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Per decenni, la figura del maschio alfa ha dominato l'immaginario collettivo e, spesso, anche quello scientifico. L'idea che nelle società di primati – e, per estensione, anche in quella umana – il potere appartenga "naturalmente" ai maschi sembrava essere un dato di fatto, quasi un riflesso biologico inevitabile. Ma cosa accade se andiamo oltre i preconcetti e osserviamo più da vicino le dinamiche sociali dei nostri "cugini" primati?
Un nuovo studio pubblicato di recente su PNAS e condotto da un team di ricercatori dell'Università di Montpellier, del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology e del German Primate Center, ha analizzato i rapporti di forza e le dinamiche sociali tra maschi e femmine in ben 253 popolazioni appartenenti a 121 specie diverse di primati, aprendo scenari del tutto nuovi su cosa significhi davvero "dominanza" nel mondo animale.
La "battaglia dei sessi" è molto più comune (e paritaria) di quanto pensiamo

Contrariamente a quanto ipotizzato spesso in passato, i ricercatori hanno scoperto che le interazioni aggressive tra maschi e femmine sono tutt'altro che rare. Anzi, in media, quasi la metà dei conflitti osservati avviene tra individui di sesso opposto, e non tra rivali dello stesso sesso, come tradizionalmente si credeva. Questo dato, da solo, sovverte in un certo senso un presupposto fondamentale della teoria dell'evoluzione sociale: che maschi e femmine competano principalmente per risorse diverse e quindi quasi mai tra loro.
“Il fatto che un individuo sia più probabilmente coinvolto in un conflitto con un membro del sesso opposto piuttosto che con uno dello stesso sesso ci dice che la battaglia dei sessi è una realtà molto diffusa anche nel mondo animale", ha infatti spiegato Dieter Lukas, coautore e ricercatore del Max Planck Institute. Non sono quindi solo i maschi – e solo tra di loro – a usare la "forza" per ottenere potere e risorse, anzi. Ma la vera domanda è: chi vince, alla fine? Maschi o femmine?
Non esiste un solo modello di dominanza

Dei 151 gruppi di primati per i quali esistevano dati sufficienti e qualitativamente validi, solo il 17% mostrava una netta dominanza maschile (con i maschi vincitori nel 90% dei confronti), mentre il 10% vedeva le femmine in netto vantaggio. Nel restante 70% delle popolazioni analizzate, invece, non si osservano differenze nette o prevalenze significative, a dimostrazione che la maggior parte delle società primate non ha un assetto chiaramente patriarcale né matriarcale.
"Le recenti ricerche hanno iniziato a mettere in discussione la visione tradizionale della dominanza maschile come status ‘naturale'. Il nostro studio amplia questa prospettiva mostrando l'enorme varietà di relazioni tra i sessi nel mondo dei primati", ha aggiunto invece Peter Kappeler del German Primate Center. I ricercatori hanno anche identificato alcuni dei fattori chiave che favoriscono la "dominanza" femminile.
Quando comandano le femmine (e perché)

Nella "battaglia dei sessi" le femmine tendono ad avere molto più potere in quelle specie in cui le dimensioni dei sessi sono simili, le interazioni avvengono prevalentemente sugli alberi (e non a terra), i legami di coppia sono monogami e quando le femmine non portano sempre dietro i loro piccoli, riducendo così il rischio di esporli a pericoli o violenze. Tutti questi elementi contribuiscono a rendere le femmine meno dipendenti dalla protezione maschile e più libere di scegliere i propri partner, aumentando così il loro potere "contrattuale" e sociale.
In altre parole, il potere femminile emerge non tanto dalla forza fisica, quanto da strategie riproduttive e dinamiche sociali che consentono alle femmine di dettare le regole del gioco. Viceversa, la dominanza maschile è molto più frequente tra le specie "terrestri", dove i maschi sono molto più grandi o "armati" (per esempio con canini prominenti) e dove si accoppiano con più femmine, imponendo con la loro forza fisica l'accoppiamento e la riproduzione.
Un nuovo paradigma per la scienza (e per noi)

Le implicazioni di questo studio vanno inevitabilmente ben oltre i primati non umani. Gli stessi ricercatori sottolineano infatti come anche noi esseri umani non condividiamo tutti i tratti che caratterizzano le specie dove sono i maschi a dominare con la forza. Al contrario, la nostra specie si colloca più o meno a metà, in una zona grigia fatta di relazioni sociali complesse, ruoli flessibili e potere distribuito in modo non sempre prevedibile.
"L'idea che il patriarcato sia una diretta eredità evolutiva dai primati non trova conferma nei dati", ha infatti affermato Elise Huchard, coordinatrice dello studio. Le relazioni e le dinamiche tra i sessi vanno infatti sempre interpretate all'interno del loro contesto sociale, ecologico e culturale, e non ridotte a uno schema biologico deterministico. Ancora una volta, lo studio del comportamento animale rimettere in discussione stereotipi duri a morire, sia nel mondo della primatologia che nel nostro modo di raccontare le relazioni tra uomini e donne.
Superare il mito del maschio alfa non significa assolutamente negare l'esistenza di dinamiche di potere tra i sessi, ma riconoscere che queste dinamiche non sono fisse né universali. Gorilla, cebi, macachi, babbuini, lemuri e tutti gli altri, dimostrano che esistono molti modi diversi di "essere" primati, fatti anche di convivenza, cooperazione e competizione tra maschi e femmine. E forse, le altre scimmie hanno ancora molto da insegnarci, se siamo disposti a guardarle oltre i nostri pregiudizi.