
Il 24 giugno scorso il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato la cosiddetta "PLP 4", ovvero una Proposta di Legge Parlamentare che sarà al vaglio del Parlamento, così come è stata presentata al Senato il 3 luglio, per diventare legge nazionale. La proposta legifera in materia di alcune tipologie che sono state inserite in quella che è stata definita una "Save List" ma altro non è che la solita "black list" in cui sono elencati i "potenzialmente pericolosi".
Da anni si discute su questo argomento, da quando fu introdotta la "lista nera" nel 2006 che comprendeva 18 razze di cani considerate pericolose. Tale lista rimase in vigore per tre anni, fino a quando, nel 2009, la cosiddetta "ordinanza Martini" la abrogò con la seguente motivazione: “La precedente Ordinanza, non solo non ha ridotto gli episodi di aggressione ma, come confermato dalla letteratura scientifica di Medicina Veterinaria, non è possibile stabilire il rischio di una maggiore aggressività di un cane sulla base dell'appartenenza a una razza o ai suoi incroci”.
Fu dunque decretato, sulla base di dati scientifici, che non è possibile definire un cane solo per la sua genetica come potenzialmente pericoloso e ora, nel caso in cui questa PLP – intitolata "Norme specifiche per alcune tipologie di cani a tutela del loro benessere e della pubblica incolumità" – diventi davvero una norma nazionale, siamo tornati non solo a questa ipotesi ma anche a qualcosa che non ha a che fare strettamente con l'etologia del cane ovvero alla conoscenza di quanto sia importante non solo la razza di appartenenza ma il carattere del singolo individuo che dipende dalla sua personalità che è frutto di una serie di elementi che vanno dalle motivazioni al contesto e le esperienze che fa. Ma, anche e soprattutto, dalla relazione che si crea con la persona di riferimento.
Ciò che infatti ha fatto insorgere gli esperti del mondo della cinofilia, veterinari e associazioni in primis, è che nel dettato della PLP è stato scritto nero su bianco che l'obbligo di patentino da parte di chi decide di prendere con sé un cane appartenente alle 26 tipologie indicate nella "Save List" non sarà a carico di chi compra un animale da un allevatore certificato con l'affisso ENCI.
Di questo tema abbiamo già scritto su Kodami, analizzando gli emendamenti più controversi apportati alla Proposta di Legge, intervistando esperti come l'etologo Roberto Marchesini e l'avvocato Filippo Portoghese, civilista esperto di diritto e tutela del benessere degli animali che da tempo si occupa di queste tematiche proprio in Lombardia.
Perché non è solo la questione del patentino obbligatorio praticamente solo per chi adotta e non per chi compra un cane con pedigree a creare dubbi sul valore etico della Proposta ma anche le indicazioni contenute sul come si consegue, ovvero tutto l'aspetto della formazione da parte delle persone e di chi se ne deve occupare che, di nuovo, è completamente affidata principalmente a chi fa parte dell'Ente Nazionale Cinofilia Italiana.
Il 25 settembre la sezione di Varese della Lega Nazionale del Cane ha organizzato, alle ore 21 al circolo Cuac di Gallarate, un incontro che vede coinvolti alcuni dei maggiori esperti di cinofilia in Italia che si sono uniti nella contrarietà alla Proposta di Legge della Regione Lombardia. Abbiamo così chiesto ad alcuni di loro di fare il punto della situazione per spiegare cosa sta accadendo dal loro punto di vista e analizzare nel dettaglio i vari aspetti contenuti in quella che, ricordiamo ancora una volta, un giorno potrebbe essere una legge nazionale.
La questione del pedigree: "I cani come prodotti ma stento a credere che un qualsiasi allevatore possa garantire che siano ‘perfetti'"

Luca Spennacchio è un istruttore cinofilo con approccio cognitivo zooantropologico di lunghissima esperienza, autore di importanti libri sull'etologia del migliore amico dell'uomo e formatore in diversi corsi per diventare educatore o istruttore cinofilo come il master dell'Università di Parma. Il suo parere è incentrato su quella che definisce "una presa in giro" e pone l'attenzione sull'anacronismo di una proposta del genere, andando ad analizzare per Kodami proprio quanto davvero un allevatore possa garantire che un cane delle tipologie identificate nella Save List, solo perché ha il pedigree, non diventerà mai un soggetto "potenzialmente pericoloso".
"Ritengo che la PLP 4 sia da rivedere totalmente. Ho tante perplessità riguardo molti aspetti che sono all'interno della Proposta ma uno, in particolare, mi ha lasciato basito. Credevo che nel 2025 certe
 affermazioni non le avrei più sentite ma le cose, purtroppo, non sono così.  Mi riferisco alla dichiarazione ufficiale dell'ENCI secondo cui dal provvedimento dovrebbero
 essere esclusi i cani in possesso di pedigree.
In sostanza, questi cani non dovrebbero essere sottoposti al test denominato CAE-1, parte del cosiddetto patentino, definizione poi che mi lascia oltremodo perplesso, considerando questo strumento di valutazione totalmente inefficace e privo di reale base scientifica come, per inciso, anche la denominazione Save List mi suona come una presa in giro.
Si afferma comunque che i cani degli allevatori con affisso ENCI godrebbero di una garanzia comportamentale assicurata proprio dal pedigree, valida per tutta la loro vita. Questo a prescindere da come verranno cresciuti, dalle esperienze che faranno, dal contesto familiare e da tutti quei fattori che – lo dovrebbero sapere anche i sassi – stanno alla base della formazione del comportamento e del carattere di un individuo, oltre alla genetica. Su questo aspetto, soprattutto, non riesco a capacitarmi.
Sono restio nel credere che qualunque allevatore – etico, non-etico, o semplicemente ‘bravo e buono' – che si occupi di razze considerate ‘quelle da salvare' (da chi poi? Sarebbe interessante definirlo chiaramente), possa rilasciare un certificato a garanzia del fatto che i suoi ‘prodotti' non saranno mai coinvolti in alcun tipo di incidente o aggressione. E che, in caso contrario – evento per carità assolutamente improbabile – si renda disponibile a sostenerne le spese di tasca propria. Credo che nessuno lo farebbe mai.
Penso, invece, che una tale decisione porti a un possibile aumento dei cani abbandonati o ceduti a canili e rifugi. Questo vale sia per cani con che senza pedigree: anche quelli provenienti da allevamenti qualificati, una volta in canile, spesso infatti non sono più accompagnati da questi documenti. Lo stesso accade nei rescue di razza, dove pur essendo nota la provenienza (nell'ambiente ci si conosce tutti), la documentazione spesso manca.
Prevedo inoltre una diminuzione delle adozioni, proprio per i soggetti ‘da salvare" che saranno sottoposti al patentino obbligatorio. Le persone sono generalmente poco disposte a impegnarsi in percorsi formativi, anche quando sono a loro totale beneficio e dei loro cani. Frasi come: "Ah, ma se per adottare un cane devo fare tutto questo, allora esco di qui e lo vado a comprare!" non sono rare in canile quando si propone un breve percorso di avvicinamento al cane, anche di pochi incontri gratuiti con gli educatori. Per fortuna però non è sempre così: le strutture che lavorano bene spesso fanno una selezione accurata nell'affidare i loro cani, privilegiando famiglie realmente intenzionate a impegnarsi.
Ad ogni modo, non mi stupisco molto di quanto sta accadendo: l'ENCI è una lobby di allevatori che per mandato preserva se stessa e i suoi affiliati. Per loro, il cane è solo quello di razza accompagnato dal pedigree, tutti gli altri possono anche sparire. Non dovrebbe del resto nemmeno sorprendere quanto è stato avanzato: si tratta infatti di un approccio prettamente behaviorista zootecnico in cui i cani non sono considerati individui in divenire – che si plasmano attraverso infinite variabili – ma come modelli di macchine garantite dal produttore.
Il rischio del "fine pena mai" per i cani abbandonati: "Così il canile diventa sempre di più una prigione"

L'istruttore cinofilo Matteo Castiglioni, uno dei maggiori esperti in Italia proprio dei cani che rientrano nelle principali "categorie" identificate nella Save List come potenzialmente pericolosi, ovvero i Terrier di tipo Bull (Pitbull e simili per fare un esempio) e i molossi (Rotweiller, Dogo Argentino e altre razze), sa bene cosa intende Spennacchio. Castiglioni, infatti, è responsabile della parte educativa/riabilitativa del canile Enpa di Voghera, proprio in Lombardia.
"Io personalmente non vedo alcun margine di modifica della Proposta di Legge se non la revoca completa. L'ho letta approfonditamente e ho percepito tutt’altro che una possibilità di benessere per il cane in sé o l'intento di creare un chiaro protocollo di maggior sicurezza per le persone ma c'è solo un gran senso di confusione e allo stesso tempo discriminazione, emarginazione e un importante tentativo di monopolizzazione cinotecnica ed economica.
E’ un momento storico delicato per diverse tipologie di cani (buona parte di quelli presenti nella lista, soprattutto Terrier di Tipo Bull e molossi) e tutto questo movimento politico e mediatico, non sta facendo altro che creare una forma di terrorismo psicologico, allarmismo e pregiudizio sia per chi ha già un cane coinvolto nella lista sia per chi vorrebbe prenderne uno.
La situazione si è aggravata con l’aggiunta dell’Emendamento numero 1, ossia l'ipotesi che sono esenti all’obbligo del patentino i cani iscritti all’albo ENCI, in quanto "linee controllate" anche da un punto di vista comportamentale e quindi, a dir loro, non pericolosi a prescindere. Ma in natura non esiste solo la filogenesi (che già non assicura un determinato modello comportamentale a prescindere) ma per avere un quadro completo di un soggetto bisogna considerare anche l’ontogenesi, ossia le esperienze nella vita. Quindi reputo infondato questo criterio di valutazione perché bisogna sempre prendere in considerazione più elementi che possono influenzare il comportamento come tutto il contesto (sociale e ambientale), la struttura relazionale e l’organizzazione gestionale.
Giudicare un cane pericoloso sulla base di un esame pratico (CAE-1), poi, basato su prove persona di riferimento-cane dove vengono proposti tutta una serie di stimoli e valutata la relativa reattività del cane e la capacità di controllo del proprietario è molto riduttivo e non attendibile. Inoltre gli strumenti utilizzati prevedono collare a strozzo, guinzaglio corto, e una preparazione su base addestrativa. Tutto ciò che prevede relazione, emozioni, comunicazione reciproca vengono a mancare totalmente.
Collegare la reattività alla possibile aggressione volontaria volta a far male è un grave errore, essendo che la risposta reattiva deve essere analizzata in primis tenendo in considerazione il livello d’ansia, l’emozione sottostante e l’intensità. Solo così avremo più chiara la vera intenzione del comportamento espresso. La reattività può essere una risorsa: può servire ad allontanare, può essere una forma di controllo funzionale, ma la reattività può anche essere mossa da paura, preoccupazione, timore.
Buona parte dei cani della lista hanno una spiccata propensione per le reattività eredita dalla genetica voluta proprio dall’essere umano. Per questo dal mio punto di vista non è un criterio veritiero per giudicare la vera indole di un individuo. Ancora una volta al cane viene tolta qualsiasi possibilità di scelta, sovraesposto a prove eccessive e disfunzionali, privato anche della propria identità, diventando così il codice di un libretto.
In questo modo inoltre non si fa altro che disincentivare le adozioni in canile. Da quando gira la voce del patentino sono diminuite le richieste e le adozioni di certe tipologie di cani presenti nella lista e aumentati i tentavi di cessione e le cessioni di proprietà vere e proprie: sono dati preoccupanti se pensiamo che si tratti per ora solo di una proposta.
Ci tengo anche a rendere noto il gravissimo fatto che i canili/rifugi della regione Lombardia non sono stati contattati per capire in che condizioni siamo da un punto di vista numerico, strutturale/architettonico, gestionale ed economico e la relativa fattibilità della messa in pratica di una tale proposta.
Quello che si evince dunque è che non è assolutamente chiara a chi ha presentato la PLP la situazione dei canili e rifugi non solo in Lombardia ma in tutto lo Stivale, ossia il fatto che nella maggior parte dei casi si tratta di strutture già stracolme di soggetti, a rischio collasso, con poche risorse a disposizione e un numero sempre maggiore di cani di difficile gestione appartenenti, guarda caso, alle razze e relativi incroci contenute nell’allegato A.
Ci troviamo così di fronte ad una situazione di emergenza che i canili stanno già affrontando da tempo, non certo a causa della pericolosità di determinate tipologie di cani ma per la mancanza di presa di coscienza e consapevolezza delle persone e totale assenza delle istituzioni.
Ed è proprio questo aspetto che mi fa comprendere quanto il canile sia sempre visto come l’ultima spiaggia per risolvere, anzi scaricare i problemi. Infatti il PLP 4 prevede che i cani che non supereranno il test CAE-1 dopo il terzo tentativo avranno come destinazione proprio il canile. E non è assolutamente chiaro come questi cani poi potrebbero essere adottati nuovamente e che spazio di manovra si possa avere con loro a livello gestionale e lavorativo. Mentre per i cani appartenenti alle 26 razze della lista e relativi incroci già presenti in canile all’interno dell’allegato D viene richiesto un intervento gestionale e strutturale molto oneroso e obiettivamente poco fattibile nella maggior parte di strutture anche “solo” per mancanza di fondi e spazio.
Altro aspetto poco chiaro riguarda “i requisiti gestionali delle strutture che ospitano i cani dell’allegato A” che verranno valutati e giudicati periodicamente da figure esterne e molto lontane dal mondo del canile. Il tutto è stato messo nero su bianco senza conoscere minimamente poi il singolo soggetto, la sua storia e tutte le informazioni fondamentali per comprendere al meglio il percorso e i progressi fatti se non attraverso dei video, esercitando però così il potere di decidere le sorti di quell’individuo se è stato abbastanza “bravo” a rientrare nei loro canoni di addestramento.
Questo mi fa pensare molto perché in canile ci sono un sacco di cani che possono avere predisposizione alla reattività con i quali si è lavorato per anticiparla, modularla, dare un’alternativa, comunicare in tempo: tutti aspetti legati alla relazione e conoscenza reciproca che non potrebbero essere applicati da un neo-adottante per il test CAE-1 che presenta oneri di livello troppo alto per moltissimi cani. Sembra quasi che sia stato scritto così per non essere superato anche dopo aver fatto un adeguato percorso di adozione.
La cosa che mi preoccupa di più, infine, è l’ultima frase dell’allegato D all’interno della parte relativa ai “requisiti gestionali delle strutture che ospitano cani di cui all’allegato A” che dice: “Procedure pratiche di affido dei cani di cui all’allegato A formalizzate (ESCLUSI I SOGGETTI DI COMPROVATA PERICOLISITA’), disponibile per i controlli della azienda sanitaria competente.” Praticamente significa che, sulla base di criteri diametralmente opposti all’approccio quotidiano che si riserva agli ospiti del canile, un soggetto potrà essere considerato "pericoloso" e perdere ogni possibilità di riscatto. Questo sarebbe un passo gravissimo di privazione di libertà a vita: condanna all’ergastolo del canile sulla base di un giudizio espresso da figure che si occupano di tutto tranne che del benessere del cane e della sicurezza di cani e persone.
La formazione per me è fondamentale, sia chiaro. Non dico che non sia da fare, anzi. Ma per prevenire aggressioni soprattutto in famiglia, il "lavoro" deve essere volto a integrare e non a emarginare. A sensibilizzare, a far riflettere prima di prendere un determinato cane, il tutto gestito da figure professionali riconosciute a livello nazionale con un’idea ben diversa da quella emersa da questo assurdo patentino.
I casi di cronaca e il comportamento dei cani: "Aggressività e aggressione: due cose diverse che vengono confuse"

La responsabilità del comportamento di un cane non è mai da imputare a quest'ultimo qualora sfoci in un comportamento che provoca un danno alla salute di un essere umano ma per capirlo bisogna comprendere l'etologia del "migliore amico dell'uomo" ma, soprattutto, saper distinguere l'aggressività dall'aggressione. Non solo, con l'eventuale attuazione della PLP 4 i cani di quartiere e i cani liberi che ancora ci sono nelle regioni del centro-sud e che morfologicamente rientrerebbero nelle tipologie della Save List avrebbero vita breve e finirebbero sempre di più ammassati nei canili italiani.
A loro, tra le altre riflessioni, pensa l'istruttrice cinofila Claudia Marini, punto di riferimento della cinofilia italiana e spagnola.
"La cosa che mi lascia più perplessa di questa proposta è sicuramente il fatto che vorrebbe essere promossa per arginare il più possibile il fenomeno delle aggressioni da parte dei cani. Se l’obiettivo fosse davvero questo, sicuramente non dovrebbe contenere tutti quei punti che invece vengono divulgati dai suoi promotori come “essenziali” per questo scopo. C’è una differenza sostanziale, infatti, fra aggressività e aggressione: la prima è una dote naturale di ogni mammifero sociale, va saputa sicuramente indirizzare ed utilizzare in forma sociale ma è la capacità di conseguire un obiettivo quando questo è vincolato da limiti. Diverso e’aggredire, ovvero nuocere con intenzionalità all’interlocutore sociale che si ha di fronte e i cani hanno innumerevoli strumenti di reindirizzamento e ritualizzazione, sono coscienti del potenziale offensivo del loro corpo, non sono né macchine né soggetti in preda a istinti impazziti.
Sappiamo benissimo che la stragrande maggioranza delle aggressioni da parte dei cani avviene
 tendenzialmente per due motivi: o perchè ci sono degli errori di comunicazione fra noi, ovvero il cane dà una serie di segnali che non vengono compresi o che vengono compresi in maniera equivoca, con il timing scorretto. Il cane in queste situazioni sa di non avere una via di uscita da quella situazione se non aggredire. Sono anni che persone del settore e professionisti divulgano nel tessuto sociale e culturale una corretta lettura e interpretazione della comunicazione dei cani, che è una comunicazione estremamente differente dalla nostra come esseri umani e che si basa su pilastri piuttosto diversi dai nostri.
La maggior parte delle aggressioni non avviene perché il cane non è stato sufficientemente “controllato, gestito o inibito” ma avviene perché con i cani generiamo degli errori comunicativi e di comprensione. Il problema, infatti, è che nella stragrande maggioranza delle aggressioni avvengono perché il cane vive una condizione etologica scorretta da un punto di vista del suo benessere psicofisico ed emozionale.
Questo è il motivo per cui avvengono ‘attacchi' da parte di cani che vengono in realtà detenuti in maniera incompatibile con il loro benessere, o messi nella condizione di aggredire come forma di scarico rispetto a frustrazione, isolamento sociale, deficit di socializzazione , difesa attiva di risorse e spazi di vita che sono indirizzi che diamo no. Insomma: di certo la responsabilità non è dei cani.
Questa PLP apre un precedente estremamente pericoloso: in primis si deresponsabilizzano in maniera totale gli eventuali partner umani, dicendo banalmente loro che acquistando un cane da un allevamento certificato si ha una sorta di foglio bianco su cui scrivere qualsiasi cosa. Significa togliere la responsabilità di dare a quel cane una vita adeguata attraverso percorsi di socializzazione, ed anche educativi se necessario, e gli si toglie la possibilità di avere un'integrazione sociale corretta nella famiglia, con quelle persone e nell’ambiente in cui vivrà. L'assunto, del resto, è che tanto quel cane è già ‘perfetto' perché ha un pezzo di carta che lo certifica! Ciò significa aprire le porte ad un futuro disastro e, visti i numeri alti dei cani con pedigree già nei canili e il crescente numero di rescue di razza dovuti alle innumerevoli cessioni di proprietà, va da sé che chi ha stilato la Proposta di Legge non ha alcun interesse a contrastare realmente il fenomeno delle aggressioni.
Un’altra cosa estremamente grave è che se davvero diventa legge anche solo in Lombardia, successivamente moltissime altre regioni potrebbero prendere spunto e gestire le cose allo stesso modo. Penso a quelle zone del centro e del sud Italia che ancora hanno la fortuna di tutelare anche attraverso le leggi i cani di quartiere o di avere enti e istituzioni che tutelano e promuovono l’integrazione di gruppi di cani liberi nella vita e nell’ambiente di vita umano. Io che ho origini
 abruzzesi, so che moltissimi cani di quartiere da noi, tutelati e accuditi, per esempio sono grandi mix di pastori guardiani, ovvero rientrerebbero in questa famosa Save List come appunto meticci “potenzialmente” pericolosi.  Qual è dunque il destino di questi cani? Essere accalappiati e deportati in un canile pur avendo tutte le competenze sociali per essere integrati su un territorio insieme alla popolazione con cui convivono, solo perché assomigliano ad una razza bollata come pericolosa e non hanno un pedigree.
Penso anche ai tanti cani liberi che ho avuto la fortuna di osservare in diversi luoghi del sud Italia in cui ho visto moltissimi esemplari che sono morfologicamente riconducibili a dei mix di molossoidi o Terrier di tipo Bull: cani dunque che rientrerebbero solo per aspetto fisico in questa lista. Anche il loro destino, inesorabilmente, sarebbe di essere deportati in un canile in nome della sicurezza pubblica o per evitare che aggrediscano.
Purtroppo, complice il mio pessimismo innato, penso che si possa dunque aprire la strada ad altre regioni d’Italia a fare lo stesso e ciò in brevissimo tempo potrebbe portare a perdere il grande e inestimabile patrimonio dei cani liberi e dei cani di quartiere che invece dovremmo tutelare il più possibile e con tutte le nostre forze come una risorsa.
Personalmente non sono disposta ad avallare un processo di giudizio sui cani che si basa solo ed esclusivamente sulla selezione, la gestione, il controllo, l’inibizione e la genetica: bisogna chiamare le cose col loro nome perché questa PLP non e’altro che una scelta solo di interesse politico ed economico. Non vuole tutelare davvero i cani e non vuole tutelare davvero, ahimè, neanche le persone.
La proposta di legge parlamentare approvata dal Consiglio Regionale della Lombardia a fine giugno mira a introdurre l'obbligo di percorsi formativi per migliaia e migliaia di cani e proprietari, rigide valutazioni del comportamento al campo e conseguenti attuazioni di misure preventive di carattere gestionale.
A chi giova davvero? "Una proposta di una parte politica che andrebbe a rimpinguare l' imprenditoria del randagismo"

Non usa mezzi termini nemmeno Davide Maiocchi, istruttore cinofilo, attivista per la liberazione animale, per anni responsabile di canili e fondatore della casa famiglia "Lunacorre". Maiocchi ritiene la PLP 4 una proposta nata da una valutazione di stampo prettamente politico di una certa parte (il primo firmatario è il consigliere della Lega Roberto Anelli) che non terrebbe conto in alcun modo dell'etologia canina in particolare e che è, in generale, di stampo specista.
"Sono subito rimasto sconcertato dal progetto legislativo in questione a partire dall'impostazione ideologica che lo anima, sfacciata manifestazione di un pensiero specista (lesivo dei cani), razzista (che afferma la superiorità genetica razziale), violento e retrogrado (il test CAE-1), spudoratamente votato a promuovere gli interessi economici della categoria cinotecnica d'impronta zootecnica guidata in monopolio dall'ente privato ENCI:
In principio l'ho ritenuta l'ennesima proposta destinata a rimanere ‘aria fritta' nell'impossibilità di conseguire gli obiettivi e i principi che dichiara – ‘la tutela del benessere dei cani e della pubblica incolumità' -, perché chi conosce la materia sa che le istituzioni preposte (le già gravemente inadempienti Asl/Ats) non possono adempiere ai compiti previsti, cui si aggiungerebbe il coinvolgimento di decine di migliaia di cani ‘simil-razza pericolosa' nel percorso formativo, valutativo e prescrizionale.
Da operatore e dirigente associativo attivo da oltre tre decenni in strutture private, municipali e sanitarie, mi è parso che la PLP4 fosse destinata a fungere o da ignorante propaganda ‘spauracchio' o da scellerata legge monca: un piano d'intervento massiccio e muscolare che non dispone non solo di cultura sociale e buon senso, ma nemmeno sulla carta delle risorse necessarie a garantirne l'applicazione. Un'iniziativa del partito della Lega in combutta con chi specula sulla pelle dei cani, destinata a creare nuove sacche di malaffare (come successo dal 1991 ad oggi con l'entrata in vigore della legge quadro nazionale 281 che, in particolare nella delega al privato, ha favorito l'avvento di una vera e propria imprenditoria del randagismo).
Qualora approvata non farebbe altro che irrobustirere l'impresariato addestrativo-allevatoriale, sferrando un colpo mortale al variegato – e ingiustamente tanto bistrattato – mondo del volontariato che faticosamente agisce al di fuori dei regimi lucrativi. Il completamento del triangolo dello sfruttamento del cane che giova a chi vuole i canili ancora più pieni, che rimpingua il mercato in enorme ascesa dell'industria del pet, cui si aggiungerebbe in trionfo il comparto della produzione animale che spaccia i "diversamente da reddito", ovvero gli "animali da compagnia".
Mi limito ora, però, a prendere in considerazione la parte specifica che prevede l'istituzione del patentino per i cani incrociati con le 26 razze della Save List, occupandomi di quella che rappresenterebbe una novità epocale: l'istituzione della formazione universale obbligatoria per coloro che vivono con un cane.
Negli ultimi vent'anni milioni di persone sono state raggiunte dalla richiesta di intraprendere percorsi di formazione cinofila per affinare la gestione del proprio cane. Si è rapidamente diffusa la convinzione che tutti avessero bisogno di imparare a relazionarsi con un individuo di specie diversa perché incoscienti dei bisogni dei cani. Personalmente ho assistito con preoccupazione a tale impostazione verticistica che pone il sapere del tutto sopra e al di fuori di noi, dei cani e della nostra storia comune, per come viene posta, per come viene colta, per ciò che poteva giungere a comportare nel tempo una volta divenuta preda dei poteri forti.
Quando si pontifica di formazione è imprescindibile riflettere su chi la fornisce, come la si esercita, chi la riceve e, soprattutto, perché. "Formazione" non è garanzia di arricchimento esistenziale per persone e cani fintantoché non è stata quantomeno definita ed esperita l'affidabilità del formatore, la validità e l'eticità delle metodologie che adopera, l'effetto che ha sul fruitore umano e canino e per quali ragioni (reali o indotte) si ritiene debba essere intrapreso un percorso formativo.
Rilevo che la quasi totalità dell'esorbitante offerta formativa cinofila attuale non beneficia di alcun riconoscimento condiviso che va oltre il "buon nome" dell'ente o del singolo formatore, aspetto che conferisce alla fama, alla capacità di marketing o al caso la ragione della scelta operata da chi viene formato. Fatta eccezione per ENCI, paradossalmente, che beneficia di una storica delega istituzionale per il settore conseguita con il riconoscimento ricevuto dallo Stato nel lontano 1940 per… decreto regio.
Dal punto di vista dei metodi, l'approccio cognitivo apporta un significativo miglioramento per i cani che vengono finalmente considerati esseri pensanti, capaci di elaborare informazioni e prendere decisioni. Con la diffusione degli educatori cinofili ci si è maggiormente focalizzati sulla comprensione dei processi mentali ed emotivi del cane per costruire relazioni basate su fiducia e rispetto reciproco. Così ci si è via via distaccati dall'addestramento tradizionale, intenti a guidare i cani verso i comportamenti desiderati senza coercizioni o punizioni.
Resta da stabilire se, e quando, diventi lecito "guidare" il cane verso i comportamenti desiderati, dato che non vengono messe in discussione le aspettative del "padrone", condizionati da una società ben lontana dal combattere le discriminazioni silenziosamente in atto a danno di una specie forzatamente adattata agli usi e costumi dell'Umano, anche laddove estromessa dalle pratiche vivisettorie, venatorie e performative, nei lavori e nelle esposizioni.
Assistere all'estensione massiccia della formazione obbligatoria oggi incontra l'ingenua approvazione di un'ingenua maggioranza che non si fa abbastanza domande, mentre a mio avviso darebbe una svolta epocale di complicatissima interpretazione. Alla luce di una lunga e sofferta storia trascorsa a fianco dei cani in difficoltà, posso testimoniare che affidarsi al cosiddetto "professionista" è sovente occasione di ulteriori problematiche di ardua individuazione e risoluzione: circolano sempre più figure accreditate ma prive di onestà, attitudine, esperienza e motivazioni solidali, che millantano competenze e promettono recuperi comportamentali mentre le situazioni si aggravano a dismisura.
D'altronde, chi ha esperienza di vita, non solo e non tanto di cani, sa che focalizzare un disagio spesso contribuisce ad aumentare l'incomprensione e a favorire l'inasprirsi del fraintendimento. Ogni conoscenza saggia impara a comprendere che il ricorso alla sana accettazione e all'opportuna distanza relazionale può agevolare la fluidità del rapporto e la riduzione graduale dei dissidi.
Se aggiungiamo a queste considerazioni critiche che una formazione resa obbligatoria dall’alto risponde ai criteri dell'imposizione piuttosto che alla maturazione di un bisogno sorretto da ricerca e desiderio, è facile prevedere che il tanto decantato connubio umani/cani che affonda le radici nella dimensione della proprietà – per quanto vagamente affettiva e tecnicamente "consapevole" – rischia di smentire ogni principio di tutela, nonché di eludere le pretese di sicurezza che traggono linfa dall'assoggettamento sistematico del diverso e dalla riduzione degli spazi dell'autonomia.
Resta da interrogarci sull'accessibilità che accompagna un'istanza di formazione obbligatoria inerente i "nostri" cani: senza un programma di ingente finanziamento statale ci sarà chi potrà pagarsi la formazione nei campi cinofili di serie A e chi, non potendosela permettere, resterà impigliato nelle reti di una cinofilia minore in quanto povera, di serie B.
Non sarebbe stato meglio, invece, investire collettivamente sulla condivisione dell'assunto che non è un diritto disporre della vita di un cane?
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