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Quando pensiamo alla sofferenza degli animali, raramente i pesci sono i primi a venirci in mente. Basta anche solo pensare a quanto sia più socialmente accettata la pesca e oltraggiata e combattuta invece la caccia.
Eppure, ogni anno vengono uccisi tra i 171 miliardi e i 2,2 trilioni di pesci e la maggior parte di questi muore senza che nessuno si chieda cosa stia realmente provando. Un nuovo studio recentemente pubblicato su Scientific Reports prova a rispondere proprio a questa domanda, offrendo per la prima volta una stima concreta e quantificabile del dolore provato da un pesce durante uno dei metodi di macellazione più diffusi: l'asfissia all'aria.
Una trota può impiegare anche oltre 20 minuti per morire
I ricercatori si sono concentrati sulla trota iridea o arcobaleno (Oncorhynchus mykiss), una delle specie più allevate al mondo, per misurare quanto tempo dura e quanto è intensa la sofferenza. Il dato emerso è tutt'altro che trascurabile: in media, una trota impiega 10 minuti per morire se lasciata a soffocare fuori dall'acqua, con un intervallo che può variare da 2 a 22 minuti in base a fattori come la dimensione dell'animale e la temperatura dell’ambiente. Significa che ogni chilogrammo di pesce può corrispondere a circa 24 minuti di dolore.
Numeri che impressionano non solo per l'intensità, ma soprattutto per la scala: in un settore in cui si contano centinaia di miliardi di vite, anche piccoli miglioramenti nei metodi di abbattimento dovrebbero essere una priorità, poiché possono tradursi in un enorme risparmio di sofferenza. A permettere queste misurazioni, proprio per cercare di ridurre la sofferenza tra i pesci, è stato il Welfare Footprint Framework (WFF), un nuovo strumento sviluppato dal Center for Welfare Metrics.
Un nuovo metodo per quantificare la sofferenza animale

Il principio è molto semplice, ma efficace: assegnare un valore temporale agli stati soggettivi di sofferenza o benessere, rendendo comparabili le diverse esperienze animali in termini simili a quelli usati per le impronte ambientali o le valutazioni d'impatto sanitario umano. Wladimir Alonso, ideatore del metodo, lo descrive come "un approccio rigoroso e trasparente per valutare il benessere animale e prendere decisioni più informate su dove e come investire per migliorarlo".
Il WFF non si limita solo a fotografare il dolore, ma lo mette in relazione con possibili soluzioni. Lo studio, infatti, valuta anche l'efficacia e il rapporto costi-benefici di metodi alternativi all'asfissia. Tra questi, lo stordimento elettrico si è rivelato particolarmente promettente: se applicato correttamente, può evitare tra i 60 e i 1.200 minuti di dolore moderato o intenso per ogni dollaro investito in attrezzature. Persino lo stordimento percussivo (in sostanza un colpo alla testa) riduce la sofferenza, ma resta difficile da standardizzare su larga scala.
La sofferenza invisibile de pesci
Un aspetto spesso sottovalutato, ma messo in luce dai ricercatori, è che le fasi precedenti alla macellazione – come il trasporto e l'ammassamento dei pesci – possono generare una sofferenza complessiva anche maggiore di quella legata all'uccisione vera e propria. Eppure, su questi momenti si concentra ancora poca attenzione anche da un punto di vista normativo. Il vero merito di questo studio, infatti, è proprio quello di trasformare il dolore invisibile dei pesci in qualcosa di più comprensibile, misurabile e soprattutto evidente.
E così facendo, offre agli operatori del settore, alle aziende, ma anche ai decisori politici, ai consumatori e agli enti certificatori, strumenti concreti per migliorare (per quanto possibile) il benessere dei pesci in acquacoltura su larga scala. La domanda, a questo punto, non è più se i pesci provino dolore. Ma cosa siamo davvero disposti a fare, ora che sappiamo quanto soffrono e quanto può durare l'agonia dei pesci che mangiamo?