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“Il mio Narcos è morto per i proiettili e a causa dei pregiudizi”: il racconto di Alessia sul Pitbull ucciso da un poliziotto ad Ancona

Il 15 settembre scorso in un parco di Ancona un poliziotto ha sparato contro un mix Pitbull di nome Narcos che era in compagnia di Alessia, la sua persona di riferimento. Questa è la sua testimonianza diretta per un caso che solleva dubbi sulla gestione dell’intervento, sui pregiudizi verso i Terrier di tipo Bull e, secondo la giovane, anche su possibili discriminazioni razziali nei suoi confronti.

22 Settembre 2025
15:47
Articolo e video a cura di Ilaria Proietti
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La storia di Narcos, il mix Pitbull nero ucciso da un colpo di pistola in gola da un poliziotto ad Ancona, non è solo cronaca. E' l’ennesimo simbolo di un intreccio di paure, pregiudizi e discriminazioni che in Italia troppo spesso si manifestano nei casi in cui ci sono Terrier di tipo Bull o molossoidi al fianco delle persone di riferimento.

L’episodio è avvenuto il 15 settembre in un parco ad Ancona. Secondo la ricostruzione ufficiale della Questura, gli agenti sarebbero intervenuti per un controllo legato allo spaccio quando si sono trovati davanti Narcos, “un Pitbull di grossa taglia senza guinzaglio e museruola”. Il cane, secondo un comunicato stampa, avrebbe iniziato a correre verso di loro ringhiando e, a quel punto, l’agente avrebbe ritenuto inevitabile sparare per difendere se stesso e i colleghi.

La versione di Alessia, la persona di riferimento di Narcos

Una versione che però contrasta con quella della persona di riferimento di Narcos, Alessia, che racconta una scena ben diversa: Narcos era legato a una panchina, dormiva tra lei e il suo compagno quando gli agenti sono arrivati al parco. Due di loro venivano dall’entrata principali di fronte ai ragazzi, gli atri due da quella opposta. Uno degli agenti che voleva sorprendere Alessia e il compagno alle loro spalle ha iniziato a correre verso la panchina. La paura avrebbe agitato il cane, che si è messo ad abbaiare e a tirare fino a spezzare il guinzaglio. “Narcos ha smesso subito di abbaiare, ed è andato verso il poliziotto ma non ha fatto nulla: è andato ad annusarlo e basta – racconta Alessia a Kodami – Noi l'abbiamo chiamato lui è subito tornato indietro”.

Alessia precisa che poi ha tentato di bloccarlo prendendolo per il collare ma proprio in quel momento il poliziotto ha premuto il grilletto, sparando a Narcos che era tra le sue gambe e sotto i suoi occhi.

L’agonia di Narcos e il silenzio dei soccorsi

Questa divergenza di versioni apre interrogativi profondi su come sia stata gestita la situazione sia nell’immediato sia nei momenti successivi, quelli cruciali per poter salvare Narcos. Anche nel tentativo di intervenire per soccorrere il cane infatti, c’è stata comunque molta confusione e poca professionalità. “Ho chiamato una clinica veterinaria che non ha risposto. Anche la Croce Gialla ma mi ha messa in attesa. I poliziotti intanto continuavano a dire che i soccorsi sarebbero arrivati", racconta Alessia. Nel frattempo, gli agenti avrebbero impedito a lei e al suo compagno di portare Narcos in una struttura veterinaria, avendo trovato la coppia in possesso di una piccola quantità di sostanza per uso personale.

Narcos è morto agonizzante dopo circa quaranta minuti, i soccorsi non sono mai arrivati. “Dopo che Narcos è morto – spiega Alessia – il poliziotto aveva consigliato a mio papà di cremarne il corpo e di far cancellare a me e al mio ragazzo foto o video che avevamo fatto dell’accaduto”.

Il pregiudizio verso i Pitbull

Dietro la vicenda c’è molto più dell’incapacità di gestire situazioni sotto stress da parte della Polizia. Perché Narcos non era soltanto un cane, era un incrocio tra Pitbull e Amstaf, e la sua tipologia ha inevitabilmente influenzato la percezione dei presenti. I Terrier di tipo Bull, per la loro forza fisica e per la cattiva reputazione che li accompagna, vengono troppo spesso dipinti come pericolosi a prescindere dal loro comportamento reale. È difficile non chiedersi se, al posto di Narcos, ci fosse stato un Labrador o un Barboncino, la reazione del poliziotto sarebbe stata la stessa.
Alessia infatti, ci tiene più volte a sottolinea che il suo cane non era affatto aggressivo.

"Non è la prima volta che mi fermano": Alessia e la discriminazione razziale

Durante l’intervista però, Alessia non parla solo di pregiudizio verso i Pitbull. Denuncia apertamente anche un altro tipo di discriminazione: quella razziale. Lei è di origini domenicane, e racconta che non è la prima volta che viene fermata mentre passeggia con il suo cane. “Volevo dire anche che non è la prima volta che vengo fermata con Narcos, perché, questo è ciò che penso io, essendo io di colore,  in più con un Pitbull… fa strano”, afferma con amarezza. La sua testimonianza mette in luce una dinamica che non riguarda solo gli animali, ma la società nel suo insieme: i pregiudizi, quando si sommano, diventano pericolosi.

La morte di Narcos non è quindi solo una tragedia privata, ma solleva domande di carattere pubblico. Quanto contano la paura e i pregiudizi nelle decisioni prese in pochi secondi? Esistono alternative non letali che possano essere usate in situazioni simili, evitando di trasformare lo spavento di un animale in una condanna a morte? E soprattutto, quanto incidono il colore della pelle e la razza del cane nel determinare chi viene visto come una minaccia?

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