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L’invasione del vermocane mette a rischio la pesca nel Mediterraneo: “La risposta arriva dai giovani”

L'invasione del vermocane in Italia distrugge la pesca, ma per la ricercatrice dell'Anton Dohrn Claudia Scianna c'è una speranza: "Le nuove generazioni più attente ai cambiamenti climatici"

19 Novembre 2025
6:30
Intervista a Claudia Scianna
Ricercatrice della Stazione Zoologica Anton Dohrn presso il Calabria Marine Centre
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Il vermocane non è un alieno dei nostri mari, eppure grazie al cambiamento climatico sta dando il via a una invasione

Le invasioni nel Mediterraneo non riguardano solo le specie aliene. Una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) coordinata da Claudia Scianna, ricercatrice della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli presso il Calabria Marine Centre di Amendolara, rivela come l’aumento di abbondanza del vermocane (Hermodice carunculata) stia generando impatti significativi sulla piccola pesca. Un settore tutt'altro che piccolo, che ha ricadute importanti sulle economie costiere e sulla dieta – e quindi la salute – del resto della cittadinanza.

L'espansione di un invasore non alieno come il vermocane rischia però di compromettere questo comparto. La soluzione individuata dai ricercatori guidati da Scianna si trova proprio nel dialogo con i pescatori in quanto custodi della memoria dell'ecosistema nel quale vivono e lavorano. A giocare la partita decisiva, però, saranno le future generazioni, più attente al cambiamento climatico, lo spiega Scianna in questa intervista a Fanpage.it.

Dottoressa, lo studio da lei coordinato certifica l'espansione del vermocane (Hermodice carunculata) nei mari italiani, siamo in presenza di una invasione?

Sì, e non è un fenomeno nuovo, già diversi studi degli anno 2020-2022 lo attestano. Il vermocane è una specie nativa del Mediterraneo e anche dell'Oceano Atlantico. Nell'articolo lo definiamo come native invader, cioè una specie nativa che però allo stesso tempo sta dando vita ad un'invasione perché la sua presenza sta aumentando, soprattutto nelle zone del Mediterraneo meridionale, e si sta progressivamente spostando verso il nord del Mediterraneo, quindi nelle zone più settentrionali e più fredde.

I cambiamenti climatici stanno determinando un aumento delle temperature dell'acqua e quindi questa specie che è termofila, cioè sviluppa il suo ciclo vitale in condizioni di temperature più alte, riesce a riprodursi e a vivere bene anche nel Mediterraneo settentrionale.

Il vermocane è pericoloso per le persone?

È noto anche come "verme di fuoco" perché possiede setole urticanti che possono penetrare nella pelle dell'uomo e di altri animali e rilasciare una tossina urticante. Si tratta di uno strumento di antipredatorio, e infatti ad oggi non si conoscono predatori dell'animale. Per l'uomo può risultare un pericolo, anche il contatto causa solo un forte bruciore e nessun danno ulteriore.

L'invasione del vermocane era già nota, lo studio del Dohrn però è il primo lavoro scientifico ad analizzare in modo sistematico l'impatto sui diversi attrezzi della piccola pesca, e lo fa attraverso le percezioni dei pescatori. Perché avete scelto questo metodo d'indagine?

Perché i pescatori sono detentori di una conoscenza che non è riferita solo al presente ma – specialmente i più anziani – custodiscono la conoscenza del cambiamento degli ecosistemi fin da quando hanno iniziato la loro attività. Ciò che il nostro studio porta di nuovo è proprio il coinvolgimento di un gran numero di pescatori: 120 da tutta Italia. Li abbiamo abbiamo intervistati soprattutto in relazione agli attrezzi da pesca da loro usati. In passato la valutazione relativa all'impatto del vermocane era stata fatta solo su alcuni attrezzi, mentre oggi ci siamo concentrati su tutti gli attrezzi della piccola pesca, anche quelli passivi come le reti, i palangari, e le nasse. Abbiamo visto come attrezzi diversi subiscono un impatto variabile. Il vermocane infatti è un animale cosiddetto "bentonico", significa che vive attaccato al substrato e di conseguenza gli attrezzi che lavorano vicino al fondale marino subiscono un impatto maggiore.

Perché vi siete concentrati sulla piccola pesca? Non è un comparto marginale?

Per "piccola pesca" si intende la pesca fatta con attrezzi passivi come reti, palangari e nasse da imbarcazioni piccole dimensioni, quindi sotto i 12 metri. Questo è uno dei settori economici ittici più importanti a livello del Mediterraneo e conta un gran numero di impiegati. Quindi si tratta di un settore dall'elevata importanza sociale, sia in quanto fonte di nutrimento per le popolazioni costiere e non, sia per la cittadinanza in generale perché ha risvolti diretti sulla dieta e la salute dei consumatori.

Quali considerazioni avete tratto dopo aver ascoltato i pescatori?

I risultati ci dicono che c'è una nuova invasione in atto, ed è stato possibile identificarla nel tempo proprio grazie ai pescatori, e sempre loro ci hanno dato una misura dell'impatto negativo sulla loro attività. Consideriamo che ci sono pescatori di 60-70 anni che hanno cominciato a fare questo lavoro col proprio padre fin da piccolissimi, quando avevano 6 o 7 anni. Quindi loro riescono a darci informazioni sul cambiamento dell'ecosistema in un arco temporale lungo mezzo secolo. Si tratta di informazioni che ad oggi non riusciamo ad avere in altro modo, quindi la collaborazione è fondamentale, ma è importante anche per la fase ultima della nostra ricerca scientifica.

In che modo?

Attraverso la restituzione alla società civile e alle comunità. Noi raccogliamo i dati con l'aiuto dei pescatori, successivamente li elaboriamo, li studiamo, li comprendiamo, e poi ritorniamo dalle comunità locali fornendo ai pescatori i nostri risultati. Questi hanno poi una ricaduta gestionale importante. Non parliamo soltanto di conservazione e gestione degli ecosistemi marini, ma anche di gestione delle risorse naturali che vengono sfruttate dall'uomo come fonte di nutrimento, e che rappresentano per i pescatori stessi una fonte di reddito e di sostentamento per le loro famiglie.

Dall'articolo emerge che i pescatori più giovani si sono ritagliati un ruolo importante in questo processo.

Sì, è così. In generale i pescatori vogliono collaborare con noi perché capiscono che l'unione delle nostre forze può creare una soluzione condivisa per risolvere il problema dell'invasione del vermocane per la loro attività economica, ma sono soprattutto i più giovani a mostrare la maggiore volontà di partecipare. Questo è molto importante perché ci fa sperare per il futuro. I pescatori giovani continueranno la loro professione a lungo e questo fa presagire anche il prosieguo della collaborazione che abbiamo instaurato in questi anni.

Inoltre, il risultato della nostra ricerca, in correlazione anche con altri studi, dimostra ancora una volta che i giovani comprendono meglio cosa sono i cambiamenti climatici e i loro effetti. Di conseguenza i pescatori più giovani sanno che è necessario agire per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici.

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