
La mortalità del lupo in Italia è in crescita. Dal 2019 al 2023 sono 1.639 i lupi morti e la maggior parte di loro hanno perso la vita per cause riconducibili all'essere umano: investimenti stradali e bracconaggio. È il risultato dell'analisi condotta dall'associazione Io non ho paura del lupo, la più attiva in Italia nel monitoraggio della specie.
L’obiettivo principale del lavoro condotto dagli esperti è stato quello di quantificare il numero di lupi rinvenuti morti in Italia e analizzarne le cause, suddividendole per categorie e per distribuzione territoriale. Non è una sorpresa che le cause di natura antropica siano in netta maggioranza, mentre qualche novità invece la riservano le regioni in cui vengono uccisi più lupi.
La raccolta di dati serve per avere un quadro scientificamente accurato in un momento delicato come quello che sta attraversando la specie a seguito del declassamento europeo, e la conseguente diminuzione dello status di protezione che alcuni paesi membri vorrebbero attuare. Lo spiega a Fanpage.it Francesco Romito, vicepresidente dell'associazione: "Dati affidabili permettono una gestione più efficace, una migliore prevenzione dei conflitti e un contrasto più serio al bracconaggio. Senza dati omogenei e verificabili, ogni discussione è basata su percezioni e non su evidenze".
Quali sono le cause di morte più comuni per il lupo

Il primo dato fondamentale riguarda la mortalità crescente del lupo in Italia. Secondo le stime dell'associazione, tra il 2019 e il 2023 sono stati rinvenuti in Italia 1.639 lupi morti, passando dai 210 casi registrati nel 2019 ai 449 del 2023, cioè più di un lupo morto ogni giorno: è una cifra più che raddoppiata.
Si tratta di 728 maschi; 627 femmine; 284 sesso non determinato. La morte è derivata per la maggior parte da cause antropiche indirette, cioè investimenti stradali, che hanno riguardato 978 esemplari; antropiche dirette, il bracconaggio, che ha ucciso 210 esemplari; per cause naturali sono morti 140 esemplari; cause indeterminate per 311 esemplari.
È difficile avere un quadro affidabile delle cause di morte in natura, perché i lupi sono animali selvatici che per la maggior parte vivono lontani dallo sguardo dell'essere umano, anche se sono monitorati. Come confermano gli esperti, "una parte significativa dei lupi che muoiono non viene mai ritrovata, perché le carcasse possono essere consumate da altri animali, si decompongono rapidamente o rimangono in zone impervie o inaccessibili. Ciò significa che i numeri riportati, per quanto impressionanti, rappresentano con ogni probabilità solo una porzione minima del fenomeno reale".
E la stessa indeterminatezza, ma per motivi diversi riguarda anche il bracconaggio. Il bracconaggio è un fenomeno illecito e per sua natura si tratta di un "numero oscuro", termine che in ambito statistico e criminologico indica quei reati che, pur essendo stati consumati, non vengono registrati dalle fonti ufficiali perché mai denunciati.

L'uomo, tra cause dirette e indirette ha ucciso il 72% dei lupi rinvenuti sul proprio territorio. Un numero che dice molto del modo in cui non si gestisce la specie.
Dove muoiono più lupi in Italia e perché

Dall’analisi dei dati raccolti emerge con chiarezza come il numero di lupi rinvenuti morti nel periodo 2019-2023 vari in maniera significativa tra le diverse regioni italiane. Alcuni territori, in particolare, si distinguono per valori decisamente più elevati: Piemonte (280 esemplari), Abruzzo (272) ed Emilia-Romagna (266) risultano, infatti, le regioni con il maggior numero di casi registrati.
"Non sorprende trovare più rinvenimenti in Piemonte, Abruzzo ed Emilia-Romagna: sono aree con popolazioni numerose, presenza storica o in forte espansione e un’elevata densità di infrastrutture – sottolinea l'esperto – Ciò che invece sorprende è la bassa mortalità registrata in alcune regioni limitrofe, dove la presenza del lupo è ormai stabile. Questo non indica necessariamente una mortalità più bassa, ma piuttosto evidenzia problemi nella raccolta e trasmissione dei dati, con sistemi non omogenei o poco strutturati".
A morire per bracconaggio sono i lupi soprattutto che passano per Lombardia e Calabria, seguita da Emilia-Romagna e subito dopo dalla Campania. Per l'Emilia-Romagna però c'è un altro aspetto da considerare: è anche la regione in cui la percentuale di individui morti per cause indeterminate è molto bassa, inferiore al 4%, un dato che potrebbe riflettere procedure particolarmente efficaci nella gestione delle carcasse, dal momento del loro rinvenimento fino all’esecuzione degli esami diagnostici.
"Le differenze tra regioni non misurano solo la mortalità, ma soprattutto quanto bene si raccolgono i dati – rileva Romito – Se una regione ha più casi di bracconaggio non è detto che lo si faccia di più: può semplicemente significare che il sistema di monitoraggio funziona meglio che altrove. Ed è proprio per questo che servono protocolli omogenei e nazionali: senza, i confronti tra regioni rischiano di essere interpretati in modo fuorviante".
In quest'ottica le Regioni in cui le cause di morte sono per lo più indeterminate, quindi quelle che probabilmente hanno i sistemi di gestione e monitoraggio delle carcasse meno funzionali, sono Basilicata, Toscana e Veneto.
Il futuro del lupo in Italia dopo il declassamento: "La differenza la faranno i dati"
A seguito del declassamento in sede europea dello status di protezione del lupo, alcuni stati membri stanno vagliando l'ipotesi di predisporre delle quote di abbattimento sul proprio territorio nazionale. Si tratta dell'ultimo passo di un processo molto lungo iniziato nel 2023.
Ma che futuro potrebbe avere la popolazione italiana con una riduzione dello status di protezione alla luce dei dati raccolti? "Molto dipenderà da come le Regioni sceglieranno di utilizzare le eventuali deroghe. Un uso restrittivo e rigoroso potrebbe limitare gli impatti; un uso ampio e poco controllato rischia invece di aumentare la mortalità, soprattutto nelle aree con tensioni già presenti. L’esperienza internazionale mostra che ridurre la protezione non porta automaticamente più convivenza: la differenza la fanno i dati, la prevenzione e la legalità, non le semplificazioni", conclude Romito.