
Sta facendo il giro del mondo la notizia di un Tribunale di Istanbul che in una sentenza di divorzio ha riconosciuto all'ex moglie un assegno di mantenimento per i gatti della famiglia. L'ex marito dovrà versare per dieci anni un contributo trimestrale di 10.000 lire turche, pari a circa 240 euro, per il mantenimento dei felini.
Abbiamo raggiunto l'avvocato Salvatore Cappai, civilista ed esperto in diritto degli animali per capire se una simile sentenza sia possibile anche in Italia, e la risposta è stata affermativa: "Il nostro ordinamento giuridico si trova in una fase di transizione caratterizzata da un vuoto normativo, ma anche da noi esiste questa possibilità, sebbene a determinate condizioni che dipendono dai coniugi stessi, oppure dai giudici".
Il caso turco
Un tribunale di Istanbul ha approvato un accordo di divorzio che decisamente particolare. Dopo due anni di matrimonio, una coppia ha deciso di separarsi e, non avendo figli, l’uomo pagherà alla ex moglie un risarcimento di 550.000 lire turche – equivalenti a circa 13 mila euro – e, inoltre, dovrà corrisponderle un contributo trimestrale di 10 mila lire turche, pari a circa 240 euro, per dieci anni, destinato alle spese di mantenimento dei felini. La somma sarà inoltre rivalutata annualmente in base all’inflazione, come accade per gli assegni di mantenimento dei figli.
Sino a questo momento in Turchia erano stati riconosciuti accordi limitati alle spese veterinarie o alimentari, ma mai un impegno finanziario tanto strutturato e prolungato nel tempo.
Animali in caso di affidamento e divorzio: come funziona i Italia
In Italia però le cose stanno in maniera un po' diversa, come sottolinea Cappai: "Manca una disciplina organica che regoli l'affidamento e il mantenimento degli animali d'affezione in caso di separazione o divorzio dei coniugi. Questa assenza legislativa ha generato un quadro complesso e frammentato, in cui la soluzione dipende in larga misura dalla presenza di un accordo tra le parti o, in sua assenza, dall'orientamento del singolo giudice".
Nel nostro Paese la via maestra per la gestione degli animali domestici infatti è l'accordo tra i coniugi, quando però non riescono a raggiungere un'intesa e si rivolgono al giudice, ecco che emerge tutta l'incertezza del quadro normativo: "da una parte ci sono i giudici che ritengono di non poter disporre d'ufficio l'affidamento o il mantenimento dell'animale. Ciò sulla base del fatto che non esiste una legge che attribuisca al giudice il potere di decidere sulla "custodia" di un animale. Le norme sull'affidamento dei figli minori sarebbero infatti dettate a tutela del "supremo interesse del minore" e non sono estensibili per analogia agli animali. Ancora, secondo questo orientamento restrittivo se gli animali sono delle cose, la controversia sulla loro attribuzione dovrebbe essere risolta secondo le regole della proprietà, senza poter istituire un ‘diritto di visita' o un ‘affidamento condiviso'".
Nonostante la recente approvazione della riforma Brambilla che ha rivisto alcuni aspetti della legge sul maltrattamento degli animali, questi sono ancora considerati dal diritto italiano come delle res, degli oggetti di cui disporre, da qui le problematiche di regolarne l'affido.
Tuttavia esiste un secondo orientamento, più umano, anzi, più animale: "Sono sempre più numerosi i giudici che tentano di superare il vuoto normativo valorizzando il rapporto affettivo e lo status di essere senziente dell'animale. Alcuni tribunali hanno già disposto un affidamento, anche condiviso, basandosi sul criterio del ‘miglior sviluppo possibile dell'identità dell'animale' o sulla tutela del suo ‘interesse materiale, spirituale e affettivo'".
Quando un "accordo alla turca" è possibile anche in Italia
Anche in Italia, secondo Cappai, è possibile raggiungere un accordo simile a quello turco, a patto che si raggiunga un punto d'incontro all'interno della coppia che si separa: "In caso di separazione o divorzio, marito e moglie possono scrivere nel loro accordo chi terrà l'animale, come verrà gestito (ad esempio, con visite per l'altro coniuge) e come si divideranno le spese per cibo e veterinario. Se l'accordo è ragionevole, il giudice lo approva quasi sempre. Questa è la soluzione migliore e più sicura. Se manca questo accordo la situazione si complica. Infatti nel nostro Paese non esiste una legge specifica. Molto dipende dall'interpretazione fornita dal giudice che si trova a decidere".