
Proprio mentre in Brasile si discute di clima e futuro del Pianeta alla COP30, un nuovo studio pubblicato sulla rivista Animals riporta al centro del dibattito un tema spesso fin troppo spesso ignorato quando si parla di cambiamenti climatici: l'impatto dell'allevamento intensivo sul riscaldamento globale e sulla perdita di biodiversità. Secondo gli autori, affrontare la crisi climatica senza ridurre la produzione di carne e derivati animali significa mancare uno degli obiettivi principali della lotta all'emergenza climatica.
Lo studio è una review che mette insieme e rielabora i risultati di 47 ricerche internazionali sul tema e la conclusione per gli autori è molto chiara: ridurre la produzione di animali da allevamento e favorire un'alimentazione a base vegetale è essenziale per provare a raggiungere gli obiettivi climatici globali.
L'impatto reale dell'allevamento intensivo su clima e non solo
A livello mondiale, l'allevamento contribuisce da solo dal 12 al 20% delle emissioni di gas serra ogni anno. Ma, considerando anche la deforestazione, la pesca industriale e gli effetti di alcuni inquinanti atmosferici, le stime più aggiornate arrivano a un dato ancora più impressionante: oltre metà del riscaldamento globale attuale (circa il 52%) può essere collegata alla produzione animale e il problema non riguarda solo le emissioni.
L'agricoltura destinata all'alimentazione animale occupa più dell'80% dei terreni agricoli del pianeta, ma fornisce appena il 18% delle calorie e il 37% delle proteine che consumiamo. Una sproporzione che rende quindi molto difficile immaginare un futuro in cui il sistema alimentare attuale possa sostenere una popolazione in costante crescita.
Gli allevamenti intensivi sono inoltre tra i principali responsabili dell'eutrofizzazione – ovvero l'eccesso di nutrienti che soffoca fiumi e laghi – e dell'acidificazione dei suoli, contribuendo a circa la metà del totale globale. E anche la perdita di biodiversità va di pari passo e, secondo lo studio, le diete ricche di carne causano fino a quattro volte più danni alla biodiversità rispetto a quelle basate principalmente su alimenti vegetali.
Perché serve spostarsi verso un'alimentazione più vegetale

Ridurre il consumo di prodotti animali, spiegano i ricercatori, non è quindi solo una scelta etica o salutistica, ma una necessità ambientale. Una transizione verso un modello "plant-based", cioè centrato su alimenti di origine vegetale, ridurrebbe drasticamente le emissioni di gas serra, la pressione sulle foreste e sull'acqua dolce, e limiterebbe l'inquinamento causato dai fertilizzanti e dai reflui degli allevamenti che finiscono negli ecosistemi.
Un cambiamento del genere avrebbe perciò effetti positivi non solo sul clima, ma anche sulla salute stessa degli ecosistemi e sulla conservazione della biodiversità e della fauna selvatica, restituendo spazio e risorse alla natura. Gli autori invitano quindi i governi e le istituzioni internazionali a inserire obiettivi chiari di riduzione della produzione e del consumo di carne nei piani climatici previsti dall'Accordo di Parigi, che quest'anno compie tra l'altro 10 anni.
Senza intervenire su questo settore, spiegano, sarà impossibile mantenere l'aumento della temperatura globale sotto i 2°C, per non parlare della soglia più ambiziosa di 1,5°C che secondo i modelli e gli studi più aggiornati sembra ormai irraggiungibile. Allo stesso tempo, lo studio riconosce anche che ogni regione del mondo deve essere considerata nel proprio contesto: nei paesi in via di sviluppo, la transizione alimentare dovrà tenere chiaramente conto della sicurezza alimentare, delle tradizioni culturali e delle condizioni economiche degli allevatori.
"Un punto cieco nelle politiche climatiche"
"È da troppo tempo che l'agricoltura animale resta fuori dal centro delle politiche ambientali", ha dichiarato Jenny Mace, autrice principale dello studio. "Senza una riduzione significativa dell'allevamento intensivo sarà estremamente difficile raggiungere gli obiettivi climatici e di sostenibilità". Il veterinario e coautore Andrew Knight ha sottolineato invece come "la riforma del sistema alimentare, e in particolare la diminuzione dei prodotti di origine animale, potrebbe liberare enormi benefici per le persone e per il pianeta".
Infine, Fernanda Vieira, altra coautrice, ha ricordato che "gli allevamenti industriali non sono solo una delle principali cause di deforestazione e cambiamento climatico, ma anche un terreno fertile per nuove zoonosi. Ignorare questi legami significa rinunciare a un futuro davvero sostenibile".
Mentre i (pochi) leader mondiali presenti alla COP30 si confrontano, il messaggio degli scienziati è chiaro e inequivocabile. Non riusciremo a contrastare davvero gli effetti dell'emergenza climatica senza un profondo ripensamento del modo in cui produciamo e consumiamo cibo. E questo ripensamento deve necessariamente passare dalla drastica riduzione della produzione e del consumo di prodotti di origine animale.