a 4Zampe” e oggi è arrivato a definire un Protocollo di Sicurezza. Come e quanto è cambiato il rapporto tra persone e cani nel nostro Paese e perché c’è bisogno di un cambio di prospettiva da parte della società ma anche delle istituzioni?

Vent’anni fa, con il “Buon Cittadino a 4 Zampe”, volevamo promuovere un primo passo verso la responsabilità condivisa. Ma nel frattempo la società è cambiata profondamente. Per prima cosa oggi il cane è percepito come parte della famiglia, compagno emotivo, presenza affettiva, membro della comunità. Non possiamo più trattarlo come un oggetto di proprietà o un potenziale pericolo da controllare. Inoltre ci sono sempre più cani. Si adotta sempre più facilmente e superficialmente. Molossi, cani da presa, i bull e il Malinois sono i cani che attirano facilmente le attenzioni proprio di chi no li dovrebbe adottare: interessati alla forza e alla competitività di questi cani, non sanno nemmeno cosa comporta far vivere bene un cane (un qualsiasi cane, non solo quelli appartenenti a queste razze). Questo porta dritti a incapacità di gestione e quindi aggressioni, a maltrattamenti e a facili abbandoni. Il ché ci fa poi ritrovare coi canili pieni di questo genere di cani. Proprio la mancanza di responsabilità è quella che fa abbandonare e maltrattare qualsiasi cane, di qualsiasi razza e anche i meticci che, ricordiamolo, rappresentano oltre il 50% dei cani adottati in Italia (confesso che mi piacerebbe fossero anche di più perché i meticci e i cani di canile sono i miei preferiti). Il cambio di prospettiva è necessario perché la realtà è cambiata: serve una visione aggiornata, che unisca scienza, empatia e senso civico.

Il Protocollo Sicurezza: di cosa si tratta e cosa intende promuovere?

Il Protocollo Sicurezza è un modello di prevenzione e responsabilità condivisa. Nasce per superare la logica punitiva del “patentino” e sostituirla con un percorso formativo, esperienziale e relazionale. Si basa su un processo di apprendimento che coinvolge il cane e il conduttore. Al crescere delle conoscenze e delle capacità del cane, ma soprattutto del conduttore, la pericolosità dell’animale si abbassa drasticamente. Lungo il percorso che prepara al test ci si sofferma sull’area della cura (i bisogni del cane e la qualità della vita che gli offriamo in riferimento alla sua natura), la detenzione (molti cani scappano quando nessuno li guarda e aggrediscono (gli esercizi di seduto-terra-resta sono completamente inutili in questi casi), stazionamento (mi fermo col cane al semaforo, al bar o in qualunque situazione), conduzione (in aree urbane e non) e libertà (bisogno fondamentale del cane, ma che implica grande cautela e senso di responsabilità). Il proprietario che si impegna in questo processo di apprendimento, che dura qualche mese, con uno dei 174 istruttori già presenti su tutta la Penisola che hanno aderito, vedrà migliorato il rapporto col cane, il senso connessione, la gestione delle situazioni e ci sarà un calo drastico della pericolosità del cane.

Dal protocollo è nato un Manifesto. Quali sono i punti salienti?

Partiamo dal senso di responsabilità, che unito alle competenze, forma la sicurezza. Ma competenze e senso di responsabilità non fanno solo questo: formano anche le capacità di cura, ovvero assumere che il cane ha dei bisogni fondamentali. Se questi bisogni gli sono negati il cane vive male, cresce male e diventa pericoloso: responsabilità per il cane è anche responsabilità verso i cittadini. E poi emergono le capacità di ascolto ovvero "so leggere il cane ed entrare in empatia con lui", così da conoscerne le emozioni, il suo sentire, le intenzioni, le preoccupazioni, lo stato di salute, ecc. Questo porta al rispetto: rispetto per il cane, per le regole, per la sensibilità altrui, per la collettività. E così si arriva al quinto punto del Manifesto: la Crescita Comune. Significa educare il cane e porci il relazione al lui in questo modo, cosa che ci fa trasformare le nostre attitudini, le capacità empatiche e fa maturare disponibilità, intelligenza emotiva e sociale, la comprensione per gli innumerevoli punti di vista degli altri. Cresce lui, cresciamo noi e cresce la collettività. Con l’aiuto di voi giornalisti e delle istituzioni il cambiamento culturale, così, da auspicabile diventa inevitabile. Il Manifesto per una Cultura della Responsabilità nella Relazione col Cane raccoglie dunque questi cinque punti chiave – sicurezza, cura, ascolto, rispetto, crescita comune – se i pone l’obiettivo di cambiare paradigma: dalla paura alla competenza, dal divieto alla cultura.

Quanto è importante che proprio nel capoluogo lombardo, Regione che vuole che la PLP4 diventi nazionale, ci sia stato ascolto da parte delle istituzioni? E che tipo di percezione ha dell’interesse concreto da parte delle istituzioni locali?

È un segnale molto positivo. Milano è una città che può dare l’esempio al Paese intero, e il fatto che il Comune abbia accolto il Manifesto e aperto un confronto significa che qualcosa sta cambiando. Ma a me non basta. Lavorerò ancora per un interesse ancor più marcato da parte delle istituzioni che iniziano a comprendere che la sicurezza non è solo questione di regole, ma di cultura sociale diffusa. L’ascolto reciproco è la base: solo così si può costruire una politica pubblica realmente efficace e non populista.

Cosa ne pensa della questione delle razze?

È importante comprendere che sotto stress i cani tendono a compensare con le tendenze comportamentali legate alla razza. Se un Border Collie insegue, un segugio fiuta richiudendosi in un mondo olfattivo, un terrier morde e scuote, un cane da guardia abbaia e allontana. Non sono per la retorica de “le razze sono tutte uguali”, non è così e le differenze fra le razze sono marcate: se vogliamo un cane che faccia la guardia non adotteremmo mai un Setter. Allo stesso tempo dobbiamo comprendere che la pericolosità non la fa la razza, ma le caratteristiche dell’animale come individuo, la vita che gli abbiamo fatto fare e le competenze dell’umano di riferimento. Ecco perché non possiamo ridurre tutto a un test di obbedienza o a una “save list” dalla quale escludiamo i cani col pedigree, anche se appartenenti a razze la cui tendenza all’aggressività è marcata.

Propone di eliminare completamente la parola “patentino” a fronte di quella di “protocollo”. Qual è la differenza?

La parola “patentino” evoca un esame tecnico da superare, una logica burocratica e non inclusiva: chi non lo ha è “fuori”. Ma sopratutto certifica che cosa? L’esecuzioni di esercizi di obbedienza? Non basta. Il protocollo, invece, è un percorso: condiviso, inclusivo, educativo. Non si limita a valutare ma accompagna, informa, sostiene e forma. È qualcosa che si costruisce insieme, non qualcosa che si impone dall’alto. Il patentino divide. Il protocollo unisce.

Sono diversi gli attori da coinvolgere per far sì che un “regolamento” sia digerito e accettato da tutte le anime della cinofilia. Alcune associazioni di categoria già hanno aderito al Manifesto. Quanto conta per lei fare rete?

Contare sulla collaborazione di realtà come FISC, Save the Dogs, Pet Levrieri, e di numerosi professionisti indipendenti, è fondamentale. Il cambiamento non nasce da un decreto, ma da una comunità di persone che si riconoscono in valori comuni. Fare rete significa superare le divisioni storiche della cinofilia e creare un fronte culturale unito, basato sulla competenza e sulla compassione. Solo insieme possiamo incidere sulla società.

Esistono cani pericolosi o potenzialmente pericolosi, dunque?

Ogni professionista preparato ha a disposizione dei modelli valutativi che rilevano la pericolosità di un cane. Ciononostante per la sicurezza di tutti è necessario spostare l’attenzione su quest’altro aspetto: esistono cani che vivono in condizioni pericolose. Il comportamento aggressivo nasce quasi sempre dalla paura, dalla frustrazione o dall’isolamento. Un cane compreso, educato e rispettato è prevedibile, stabile e collaborativo. Ecco perché la sicurezza non si ottiene col controllo, ma con la comprensione. È una questione di relazione, non di razza.

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