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Quando nel 2020 la pandemia da COVID-19 ha improvvisamente fermato il turismo mondiale, gli effetti non hanno riguardato soltanto le città diventate vuote o i cieli senza più aerei. "La natura si è ripresa i suoi spazi" – si diceva – e in effetti, anche in mare, alcuni ecosistemi hanno mostrato in poche settimane quanto possano essere resilienti se liberati dalla pressione umana. È ciò che è accaduto per esempio a Hanauma Bay, un'area marina protetta nelle Hawaii che ogni anno, prima della pandemia, accoglieva quasi un milione di visitatori.
Un "esperimento naturale" unico e irripetibile

Con la chiusura totale dell'area per sette mesi, i ricercatori dell'Hawai'i Institute of Marine Biology hanno avuto l'occasione più unica che rara di osservare quello che loro stessi hanno definito un "esperimento naturale". Hanno monitorato la qualità dell'acqua, la presenza della foca monaca hawaiana (Neomonachus schauinslandi) – una specie in serio pericolo di estinzione – e i comportamenti dei pesci, confrontando i dati raccolti prima, durante e dopo l'assenza improvvisa dei turisti.
I risultati, pubblicati sulla rivista npj Ocean Sustainability, sono stati sorprendenti: l'acqua è tornata più limpida, le foche monache hanno ripreso a frequentare la baia e i pesci, soprattutto quelli erbivori come i pesci pappagallo, hanno mostrato una maggiore attività nel brucare le alghe, un comportamento fondamentale per ridurre la vegetazione marina e mantenere in armonia le dinamiche ecologiche e lo stato di salute della barriera corallina.
Un ecosistema che ha risposto in fretta

"L'ecosistema ha risposto in modi straordinari e molto rapidi", ha spiegato Elizabeth Madin, coordinatrice dello studio. Questo dimostra quanto le barriere coralline siano sensibili alla nostra presenza, alle attività umane e come persino la quotidianità del turismo naturalistico che attira qui migliaia di visitatori sensibili alle tematiche ambientali, sebbene non distruttiva in senso stretto, abbia un impatto comunque significativo sulla loro vitalità.
E non si tratta solo di numeri: la possibilità di vedere le foche monache tornare a riposarsi sulle spiagge di Hanauma Bay è un segnale concreto di come la natura sia pronta davvero a riappropriarsi dei suoi spazi, quando però le pressioni antropiche diminuiscono.Il caso di Hanauma Bay non è solo un episodio isolato legato al lockdown, ma un fenomeno già riscontrato anche altrove e in svariati ecosistemi.
Una lezione per il futuro del turismo

Il modo in cui gli ecosistemi e la biodiversità sono "ripresi" i proprio spazi, possono perciò diventare un punto di riferimento per la gestione delle aree protette marine e non in tutto il mondo. Secondo i ricercatori, limitare il numero di visitatori o introdurre turni di accesso potrebbe infatti ridurre lo stress sugli ecosistemi, senza necessariamente penalizzare l'economia locale. Anzi, alcuni studi mostrano che i turisti sarebbero persino disposti a pagare di più per vivere l'esperienza di un reef davvero sano e ricco di vita.
Un turismo meglio regolamentato potrebbe quindi garantire benefici sia all'ambiente che alle comunità umane che da esso dipendono. Il messaggio che emerge da questo studio è perciò chiaro: le barriere coralline hanno una capacità di recupero sorprendente, ma questa resilienza ha bisogno di condizioni favorevoli. Ridurre le pressioni umane, anche solo temporaneamente, può innescare processi di rigenerazione rapidi e visibili. E per chi si occupa di conservazione marina in generale, questo è un gran bel punto di partenza.